Sono sposato, padre e sono gay. Ti regalo la mia storia
Email inviataci da Bruno in risposta alla mail pubblicata di Eros
Caro Eros, Ti scrivo perché la tua mail mi ha colpito. Non ho consigli da darti; voglio raccontarti la mia storia, la storia (vera) di un cammino, come tutti i cammini con le sue gioie e i suoi dolori.
Ho quasi 60 anni e sono sposato da 31; ho tre figli e sono gay. Lo so da sempre di essere omosessuale: lo so almeno da quando avevo 5 anni, anche se ovviamente allora in modo confuso, ma via via sempre più chiaro…
Ho aborrito questa cosa, cercato di “guarire”, non ho MAI avuto in gioventù esperienze omosessuali (anche se, col senno di poi, ho avuto delle occasioni bellissime e desiderate.. che semplicemente… ho rifiutato di vedere!).
Intorno ai 25 anni ho fatto un “patto” con Dio: “Tu fammi funzionare anche con le donne¸ poi a tenermi a bada ci penso io !”. Lui ha mantenuto la Sua parte di patto: ho conosciuto una donna con cui andavo d’accordo e con cui c’era intesa e affetto… E’ arrivato il matrimonio e i figli.
Per un lungo periodo io ho provato (ci ho provato seriamente!) a mantenere la mia parte. Ma non avevo fatto i conti con la mia fragilità e con due forze molto potenti: l’attrazione omosessuale da una parte, l’amore dal’altra.
Anche io, come te, non ho tradito mia moglie (a parte la pornografia che mi aiutava a “tenermi a bada”) ma con il passare degli anni mi è stato sempre più difficile resistere.
Frequentando ambienti religiosi (sono cattolico) avevo la possibilità di parlare a lungo con sacerdoti che stimavo e sempre più mi rendevo conto di come la mia fragilità si riflettesse in un allontanamento quasi inevitabile dal centro della mia vita e da Dio stesso.
La mia vita mi era sempre più insopportabile e stavo allontanandomi da un Dio che pensavo come un giudice e un oppressore, mentre mi stava riempiendo di doni che non vedevo. Anche a me sono venuti pensieri di morte per risolvere una situazione che sentivo ormai insopportabile…
Finché un prete molto in gamba (forse non casualmente, anche laureato in psicologia) durante una lunga e sofferta confessione mi aprì gli occhi: non potevo, non dovevo tagliare via da me una parte così fondamentale: l’”occhio da cavare e gettare via” (Mt 18,9) forse non era l’omosessualità, ma il mio orgoglio, la mia voglia di costruirmi una esistenza falsa e diversa da quella che era coerente con chi ero, con chi sono…
Avevo 46 anni, ero sposato da 14. Non avevo mai tradito mia moglie, non volevo farlo adesso… Con molta sofferenza le ho aperto il mio cuore, le ho spiegato chi ero e il mio cammino…
E’ stato duro, molto duro: notti insonni, pianti, colloqui con sacerdoti e psicologi… Ma sentivo che non c’era alternativa: non volevo più fingere… Poi… c’erano i bimbi piccoli, la difficoltà di gestire un’attività economica comune….
Abbiamo deciso di provare a vivere come fratello e sorella, intanto che io avrei cercato di conoscere questo mondo che sentivo simile a me ma che in realtà non conoscevo (all’epoca anche Internet era molto meno diffusa e ricca di adesso).
Non so se lei sapesse che ho anche avuto in quel periodo esperienze fisiche (ufficialmente non lo sapeva, ma essendo molto intelligente penso lo immaginasse).
Ma soprattutto mi sono innamorato ! E allora ho capito l’enorme errore che avevo fatto: di mia moglie non sono mai stato innamorato (in questo la mia situazione è molto diversa dalla tua) e avevo privato me stesso e lei di questa ricchezza.
Un (altro) sacerdote mi disse “finchè ce la fai, finchè ce la fate, restate così”.
Allora accettai il consiglio: in fondo coincideva con le richieste di mia moglie… anche se questo significava che almeno in parte avrei dovuto continuare a “fingere” una normalità che non c’era.
Ma poi… che significa “finché ce la fai”? quando è che uno si deve arrendere?
Sono passati quasi 15 anni e… siamo ancora qui. Ora i figli sono grandi, io ho vissuto (in clandestinità) alcune storie e anche attualmente ne sto vivendo una da due anni… Ma siamo ancora qui !
Fra noi c’è ancora affetto, collaboriamo insieme lavorando con sucessso, ma… nessuno dei due ha una vita completa. E io mi interrogo sul senso della nostra scelta, se non sarebbe stato meglio allora separarci, trovare un modo di gestire le nostre vite che ci permettesse di tentare di ricostruire una interezza accanto a qualcuno capace di dare e ricevere amore, amore pieno anche sotto l’aspetto della corporeità.
Certo: nessuno garantiva nulla, nessuno garantisce che le cose vadano come si spera, che le persone di cui ci innamoriamo si re-innamorino o che i rapporti funzionino… ma almeno avremmo avuto una base di verità.
Non ho risposte, naturalmente e tantomeno consigli, per te ma neppure per me….
Mi sento ancora in cammino e provo a cercare passo passo la direzione… cercando di appoggiarmi a Dio che adesso so essere accanto a me accettandomi proprio come sono, errori e insicurezze comprese.
Come ti avevo detto all’inizio, è solo la mia storia, che ti regalo come è, e ti assicuro la mia preghiera per te tua moglie e i tuoi splendidi figli.
Un abbraccio fraterno
Bruno