Sono un prete gay. C’è bisogno di più delle scuse dopo le parole offensive di papa Francesco
Articolo di Bryan N. Massingale* pubblicato sul sito della rivista cattolica America. The Jesuit Review (Stati Uniti) il 29 maggio 2024, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La tenda di Gionata
Sono un sacerdote che ha dichiarato pubblicamente di appartenere alla comunità LGBTQ. In quanto gay, sono rimasto scioccato e amareggiato nel venire a sapere che il Santo Padre ha usato un termine offensivo durante un incontro con i vescovi italiani.
Mentre apparentemente giustificava la scelta di non ammettere uomini gay nei seminari, il Papa avrebbe affermato che c’era troppa “frociaggine” nei seminari. Cerchiamo di chiarire l’insulto che è stato usato, in modo da comprendere anche le controversie che ne sono derivate. Si tratta di un termine offensivo, spesso usato in modo peggiorativo/dispregiativo per riferirsi agli uomini gay, abbastanza volgare da non essere tradotto in questa sede.
In risposta, il Vaticano ha dichiarato che il Papa era a conoscenza della diffusione di queste informazioni e, pur non confermando esplicitamente che il pontefice abbia usato la parola offensiva, ha affermato: «Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobici, e si scusa con coloro che si sono sentiti offesi dall’uso di un termine, come riportato da altri».
Accolgo con favore le scuse del Papa. Mi dà sollievo il fatto che non intendesse offendere nessuno. Ma qualsiasi osservatore imparziale sarà d’accordo sul fatto che questo incidente ha gravemente compromesso la sua storica apertura ai membri della comunità LGBTQ.
Per comprendere la portata dell’uso dell’insulto da parte del Papa, dobbiamo fare una distinzione tra l’intento e l’impatto delle sue parole. Alcuni cercano di minimizzare l’accaduto come se si trattasse solo di una scelta infelice di parole o dell’uso incauto di un linguaggio colloquiale.
Altri ritengono che non sia altro che la comprensione inesatta di un termine da parte di un uomo anziano che non padroneggia una lingua che non è la sua lingua madre. D’altra parte, c’è chi sottolinea che il Papa parla italiano fin dall’infanzia.
Tutto questo può essere vero. Ma a prescindere dalle intenzioni di chi parla, questo linguaggio è disumanizzante. Troppo spesso gli insulti e gli epiteti offensivi vengono sottovalutati da chi non è il loro bersaglio. Ma attenzione a non sottovalutare la questione: gli insulti derisori disumanizzano le “minoranze sessuali”. Mettono in discussione la nostra umanità.
Inoltre, il danno va oltre coloro che sono stati direttamente offesi dall’insulto omofobo del Papa. L’uso di questo linguaggio da parte del Papa offre un supporto a quelle scelte politiche istituzionali che mettono in pericolo la vita delle “minoranze sessuali” in tutto il mondo. Coloro che cercano di escludere persone gay, lesbiche e transgender dalla vita sociale e dalla protezione giuridica possono sentirsi spalleggiati e incoraggiati dalle parole del Santo Padre – e certamente lo faranno.
Sì, so che papa Francesco ha chiesto la depenalizzazione dell’omosessualità. Tuttavia, l’uso di una terminologia offensiva non può che indebolire il suo messaggio secondo cui tutti possiedono una “dignità infinita” che dovrebbe essere rispettata da tutti. È necessario qualcosa di più delle scuse.
Altre domande e questioni
Le scuse del Papa, benché gradite e necessarie, sollevano altre domande e preoccupazioni. In primo luogo, queste osservazioni sarebbero state fatte nel contesto di una discussione sull’ammissione al seminario di uomini apertamente gay. Alcuni affermano che la posizione di netta chiusura di Francesco sulla questione era semplicemente una riconferma della politica ufficiale della Chiesa, chiarita dal Vaticano nel 2005 e riaffermata nel 2016.
Tuttavia, questa scelta del Vaticano non tiene conto della realtà, e cioè che ci sono, e ci sono sempre stati, molti sacerdoti gay e vescovi gay che servono la Chiesa con generosità e fedeltà. Rifiutare di ammettere gli omosessuali al seminario significa ritenere che essi abbiano difetti o irregolarità morali intrinseche che gli uomini eterosessuali non hanno. La posizione della gerarchia della Chiesa su questo tema parte dal presupposto che negli uomini gay ci sia un livello di peccaminosità o di devianza morale che non c’è negli uomini etero e che renderebbe automaticamente gli uomini gay non idonei al sacerdozio.
Ma, con la mia esperienza di oltre quarant’anni di sacerdozio, posso dire che questo non è vero. Persone di ogni orientamento sessuale vivono il celibato in maniera serena. D’altra parte, ci sono sacerdoti di tutti gli orientamenti sessuali che a volte vivono il celibato con difficoltà.
A volte questi conflitti interiori danno luogo a scandali, sia da parte del clero gay che di quello etero. E le “cricche chiuse e pettegole” – che, secondo alcuni, sono la vera preoccupazione che si nasconde dietro l’uso della parola offensiva da parte di Francesco – non sono un’esclusiva degli uomini gay. E, in ogni caso, un divieto generalizzato ad ammettere nei seminari tutti gli omosessuali non è una soluzione adeguata a questo problema.
L’orientamento sessuale non è l’elemento determinante per la qualità del ministero ordinato, né dovrebbe essere l’unica ragione per escludere gli uomini dai seminari o dalla vita religiosa.
La questione più profonda
Se è risaputo che ci sono molti uomini con orientamento omosessuale che servono la Chiesa in modo responsabile come ministri ordinati, allora qual è il vero problema? Credo che la controversia sull’uso da parte del Papa di un insulto disumanizzante e il rifiuto di ammettere al seminario persone apertamente gay, faccia riferimento alla questione più profonda che la Chiesa deve affrontare: le persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e queer sono membri a pieno titolo del corpo di Cristo? Il vespaio sollevato dalle osservazioni di Francesco tradisce l’ovvia risposta: non ancora.
Francesco è solito affermare che “tutti” sono benvenuti nella Chiesa, che l’abbraccio della Chiesa si estende a tutti. «Todos, todos, todos», ha esclamato alla Giornata Mondiale della Gioventù. Ma le sue parole e le norme vaticane circa l’ammissione ai seminari fanno capire che tutti possono essere benvenuti, ma non allo stesso modo. O sono benvenuti solo a condizione che accettino che c’è qualcosa di sbagliato in loro, anche se vivono pienamente il celibato, e che vivano senza riconoscere pubblicamente il loro orientamento sessuale, qualora siano ordinati sacerdoti.
Questo porta l’attenzione su un’altra questione che sta alla base dell’osservazione del Papa: quanto può essere davvero accogliente la Chiesa se descrive ufficialmente l’orientamento non eterosessuale come “oggettivamente disordinato”, un termine che si focalizza sulle implicazioni morali degli atti sessuali piuttosto che sulla conoscenza e accettazione della propria identità di coloro che descrive?
Se si crede davvero che l’orientamento sessuale LGBTQ sia “qualcosa di meno”, allora l’uso di insulti, offese e altre forme di disumanizzazione non può sorprendere.
Dove andremo a finire?
Durante un’intervista su questo tema, un giornalista della BBC mi ha posto una domanda personale: «In quanto sacerdote gay, si sente in difficoltà per il modo in cui il suo più alto superiore parla di lei? E cosa deve fare il Papa per recuperare credibilità dopo i danni causato dalle sue affermazioni?».
Ho risposto che non conosco nessun cattolico LGBTQ che non abbia lottato e non lotti per la sua collocazione nella Chiesa. E che mi sono sentito scioccato, persino un po’ tradito, dal fatto che un Papa abbia parlato in questo modo di persone come me, anche se accettiamo che non intendesse parlare con cattiveria. Ripeto, per capire la portata di quanto è accaduto, dobbiamo riconoscere che l’intento e l’impatto delle sue parole sono due cose diverse.
Tuttavia, credo anche che tutto questo faccia parte delle doglie del parto di una nuova apertura nella Chiesa. In tutte le confessioni cristiane che ora mostrano una maggiore apertura ed accettazione delle persone LGBTQ, inizialmente ci sono stati atteggiamenti di chiusura nei confronti dei sacerdoti gay. In queste chiese di altre confessioni cristiane, i ministri che non erano eterosessuali si sono trovati ad operare in un clima che li riteneva moralmente anormali e psicologicamente non pienamente maturi. Spesso sono stati sospettati di abusi, persino allontanati dal ministero.
Tuttavia, è stato proprio perché questi sacerdoti hanno continuato a prestare il loro servizio nelle loro chiese e perché i credenti LGBTQ hanno continuato a sentirsi parte della chiesa nonostante l’opposizione ufficiale che hanno dovuto affrontare, che le loro comunità di fede sono arrivate a una comprensione più corretta dell’orientamento sessuale e a una visione più chiara e più profonda della direzione in cui lo Spirito soffia all’interno della Chiesa.
In altre parole, ciò che mi dà un po’ di conforto è che la Chiesa cattolica sta attraversando le stesse difficoltà che hanno affrontato gli episcopali, i luterani, i metodisti, i presbiteriani e altre confessioni religiose di fede cristiana quando si sono confrontati con una visione più aggiornata e profonda della sessualità umana.
Mi conforta il fatto che queste prove fanno parte del processo di cambiamento, che a volte è fonte di tristezza e di confusione, ma è necessario. Quello che stiamo vivendo sono i dolori del parto che si verificano quando cerchiamo di diventare più fedeli allo Spirito di Dio.
Cosa dovrebbe fare il Papa, secondo me? Credo che il Papa debba ascoltare direttamente e con cuore aperto i sacerdoti gay che servono fedelmente il popolo di Dio. Deve accompagnarci e sentire l’odore di questo gregge che è suo e del Signore. È necessario e importante che senta le nostre gioie e le nostre prove, che sia testimone delle nostre sofferenze e delle nostre gratificazioni più profonde. È necessario che sia ispirato da noi e dalla nostra fedeltà, a volte eroica. E noi abbiamo bisogno di essere ispirati da lui, di ascoltare la sua visione, che è quella di una persona che si dedica a servire il popolo di Dio.
Un esempio di questo tipo, di accompagnamento sinodale e di ascolto spirituale profondi farebbe di più per guarire la Chiesa delle scuse di un comunicato stampa papale. Ascoltare le nostre voci sarebbe un passo importante per diventare una Chiesa in cui tutti, todos sono veramente benvenuti.
* Bryan N. Massingale è professore di etica teologica e sociale alla Fordham University di New York. È autore di Racial Justice and the Catholic Church (Orbis, 2010).
Testo originale: I am a gay priest. We need more than an apology for Pope Francis’ homophobic slur