Sono un giovane gay credente. Vivo due vite che non s’incontrano
Email inviataci da Marcello, risponde Arianna Petilli*, psicologa
Leggendo le tante testimonianze di gay e lesbiche credenti pubblicate su Gionata non posso fare a meno di desiderare di uscire dal guscio in cui mi sento rinchiuso. A ventisei anni mi chiedo se ce la farò a mettere fine a questa mia vita a due velocità. La mattina sono un diligente studente universitario, al pomeriggio un catechista super impegnato in parrocchia, ma il venerdì e il sabato, a due ore di macchina da casa mia mia, divento un ragazzo gay che cerca, con i suoi amici “che sanno perché sono come lui”, di essere finalmente me stesso, spesso stordendomi di musica e di birra nei locali gay. Lo so sembro un po’ folle. Lo confesso ho due numeri di cellulari e due nomi diversi per ognuno dei miei due mondi.
Ma sento sempre di più la fatica di gestire queste due realtà parallele e ho il terrore che possano incontrarsi.
Purtroppo non riesco a trovare la forza di mettere le cose in chiaro per far finire questa situazione. Riuscirò mai a trovare il coraggio di uscirne? Cosa posso fare per imparare a superare questa maniera schizofrenica di vivere? Alla fine andrò fuori di testa? Avete dei consigli da darmi… e grazie per tutto quello che fate.
Marcello
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La risposta…
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Caro Marcello, credo che nella sua lettera sia riuscito a esprimere in maniera molto chiara la paura, il senso di smarrimento, la grande insofferenza e insoddisfazione che caratterizzano questo momento della sua vita. Sono reazioni del tutto comprensibili se consideriamo che, fin da quando siamo piccoli, ci insegnano che l’omosessualità è una trasgressione, un peccato contro natura, una forma di sessualità diversa e inferiore rispetto all’eterosessualità. Così, quando ci accorgiamo che noi stessi potremmo essere attratti da persone del nostro stesso sesso, la consapevolezza che la società in cui viviamo continui a mal tollerare l’omosessualità, potrebbe indurci a desiderare di mantenerla nascosta. Ecco quindi che, alcune persone gay e lesbiche, decidono di fingere un’eterosessualità che non gli appartiene, sottoponendosi a una continua repressione dei loro reali desideri sessuali ed emotivi.
Altri, invece, optano per una soluzione meno radicale che consiste nella scelta di vivere la propria omosessualità in modo protetto, esprimendola cioè in luoghi e momenti accuratamente separati dal resto della propria quotidianità, stando ben attenti a prendere tutte le precauzioni necessarie per evitare di essere scoperti.
In base al suo racconto, Marcello, mi sembra di capire che quest’ultima strategia rappresenti la modalità con cui, fino ad oggi, lei si sia concesso di vivere la sua omosessualità. Si tratta di una strategia che potremmo definire auto protettiva. Del resto, se il rischio è quello di essere giudicato negativamente a causa della propria omosessualità, di perdere la stima e l’affetto delle persone a cui teniamo e di poter divenire una potenziale vittima di episodi di violenza e discriminazione omofobica, è assolutamente normale che ci si senta costretti a difenderci.
Per qualche tempo, probabilmente, avrà anche creduto di essere riuscito a individuare una soluzione efficace che, permettendole di esprimere la propria omosessualità entro limiti ben precisi, la metteva al riparo da tutte le conseguenze negative che potrebbero seguire al coming out. Tuttavia, il peso della menzogna e lo stress fisico e mentale causato da questo modo scisso di vivere, l’hanno portata a chiedersi se non sia possibile agire in modo diverso, se esista la possibilità di integrare in modo armonico tutte le parti di sé che la rappresentano.
Per rispondere al suo quesito vorrei innanzitutto precisare che, nonostante la scelta di mantenere segreta la propria omosessualità possa comportare dei vantaggi, nel lungo termine potrebbero derivarne pesanti conseguenze, quantomeno da un punto di vista psicologico. Vivere nel continuo nascondimento della propria omosessualità, e quindi di se stessi, ci espone, infatti, a un elevato livello di tensione che potrebbe predisporci all’insorgenza di sintomi ansiosi e a un abbassamento del tono dell’umore.
Inoltre, in coloro che decidono di non rivelarsi all’esterno, si osserva spesso un meccanismo per cui, tanto più si impegnano a nascondere la loro omosessualità, tanto più si convincono che questa sia realmente una caratteristica negativa, di cui vergognarsi e che, se gli altri ne fossero a conoscenza, avrebbero certamente reazioni di rifiuto nei loro confronti. Gli sforzi compiuti per cercare di non essere scoperti saranno così incrementati. Il risultato, purtroppo, è che il livello di tensione a cui la persona sarà sottoposta aumenterà sempre più, interferendo, in modo quasi inevitabile, con il suo benessere psicologico.
Assumendo quindi come certa la necessità di uscire allo scoperto, diventa fondamentale cercare di capire in quale modo sia possibile farlo.
In genere, nella pratica clinica affronto questo aspetto stilando, insieme alla persona omosessuale, un elenco dei vantaggi e degli svantaggi che immaginiamo potrebbero derivare dallo svelamento della sua omosessualità. In seguito, passiamo al vaglio le conseguenze negative individuate, cercando di capire se la persona si senta pronta ad affrontarle e, soprattutto, cercando di definire modalità di gestione efficaci qualora dovessero realmente verificarsi.
Infatti, ogni qualvolta un uomo gay o una donna lesbica decide di rivelare all’esterno il suo reale orientamento sessuale, il rischio di essere trattato in modo ostile è sempre presente. Per questo, in alcuni casi, la scelta di rimanere nascosto si configura come l’unica possibile in quel preciso momento. Penso per esempio alle situazioni in cui la propria incolumità potrebbe essere messa in pericolo, oppure ai casi in cui, alla scoperta dell’omosessualità del proprio giovane figlio, i genitori potrebbero reagire privandolo del loro sostegno economico oltre che affettivo.
In generale, comunque, non dobbiamo mai dimenticare che fino a quando continueremo a fingere, a indossare una maschera diversa per ogni situazione, a condurre vite parallele che crediamo impossibili da conciliare, è improbabile che la nostra qualità di vita non ne sia compromessa.
Diviene allora fondamentale, seppur nel rispetto dei propri tempi, cominciare a prendere in considerazione la possibilità di mostrarci per ciò che realmente siamo. Questo, ovviamente, non equivale a dire che si debba esplicitare il nostro orientamento sessuale con tutti o in ogni tipo di contesto.
Tuttavia, potremmo cominciare a ritagliarci, magari in modo molto graduale, spazi sempre più ampi in cui poter far emergere ogni componente di noi stessi (per esempio la fede, l’orientamento sessuale, la passione per il nostro lavoro), senza che nessuna di queste debba necessariamente escluderne un’altra. So che le sto prospettando un cammino non semplice da percorrere ed è normale che lei possa esserne spaventato. In gioco c’è però la nostra felicità e credo che ognuno di noi sia chiamato a difenderla.
Sperando di averle fornito degli utili spunti di riflessioni, la saluto con affetto.
Arianna Petilli
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* ARIANNA PETILLI, laureata in Psicologia Clinica e della Salute, è iscritta all’Albo dell’Ordine degli Psicologi della Toscana con il numero 6500. Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale presso l’Istituto Miller di Firenze, svolge l’attività clinica privata a Firenze occupandosi, prevalentemente, di disturbo ossessivo compulsivo, disturbi del comportamento alimentare e disturbi d’ansia. Lavora, inoltre, con pazienti gay e lesbiche aiutandoli nel processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e nell’affrontare le difficoltà legate all’omofobia, sociale e interiorizzata. Organizza incontri di formazione e gestisce percorsi di approfondimento rivolti alle coppie, eterosessuali e omosessuali. E’ stata relatrice in forum e convegni, nazionali e internazionali ed è autrice del lavoro di ricerca “Religione e omosessualità: uno studio empirico sull’omofobia interiorizzata di persone omosessuali in funzione del grado di religiosità” che, per la prima volta in Italia, analizza approfonditamente l’impatto degli insegnamenti del Magistero della Chiesa Cattolica sulla vita delle persone omosessuali e indaga sugli effetti che una pastorale cattolica, inclusiva e accogliente, può avere sui gay e sulle lesbiche cattolici..