Sono gay, sono solo me stesso
Testimonianza pubblicata sul sito Stop Homphobie (Francia) nel gennaio 2014, liberamente tradotta da Marco Galvagno
Sono un ragazzo alla fine è ciò che mi hanno detto quando sono nato, un uomo, direte voi, ma a me piace più il termine “ragazzo” perché mi do da fare negli studi per entrare nella migliore facoltà sperando di sapere dove sto andando (quello che ha inventato il GPS della vita quotidiana mi tenga al corrente. Al prossimo incrocio che devi affrontare, svolta a destra).
Faccio tendenza, leggo Le Figaro e mi chiedo che cosa succederà nel prossimo episodio di The Walking dead. Ho un sacco di libri interessanti scritti da persone brillanti, ma trovo che giocare alla Playstation sia divertente allo stesso modo (ambizione personale: diventare Batman).
Voi mi capirete, tra ciò che sei e ciò che pretendi di essere vi è sempre un piccolo margine, ma nel mio caso è particolare.
Sono un ragazzo che una volta ha invitato una ragazza al cinema, abbiamo riso, la mia mano cingeva le sue spalle, era bella, ci siamo baciati. Adesso tirerete fuori i pop corn per ascoltare il seguito della storia (smettetela di mentire, lo so).
In realtà non c’è stato nessun secondo episodio, nessun prequel e nessun reboot, nessuna saga di successo, ci siamo baciati, poi nulla. Nessuna reazione da parte mia, solo uno pseudobacio che stava a significare “sono un uomo, bacio la mia ragazza all’uscita dal cinema”.
Se l’amore è questo, meglio rimanere single incalliti. Sono un ragazzo che una volta ha invitato una ragazza al cinema (la mia vita è un’avventura quotidiana, lo so). Voi la conoscete, è bella, con i capelli ondulati, un sorriso smagliante e un senso dell’umorismo fantastico, è intelligente e abbiamo gli stessi interessi.
Ma è troppo diretta, mi chiede perché non la bacio e allora lo faccio. Mancanza di spontaneità, complimenti. E poi si chiede anche, quando siamo soli in camera, perché non mi decido a saltare il fosso. Io lo so, me lo immagino, ma mi rifiuto di accettarlo.
Perché scrivere questa testimonianza? Non per raccontarvi che sono uscito con due ragazze, che sono un dongiovanni, ma perché non tutte le storie iniziano con “C’era una volta”. Bisogna ricostruire la scena.
Sono un ragazzo che ha sempre guardato gli altri ragazzi, non che me ne innamori per carità, li guardo perché sono belli, è normale, lo fanno tutti, voi no? Sono un ragazzo che ama i ragazzi, ma no, non sono mica gay. È la verità, questa verità pesante, nascosta, che chiede solo di esplodere alla luce del sole contro la mia volontà.
Paure e dubbi successivi si infrangono come onde del mare per infrangere sempre di più di giorno in giorno la mia dolce illusione. Un incubo senza fine dal quale spero di sfuggire ogni giorno al mio risveglio. Ogni giorno guardo tutte le ragazze che sfilano davanti a me e mi sforzo di innamorarmi di una di loro. Perché è così difficile? Cosa mi manca?
Come potrò recuperare quel tratto di cammino che ho smarrito per strada e che mi renderebbe un ragazzo qualunque in una città qualunque? Perché devo per forza essere diverso quando non aspiro che ad essere normale? Ma io non ho mai detto a me stesso “Che figa quella ragazza” ma non riesco a distogliere lo sguardo da quel moraccione alla fermata dell’autobus, perché?
Lo sapete che è strano, nonostante le paure che mi assalivano ogni giorno, ero eterosessuale, ero nella norma. Accettavo l’idea di essermi smarrito per un po’, una semplice infatuazione.
Sì, trovo bello quel ragazzo, tra cinque anni ci scherzeremo su la mia ragazza ed io. I giorni passavano, trascorrevano le settimane, i mesi, gli anni senza che questa infatuazione finisse.
Man mano che il mio interesse per gli uomini cresceva, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal loro sorriso seducente, dal loro sguardo penetrante, e nel fondo della mia anima si svolgeva una lotta. Come potevo essere eterosessuale se non mi battevo contro queste pulsioni?
Anzi, le accoglievo a braccia aperte. Alla fine ero etero, avrei voluto innamorarmi di una bella Nathalie qualunque, avremmo comprato una bella casetta con il tetto di legno bianco e avremmo invitato i nostri amici a fare la grigliata la domenica mentre i bambini avrebbero giocato in giardino, vi proverò che avevate torto.
Sei un ragazzo che ama i ragazzi, allora sei gay. Prenditi uno schiaffo nei denti, bevi un bicchiere e rifletti, amico. Probabilmente era più grande di me di un anno o due. Come un fratello maggiore che ti posa un braccio intorno alle spalle per intrattenersi con te.
Quel ragazzo mi ha messo con le spalle al muro senza nemmeno conoscermi. La fortezza delle mie illusioni si è abbattuta in un fracasso di sogni e speranze che ha infranto il mio universo. Confessare?
No, impossibile, confessare vuol dire prima di tutto confessare a se stessi, è aspettare un punto di non ritorno, negare a che scopo poi? Sono un ragazzo che si chiede se ha il diritto di imporsi.
Un anno dopo siamo nella primavera del 2013. Questa frase apparentemente banale, “Sei gay” mi ha obbligato a riconsiderare la mia vita sotto un altro punto di vista. Dài, siamo dall’altro lato del problema, analizziamo la situazione. Coming out?
È questa la parola che cercate. Francamente, permettetemi di dirvi che la definizione è un po’ vaga per quelli che la devono mettere in pratica. L’idea di confessare la mia omosessualità, e poi a chi?
Confessarla a me stesso, c’è voluto del tempo ma ormai è cosa fatta, confessarla ai miei amici, sarei ipocrita se potessi sbarrare la crocetta nella lista delle cose da fare quando tutti i miei cari ancora non sono al corrente.
Sì, la maggior parte sa, lo sapevano prima che glielo dicessi, ma si sono ben guardati dal chiedermelo esplicitamente, pensando che questo cambiamento, questa fiducia negli altri dovevo conquistarla da solo, si la maggior parte di loro forse lo sa già, a dire il vero. Tutti no, perché ho ancora paura.
Confessarlo alla mia famiglia, ancora più delicato. So quello che state dicendo “No, ma dài, non c’è nessuna vergogna ad essere gay, siamo nel ventunesimo secolo”. Ma mentre io mi facevo un punto d’onore nello sradicare questa menzogna spudorata dalla mia vita, i miei compagni di facoltà marinavano le lezioni per una nobile causa: seguire la loro amica Santa Frigida nella crociata contro il matrimonio omosessuale, erano carini a spiegarmi perché lottavano contro questo flagello, due uomini insieme?
Apparentemente c’è scritto in un vecchio libro, che molta gente ha letto, che è una cosa malvagia e che sarebbero andati all’inferno. Loro andranno all’inferno, ma quel loro sono io. Io ti dico mai che andrai all’inferno?
Dunque, mentre facevo questo lavoro piuttosto difficile per me, che consisteva nel dirmi che ero così e che questo non aveva importanza, erano decine di migliaia a scandire in coro che io mentivo a me stesso e che ero una perversione della natura. Ho molto apprezzato questo periodo pieno di dolcezza, di pace e serenità…
Sono un ragazzo che non guarda le ragazze, perspicace no? Tuttavia ogni giorno mi si gratifica con frasi del tipo “Non hai voglia di farti quella ragazza”. E lì avete due possibilità di risposta:
Opzione a) Sì, ha due tette da urlo, sto mentendo, accetto il fatto di avere vergogna, dunque mi nascondo, quindi non sono normale.
Opzione b) No, ma hai visto il torso del suo ragazzo e i suoi bicipiti, no seriamente, che figo. Sguardi schifati su di te. Silenzio imbarazzato seguito dal tradizionale “Scusa ma sei frocio?” (Allora, quando un amico vi rivela la sua omosessualità, evitate di usare il termine “frocio”, è come dire a una ragazza che è ingrassata di 2 chili durante l’estate e che è una una vacca, è offensivo). Il gruppo dei benpensanti vi salta addosso e siete etichettati.
E tutto è cambiato per me. Perché? Perché tre mesi fa, quando ho redatto la prima versione di questa testimonianza, che assomiglia più a una pagina strappata di diario che viene mostrata agli occhi di tutti, vi spiegavo di avere paura, temevo il rifiuto degli altri, temevo i loro sguardi e soprattutto, ma questo non l’avevo capito, avevo paura di me stesso.
Sono ancora un ragazzo spaventato, lo so. Di conseguenza dovevo scegliere a chi rivelare il mio segreto? E di chi potevo fidarmi? Vi spiego anche che, avendo traslocato, avevo scoperto una nuova vita, nella quale avevo incontrato altre persone che avevano attraversato le mie stesse situazioni e che erano in preda alle stesse paure.
Il fatto di essere rassicurato di non incontrare nessuno a una serata gay mi autorizzava a essere libero e il primo bacio con un ragazzo mi era sembrato così esaltante, sensuale e romantico che non nutrivo più alcun dubbio. Mi dispiace per voi, ragazze.
So che c’è del vero e del falso in tutto questo. So che essermi trasferito mi ha permesso di prendere le distanze dalla mia vita precedente. Perché prima ero rinchiuso nelle mie bugie e mi sentivo solo. Solo di fronte al mondo.
Ora so di far parte di una comunità che lotta ogni giorno per abbattere i clichés, insieme ad altre minoranze che si battono per l’uguaglianza, per preservare e rispettare le differenze e l’identità di ciascuno e lottare in nome dell’uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini. So che ho la fortuna di aver avuto amici formidabili che mi hanno sostenuto e mi hanno aiutato ad avere fiducia in me stesso e non aver più paura delle mie potenzialità.
Ho capito che sono le persone all’esterno a vomitare il proprio odio contro quelli che non conoscono. Sono loro ad avere sempre torto. Sono loro a dover cambiare. NON IO. So chi sono, sono un tutto da prendere o da lasciare.
Oggi ho deciso di smettere di rinchiudermi in una bolla che un giorno scoppierà e preferisco essere all’origine del cambiamento piuttosto che subirlo. Nel corso delle settimane ne parlerò agli ultimi amici che ancora non lo sanno. Ovviamente ho paura della loro reazione.
Temo che non me ne vogliano per non essermi confidato con loro prima. Di alcuni temo che non mi accettino e che pongano fine alla nostra amicizia. Sì questa possibilità c’è, sì mi dispiace riconoscerlo, ma non dovrò fermarmi dato che la vita mi appartiene e se la mia felicità non risponde ai loro criteri di vita, amen.
Per quanto riguarda la mia famiglia, le cose sono difficili per il momento. Confessare ai genitori la propria omosessualità è molto di più che dire loro “It’s raining men”. È come dire loro che si adotta uno stile di vita che alcuni contestano violentemente e che potrà portarci a combattere battaglie più feroci.
Le loro paure sono legittime. Oltre a queste paure, penso che non concepiscano che queste domande abbiano trovato le loro risposte tanto tempo fa, per quelli che si alzano e affermano la loro identità. Nonostante tutto, non ho fretta. L’argomento è delicato e bisogna scegliere le parole giuste.
Capire chi siete è una lotta di ogni istante. Non passa un’ora che non sia assalito dai dubbi o ossessionato dalle domande, ma eureka! so chi sono e alla fine il resto sono dettagli. Vi ricordate che vi ho detto che volevo sposarmi con una bella donna, avere dei bambini e vivere una vita classica da eterosessuale per provare al mondo che ero come gli altri? Dimenticatevelo, voglio vivere con lui. Ma lui chi è?
Non chiedetemi ancora chi sia. Ma lo troverò un giorno, dopo tutto da qua ad allora chi lo sa cosa mi riserva ancora la vita. Sono diventato un uomo.
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Testo originale: Témoignage : Avouer à ses parents son #homosexualité c’est aller plus loin que de leur dire « It’s raining men »