Sono una madre cristiana con un figlio gay che sogna un mondo senza etichette
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Il papà tutto orgoglioso: “Luca, quindi la tua fidanzata si chiama Sofia?”.
“Sì, e anche Micol…”.
“Ah, bravo…quindi hai due fidanzate… e chi ti piace di più, Sofia o Micol???”
“Filippo”.
Non so chi l’abbia scritta. L’ho letta in questi giorni su Facebook, riportata da una amica. Io la trovo geniale. Riassume in pochissime battute quella che è la sorpresa, il pregiudizio, e la sintesi degli errori che noi genitori facciamo, in tema di orientamento sessuale dei nostri figli. Si dà per scontato che se un maschietto si innamora, lo fa nei confronti di una femminuccia, e viceversa. Ma mentre noi genitori esprimiamo questa aspettativa, anche comunichiamo ai nostri figli quello che per noi è “normale“.
Anche io ho compiuto questo errore, ricordo bene quel momento. Abbiamo mille modi per far sentire “sbagliato” il nostro figlio, quando il suo cuore inizia a battere per un compagno di giochi, e non per una compagna. Abbiamo mille modi per farlo sentire “sbagliato”, senza rendercene conto.
E’ vero, è tantissimo tempo che non scrivo qui, su Gionata.
I motivi sono diversi: un po’ sono motivi di impegni di lavoro e familiari. Per scrivere bisogna avere anche del tempo.
Ma non è solo questo. Marco, mio figlio gay, sta vivendo un periodo di assoluta “non evidenza“. Dopo il suo coming out con me e suo fratello, che ho già raccontato nelle prime pagine di questo “blog”, è come se tutto si fosse silenziato. Detto quello che aveva da dirci, chiarito quello che c’era da chiarire, non se ne è più parlato. Studia, si impegna negli esami e nei corsi universitari. Appare sereno. E’ molto a casa. Adesso che Daria, la sua amica e confidente, ha trovato un “fidanzato vero“, lui è rimasto, come dire? Un po’ a piedi. Ma in questo non è molto diverso da Alberto, l’altro mio figlio, quello maggiore. Sono molto casalinghi entrambi. Forse stanno troppo bene con la mamma?
Non ho molto da raccontare di Marco, come magari ci si potrebbe aspettare. Sono solo in attesa. Mi preparo a sostenerlo, quando avrà voglia o bisogno del mio sostegno. Dell’argomento “omosessualità” in casa non si parla più. Se capita che ne parlino ad esempio in tv, io e Alberto facciamo dei commenti dai quali è molto chiaro che condividiamo lo stesso pensiero, di accettazione normale del tema. Ascoltandoci, Marco sorride, ma non aggiunge altro. Vorrei parlarne con lui, con loro, con entrambi loro, vorrei tanto farlo. Ma non voglio far loro violenza, soprattutto a Marco. Aspetto. Vorrei tanto che non fosse un problema, che se ne potesse parlare con serenità. Invece tutto questo suo silenzio mi pesa come un macigno, e mi fa immaginare, probabilmente sbagliando, chissà quali sofferenze interiori lui potrebbe avere. E magari invece non ha. O forse le ha? Non ho una risposta. Non saprei come fare per averla, se non aspettare che il tempo passi. Si sa, con la mamma non è facile confidarsi, quando si hanno 20 anni!
Mai come in questo tempo ho pensato alla Madre di Gesù, a Maria, che “serba tutte queste cose nel suo cuore“. Capisco adesso cosa significhi tener presente in silenzio, serbare nel cuore, un qualche “segreto”. Io tengo serbato in cuore il “suo segreto“, quello di Marco, non certo per vergogna, anzi! Lo tengo per rispetto. Per rispetto dei suoi tempi, dei tempi di mio figlio.
Per come sono fatta io, ne avrei già parlato con mezzo mondo. E lui lo sa. Ma si vede che lui non è pronto. Accadrà, spero, quando vivrà la Gioia dell’Amore. Quando renderà Gloria a Dio innamorandosi ed amando un compagno, spero riamato.
C’è un altro motivo che mi ha frenato in questi mesi dallo scrivere in questo luogo. E non mi è facile parlarne. Ma ci provo.
Tempo fa ho avuto modo di frequentare molto da vicino un gruppo di omosessuali. Ed ho toccato con mano anche la mia difficoltà a starci assieme per un paio di giorni. La domanda che mi faccio è: quanto siamo distanti?
L’esperienza a cui ho partecipato, e della quale non voglio dire altro, è stata indubbiamente una buona esperienza. Organizzata bene e con ottimi contenuti. Anche se ufficialmente aperta pure a noi “etero”, in realtà sembrava, per come era organizzata, rivolta solo al mondo omosessuale. Io, da etero, mi sono sentita “lontana”.
La sofferenza è sofferenza sempre, e dovrebbe trovare nella comune umanità la possibilità della consolazione, e possibilmente poi del suo superamento. E invece no. Siamo ancora ad un gradino sotto, quello che si preoccupa di distinguere le varie sofferenze, e costruire luoghi separati, tra “diverse diversità”.
Io penso che siamo tutti diversi, l’uno dall’altro, ma tutti siamo un poco anche uguali. È necessario però che ognuno faccia lo sforzo di comprendere l’altro, di uscire dalla propria individuale sofferenza, per incontrare quella dell’altro.
Condividendo ora per ora il tempo con gli altri del gruppo, quasi tutti omosessuali, mi sono portata dentro una sensazione di estraneità, che faccio fatica a definire meglio, ma che mi ha dato molto disagio interiore. Ho avuto la sensazione che siete (non tutti, sia chiaro, ma nel gruppo si esprime maggiormente l’emozione prevalente), che siete così presi da voi stessi, dalle vostre vicende, dai vostri problemi, che è davvero difficile entrare in relazione profonda, e in questo senso essenzialmente “umana“, al di là di orientamenti o etichette. Forse ho vissuto il disagio di essere “in netta minoranza“, ho sperimentato il Minority Stress, e non è che mi sia sentita bene. Ciò che mi resta di quella tutto sommato importante esperienza vissuta, è soprattutto questo senso di estraneità, che ha reso difficile anche il mio scrivere delle mie esperienze con il mondo omosessuale, nel tentativo di dare un seppur piccolo contributo alla costruzione di un “mondo nuovo“, dove il sole possa risplendere davvero per tutti.
Mi sono sentita in un mondo chiuso, ho sentito “chiuso” il vostro mondo. Ho riflettuto su questo, e penso che in questo momento storico probabilmente è bene così. Avete così tante ferite da curare, che non vi resta attenzione per gli altri. Ed è un limite, dal mio punto di vista.
O forse sono io che ho così tante ferite mie che non possono essere curate da alcuno di voi, e neppure in un gruppo di voi …
Sarebbe molto bello se si riuscisse a costruire un mondo dove l’incontro sia tra creature, tra persone umane, senza etichette, e senza aver bisogno di difendersi l’uno dall’altro. Pare che questo sia niente altro che il “Regno“, quello che Gesù stesso ci invita a costruire e a rendere concreto già qui sulla Terra, in questa vita.
Per quanto riguarda la mia esperienza e la mia testimonianza, ho di sicuro ancora delle cose importanti da dire. Anche da dire qui, in questo luogo. Qui su Gionata, se i gestori del sito lo riterranno di qualche interesse. E magari, adesso che queste cose qui sopra le ho dette, sentendomi un po’ più in pace anche con Gionata e i suoi lettori, le posso continuare a dire.
Se qualcuno avrà l’interesse di leggerle.
* Conosco il Progetto Gionata ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.