Sono un marito cattolico gay. Come posso parlarne con mia moglie?
Email inviataci da Marco, risponde Maurizio Mistrali, psicoterapeuta
Mi permetto di scrivervi per sottoporvi la mia storia, forse simile a molte di quelle che si leggono sul sito. Ho 36 anni, sono sposato da 6 anni con la donna che è stata da sempre la mia migliore amica e che, col tempo, si è trasformata nell’amore della mia vita. Ci siamo messi insieme nel 2001. All’epoca non avevo nessuna inclinazione ad una relazione omosessuale. Forse ogni tanto c’era qualche fantasia ma a cui non seguiva assolutamente nulla. Eravamo entrambi impegnatissimi in parrocchia e questa non era per me un’opzione immaginata ne tantomeno desiderata.
Nel 2007 abbiamo deciso si avere il nostro primo rapporto sessuale. La prima volta è andata male. Per me è stata una crisi esistenziale durissima. È li che ho iniziato a pensare all’omosessualità in modo più forte, pur non incontrando nessuno. Tuttavia, seppur con qualche angoscia, sono andato avanti. Abbiamo cominciato ad avere rapporti con successo. Nel 2009 decidiamo di sposarci. Proprio nel 2009 ho avuto il primo incontro omosessuale.
Questo non mi ha soddisfatto in pieno. Tuttavia, mi sono fatto prendere la mano. Un mese prima del matrimonio sono stato a confessarmi. Il sacerdote era stato molto piacevole. Senza giri di parole mi disse: “ormai sei un po in ritardo per tornare indietro. Rifugiati e accogli l’amore di tua moglie. Non pensare a questo tormento che, comunque, non passerà“. Io uscii dalla confessione rinfrancato e pensando di “farcela“.
I giorni che precedettero il matrimonio furono strazianti. Quelli che dovevavo essere momenti di gioia sono stati per me momenti durissimi. Poi dopo il matrimonio mi sono rilassato. Tuttavia, il primo incontro omosessuale è arrivato tre mesi dopo. Ho pianto per tre giorni. E cosi tutti gli altri. Mi sono confessato regolarmente. Sapevo tuttavia che pur io avendo il proposito di non farlo di nuovo prima o poi sarebbe successo.
Con alti e bassi sono arrivato fino ad oggi. Ci sono però due cose che mi angosciano. Un paio di mesi fa ho conosciuto un uomo con cui non c’è una relazione di solo sesso. Credo ci sia un amore che io non avevo mai incontrato.
Per di più, con mia moglie non riusciamo ad avere figli (con grandi sensi di colpa da parte mia). Dobbiamo effettuare tra qualche mese la terza ed ultima fecondazione “in vitro” dopo due tentativi andati male Per la prima volta, spero che questa fecondazione non vada in porto.
Ho detto al mio nuovo “amico” che desidero prendermi un pò di tempo prima di prendere decisioni affrettate. Lui è rispettoso e comprensivo, avendo vissuto una situazione simile. Tuttavia, resta in me il tarlo di questa vita “sbagliata” che sto vivendo. E mi chiedo che padre sarei se il bimbo dovesse arrivare e soprattutto che famiglia saremmo.
In tutto questo, mia moglie, all’oscuro di tutto, è il mio pensiero più grande. Non mi preoccupano le conseguenze per me quanto per lei. È figlia unica (anche io) con genitori molto anziani. Ha anche qualche problema di salute. L’idea di farla soffrire mi distrugge. Non so più quale è la cosa giusta. È la persona più importante della mia vita e, allo stesso tempo, quella che faccio più soffrire. Grazie
Marco
La risposta…
Caro amico. Sono colpito dal dolore, dal turbamento e soprattutto dal senso di “assedio” ed ineluttabilità che si percepisce dalla sua lettera. Vorrei avere una risposta pronta per lei, ma non esiste una risposta preconfezionata. In ogni situazione ci sono vie di uscita singolari, personali,che sfuggono quando si è presi nel gorgo degli eventi. Ma esistono.
Vorrei avere una bacchetta magica e fermare, come in certe fiabe, il tempo eccetto che per lei. Per bloccare gli eventi e permettere a lei di recuperare una possibile serenità, neutralità, disidentificazione, che le permetta di vedere meglio. Una bella immagine è quella del “pesce che VEDE ATTRAVERSO IL MARE, e per VEDERE IL MARE NE DEVE USCIRE”.
Fuor di metafora si impone una maggiore neutralità, un “fermo immagine possibile” agli eventi, ed un attraversamento con l’aiuto, con l’alleanza di un buon terapeuta, dell’emergenza, dell’urgenza, per recuperare un contatto con il centro di se stesso. Poi sono possibili anche altre dinamiche relazionali, ma vengono dopo una “ricentratura” in se stesso.
I nativi americani ritenevano che le situazioni più dure della vita configurassero degli assedi: nord, sud, est, ovest, e magari sopra e sotto… ed uno si sente assediato completamente e disperato, ma loro, ed io con loro credo e sperimento che esista una settima strada: IN DENTRO, strada che fa la differenza.
A te cercarla.