Sperare contro la speranza
Riflessioni bibliche di Jacki Belile, Valerie Bridgeman e Tat-Siong Benny Liew tratte da About Out in Scripture (Stati Uniti), liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Mentre utilizziamo la Quaresima per prepararci, riflettere e guardare al Venerdì Santo e alla Pasqua, possiamo stare certi che il nostro Dio non solo ci ascolta, ma anche che ci assicura un futuro.
Nonostante Marco 8,31-38 e Marco 9,2-9 presentino il contrasto tra il vivere nella vergogna e il desiderio della gloria, gli altri passaggi (Genesi 17,1-7 e 15-16; Romani 4,13-25; Salmo 22,23-31) convergono nell’enfatizzare che Dio è in grado di assicurare un futuro a coloro che sembrano non averne alcuno.
Che cosa fanno comparire in voi le parole “pentimento” o “penitenza”? I vostri pensieri a tal proposito riflettono una “paura umana” o una “minaccia divina”? Spiegate le vostre sensazioni.
Data la tradizionale relazione tra la Quaresima, la preparazione e la penitenza, questa può essere la stagione adatta per riflettere sulla propria comprensione di Dio.
Per troppe persone, troppo a lungo la penitenza e il pentimento sono state concepite in termini di paura umana e minaccia divina. Vale a dire, se non ci si pente, si verrà severamente puniti, perfino dannati da Dio.
Le persone lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT) non sono estranee a questo tipo di ragionamento. Il pentimento è stato spesso usato come arma contro di noi (“se non ci pentiamo e diventiamo normali, finiremo dritti all’inferno”).
Eppure, il Salmo 22,24 proclama che Dio “non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del sofferente”.
Infatti, se si leggono i versetti 23-31 alla luce di 1-22 (versetti spesso usati dalla Chiesa durante la Settimana Santa), si vedrà che il salmista sta sentendo o sperimentando l’abbandono, la sofferenza e l’alienazione sociale, inclusi lo sprezzo e lo scherno per il fatto che Dio non si cura di qualcuno disprezzato come il salmista.
Le persone lesbiche, gay, bisex e trans, naturalmente, hanno familiarità con il disprezzo e il dolore. Anche – o soprattutto – mentre lottiamo con il disprezzo o l’odio contro di noi come gruppo, dobbiamo anche lottare per avere di Dio una immagine diversa.
Non dobbiamo attribuire ciò che viviamo all’abbandono o alla punizione da parte di Dio. Nel nostro rifiuto della violenza emotiva e fisica dell’omofobia, un risultato rinfrancante dovrebbe essere anche la rivendicazione di un Dio diverso. Possiamo rivendicare un Dio che ascolta e non nasconde il suo volto a chi è vulnerabile, alle vittime.
Il Salmo 22,30-31 ci dice che Dio susciterà chi non riusciamo ancora a immaginare, o “il popolo che nascerà”.
Parlando di Abramo e Sarai, Genesi 17,1-7 e 15-16, simile a Salmo 22,23 e 30-31 pone l’accento su una discendenza inaspettata, e quindi il prodigio di un Dio che è in grado di creare un futuro per gente che sembra non averne alcuno.
Sappiamo, dalla nostra storia globale come dalla nostra storia all’interno degli Stati Uniti, che limitare o prevenire la riproduzione biologica è una strategia comune per rendere insignificanti e sradicare le popolazioni emarginate.
Naturalmente la riproduzione biologica è una questione complessa per le persone lesbiche, gay, bisex e trans, dato che veniamo spesso delegittimati per la nostra sessualità “non-riproduttiva”, e quindi “innaturale”.
Eppure, il sorprendente messaggio di Paolo in Romani 4,13-25 dice che attraverso la fede, Dio non solo “fa rivivere i morti, e chiama all’esistenza le cose che non sono” ma fa anche di Abramo “il padre di molte nazioni” e “padre di tutti noi”.
In altre parole, la famiglia, la discendenza, l’eredità, non dipendono dal sangue, dalla biologia o dalla legge.
Infatti abbiamo sperimentato il messaggio di Paolo in molte chiese accoglienti, comunità LGBT e associazioni di amici che esistono tra di noi e intorno a noi. Per molti, queste fiorenti comunità e queste relazioni erano semplicemente impensabili qualche decennio fa.
Allo stesso modo, per chi di noi oggi non riesce ancora ad immaginare una vita o delle relazioni “alla luce del sole”, le parole di Paolo contengono la promessa che non importa quanto squallide possano apparire le cose, ciò che sembra o è considerato morto risorgerà.
Questa posterità rappresenta la continuazione del patto della promessa, nuovi nomi, un nuovo inizio e un futuro inestinguibile, anche quando la nostra finitudine e la saggezza convenzionale direbbero che tale futuro, tale promessa mantenuta, non sono possibili. Troveremo… creeremo un nuovo popolo con cui potremo lodare Dio e adempiere i nostri voti (Salmo 22,25-26).
In quali modi potreste “disprezzare” gli altri? In che modo il futuro promesso a voi da Dio vi chiama alla compassione e alla giustizia nei confronti degli altri?
Nonostante, o forse proprio per quello che abbiamo detto sull’interpretazione di Paolo del patto di Dio, pensiamo sia importante ricordare a noi stessi che i Cristiani hanno una pericolosa tendenza ad adottare atteggiamenti sostituzionisti nei confronti del Giudaismo e di altre tradizioni di fede.
Con sostituzionista intendiamo l’attitudine a negare e vedere come inferiori altre tradizioni di fede, più antiche o storicamente legate al Cristianesimo.
Molti, per esempio, potrebbero leggere Romani 4,13-25 in termini di “Paolo convertito” invece di “Paolo ispirato” e quindi contrapporre, e ritenere superiore, un Cristianesimo della fede a un Giudaismo della legge.
Vediamo queste tentazioni di supremazia o di sovranità anche in Genesi 17 e nel Salmo 22. Invece di interpretare il “regno” di Dio (Salmo 22,28) in maniera imperialistica, forse si potrebbe pensare a Dio come un essere al di sopra e più grande di tutte le nostre idee di
possesso che hanno seminato tanta oppressione e dolore, che siano nazionalistiche e/o religiose.
Il viaggio di Quaresima include il rigore e la disciplina di arrivare ad arrendersi all’idea che nessuno di noi possiede Dio.
Mentre diamo uno sguardo al futuro promesso, ricordiamoci il contrasto tra Marco 8,31-38 e Marco 9,2-9.
Invece di aspirare alla gloria o di identificarci con essa (Marco 9,2-5) il nostro futuro dovrebbe essere caratterizzato dalla nostra identificazione con coloro che sono stati ridotti a zimbelli pubblici (Marco 8,31-38).
Proprio come Dio ascolta gli afflitti e si prende cura di loro (Salmo 22,24) diventando Cristo crocifisso (un vergognoso spettacolo su una croce romana, esposto agli sguardi di chiunque), le persone lesbiche, gay, bisex e trans che sono state spesso ridotte a spettacolo “spregevole” non dovrebbero vergognarsi di chi è stato socialmente umiliato ed evitato.
Non dobbiamo più equiparare un futuro umile con la negazione della dignità di se stessi, o con una vita di sacrifico che in realtà sacrifica la giustizia.
Al tempo stesso non dobbiamo pensare che “il vincitore si piglia tutto”. Forse il miglior ritratto di un futuro umile resta ancora quello fornito dal profeta Michea: “pratica la giustizia, ama la misericordia, e cammina umilmente con il tuo Dio” (Michea 6,8).
Preghiera
Dio dei Nomi,
vecchi e nuovi.
Dio delle Genti,
vecchie e nuove.
Dio delle Promesse,
vecchie e nuove.
In questa stagione ci allontaniamo:
da ogni orgoglio che finirebbe per possederti,
da ogni bugia che finirebbe per avere paura di te,
da ogni fardello che finirebbe per dare la colpa a te.
Cambiamo direzione in questa stagione:
dal nostro isolamento ci rivolgiamo agli altri,
dal nostro caos arriviamo alla pace interiore,
dalle nostri croci di vergogna ci volgiamo non alla gloria ma alla solidarietà.
Noi speriamo contro la speranza…
promesse, genti, nomi!
Amen.
I passi biblici di questa settimana: Genesi 17,1-7; 15-16; Salmo 22,23-31; Romani 4,13-25; Marco 8,31-38 o 9,2-9.
Testo originale: Hoping Against Hope For A Humble Future