“Sperare contro ogni Speranza”. Volti e storie di speranza nel quotidiano
Riflessioni bibliche tenute da suor Stefania Baldini* all’incontro biblico online della Tenda di Gionata su “Sperare contro ogni Speranza” del 29 aprile 2020
“Così dice il Signore: Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43, 18-19)
Mi sono interrogata molto su come pensare la speranza. E mi sembra che la speranza è nella vita stessa. E’ attesa di vita ulteriore. Dal momento in cui una creatura nasce esprime il suo istinto di sopravvivenza, nasce per vivere e spera e chiede di essere soddisfatta nei bisogni primari, cibo e amore, tenerezza.
Questa vita piena tutti l’andiamo via via cercando, in tante forme diverse, anche lungo sentieri senza sbocco a volte, conosciamo delusioni e scoraggiamento, come pure tempi in cui torniamo a riprendere cammino.
Quando si verificano situazioni che ci toccano da vicino, o che coinvolgono intere comunità come guerre, pandemie, terremoti ..dove nessuno è al sicuro – allora si fa prepotente il bisogno di pensare agli altri perché dai tempo allo sguardo di fermarsi e capire e scoprire anche che ci sono persone dimentiche di sé che sono già lì a dare conforto, a infondere speranza.
Penso sia molto bello, in questo momento, che ci siano da parte di gruppi, chiese, comunità religiose, tante proposte di preghiere da fare insieme, perché è invito a mettere[s1] [s2] sul tavolo la tua speranza a disposizione di chi ne ha bisogno. Non è preghiera per chiedere interventi miracolosi, Gesù chiaramente ai discepoli ha detto che ormai toccava a loro agire nella storia.
“In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20).
E Giovanni nell’ultima cena con i discepoli ribadisce questa verità
“In verità, in verità vi dico: “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” Gv 14,12.
Viene abbastanza naturale leggere in questa chiave la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
“Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qua». E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati” (Mt 14,15-20).
Signore, questa gente è stanca, non ha niente da mangiare, bisognerà rimandarla alle proprie case, oppure che vada a comprarsi qualcosa, pensaci. Gesù dice: dategli voi da mangiare. Ma come si fa? C’è solo un ragazzo che ha un po’ di pane e un po’ di pesci. Va bene. Fate sedere le persone e distribuite il cibo dopo che lo avrò benedetto
Il miracolo avviene sulla parola di Gesù e l’affidamento a quella Parola da parte dei discepoli. hanno fame? Date voi del pane. Signore, la gente è angosciata – date voi la serenità; non ha più speranza – condividete la vostra. E’ questo il miracolo in cui non crediamo. Perché la speranza, il coraggio di resistere si trasmettono se sono coltivati abitualmente dentro di noi, e giungono dove non ci è dato sapere.
Per cui le nostre preghiere non chiedono un intervento miracoloso ma invocano conversione del cuore a un amore senza riserve che si prenda cura del dolore del prossimo “tu pasci il mio gregge, il mio popolo, i miei fratelli” è il mandato di Gesù a Pietro, e quindi alla chiesa tutta. E Gesù sa che Pietro non è ancora pronto a questo ma gli affida ugualmente il compito.
Sono convinta, per esperienza personale, che il Signore dà i doni al tempo opportuno, ridà speranza, tramite altri fratelli.
Faccio una parentesi per dirvi la mia esperienza. Nel ’44 io avevo 12 anni e mezzo, avevo paura, con l’intransigenza tipica dell’età, ero delusa degli adulti che mi sembravano come assuefatti a quell’assurdo – mentre io mi chiedevo perché i morti erano numeri e non avevano nome, né figli, né affetti né sogni di cui ci si dovesse preoccupare. Pensavo che se una giustizia ultima, divina, non fosse esistita a restituire vita e affetti a quei morti anonimi, allora non valeva la pena di vivere. Nel ‘45 accettai l’invito dell’amica vicina di casa di andare il sabato pomeriggio al ritrovo studentesco nei locali della nostra parrocchia e lì veniva un frate che faceva un breve incontro. Diceva cose bellissime, con parole semplici ma incisive. Però io continuavo a pensare: è bello quello che dici ma non lo credi…sono tutte solo parole…
Dopo qualche mese venne e con un po’ di dispiacere per dover interrompere il programma che avevamo fatto, disse che lo mandavano a Sondalo – all’epoca si sapeva tutti che Sondalo era un sanatorio in provincia di Sondrio e che la TBC non era cosa da poco – e per tranquillizzarci disse ridendo che quando lo avessero rimandato a Firenze si sarebbe recuperato il tempo perduto.
Provai rimorso ad aver dubitato – aveva 26 anni, c’era la possibilità concreta che non ce la facesse, eppure lui accettava la situazione Allora – pensai – almeno lui crede in Dio . e questo mi basta, è sufficiente. All’andare nello stesso tempo presi coscienza della stupidità ma anche della cattiveria di giudizi negativi sugli altri, come se fosse un sottrarre loro una parte di vita. Ed è un pensiero che mi ha sempre accompagnato.
Chi aiuta a sperare è l’altro, colui o colei che posa uno sguardo buono, grato su tutto ciò che è bellezza, che coglie le sfumature e intuisce le attese e le potenzialità di chi è lì accanto e di quella persona si prende cura. E si dimentica di sé, perché il bisogno altrui ha la precedenza assoluta. Gesù così si muove, percepisce l’invocazione anche quando è silenziosa (cfr. l’emorroissa) ma anche Zaccheo.
E quando entri in questa logica sai che non puoi tirartene fuori: anche tu esisti come prossimo dell’altro e poi capisci che l’altro è libero, tu non lo trattieni, neppure gli rimproveri dentro di te il fatto che ti dimentichi ecc. (Pietro: quello che ho te lo dò)
Lasciare andare è legato alla speranza che le persone vadano per la loro strada e trovino risposte. Dare fiducia anche quando non c’è niente che inviti a farlo è davvero splendido, anche se l’altro può deluderti.
Mi ha molto colpito un commento di Don Alessandro Santoro fatto di recente, al testo di Gv 21, 2ss:
…si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!».
I discepoli, tristi e spersi seguono Pietro che a un certo punto dice: io vado a pescare. Finita la speranza, finito il senso del tempo trascorso al seguito di Gesù, faticano tutta la notte ma tornano al mattino senza aver preso nulla.
Il Commento che don Alessandro ha fatto di questo ritorno mi ha colpito, non ci avevo mai pensato: questi uomini che non riescono a ridarsi una ragione di vita, stanchi, vedono un uomo sulla riva che non conoscono, che chiede loro da mangiare, che dà un suggerimento assolutamente assurdo per un pescatore, quello di gettare le reti all’alba e inoltre dalla parte improbabile, questi uomini, senza batter ciglio, senza sghignazzargli in faccia, accolgono la richiesta.
Alessandro diceva: questo è osare la speranza. Io penso possa significare per tutti noi oggi coltivare un umile sentire di sé che accoglie una parola semplice come possibile sapienza.
Mi è venuto in mente Naaman il Siro (2Re 5,11-13) lebbroso, che arriva alla casa del profeta Eliseo sperando di venir guarito e si sente dire da un messaggero di Eliseo di bagnarsi sette volte nel Giordano. Si sente offeso nel suo prestigio, il profeta non si è neppure degnato di andargli incontro…
E, voltatosi, se ne andava infuriato. Ma i suoi servitori si avvicinarono a lui e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l’avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha detto: “Làvati, e sarai guarito”». 2Re 5,11-13)
E Naaman, il capo dell’esercito del re di Siria, ascolta i servi e ne accoglie la parola sapiente
Davvero lo Spirito soffia dove vuole e senza consultarci. Qualcosa germoglia, come non ve ne accorgete?
[La speranza di chi crede o cerca di credere in Dio e di fidarsi di lui non si aspetta – non pretende – di vedere i risultati del suo agire, non può vantarsi di niente, sa che la sua speranza viene da altre persone che sono capaci di amare perché non ripiegate su se stesse, e ti contagiano, ti modificano. Così a tua volta non puoi far conto di non aver ricevuto il dono che ti è stato affidato e hai da offrirlo a tua volta …]
Non ho preso in considerazione fin qui un aspetto importante – quello sociale e politico – della speranza. Di fronte alla repressione, alla violenza, a una politica che discrimina i più deboli e favorisce i poteri forti, di fronte a qualunque tipo di sopraffazione, chiunque abbia una coscienza retta e si prenda cura del suo prossimo non può non chiedersi: ma io cosa faccio? Scelgo di chiudere gli occhi, dico: cosa posso farci? Oppure mi indigno? L’indignazione poi… non basta come dice Pietro Ingrao.
Negli anni si sono moltiplicati per me i volti e le voci di uomini e donne e quando mi fermo a pensarli l’animo si dilata. Molti erano persone comuni, che sono vivi in me e che mi hanno regalato scintille di sapienza. Altri hanno sperato fortemente in un mondo più umano e solidale, si sono impegnati per contribuire a realizzarlo, anche pagando a caro prezzo la loro scelta, perché la vita è intessuta di grandi sofferenze e anche di gioie insperate ed è difficile tenerle insieme nel silenzio misterioso del nostro essere.
Vorrei leggervi alcuni testi che mi hanno accompagnato insieme alla liturgia in questo tempo pasquale ….
Lo scrittore Antonio Tabucchi in una intervista rilasciata poco tempo prima della sua morte agli amici delle Piagge dice:
“Cos’è l’indignazione? Trovarsi di fronte a una sopraffazione e sentire un moto di rivolta, dire: “No, così non può essere, non lo posso tollerare!” Dopodiché l’indignazione può essere a vari gradi, a vari livelli…Certo, intanto che la si senta bollire dentro di sé, è già una manifestazione dell’umanità che noi abbiamo, dopodiché come essa lavora dentro di noi, e quale azione ci spinge a compiere dipende dalle nostre scelte…ma l’indignazione è anche importante, fruttuosa, quando diventa operativa, quando da quello che è un moto dell’animo scende a quella che noi chiamavamo l’esperienza aristotelica, e cioè ci fa fare qualcosa”. (Tabucchi, Uno strano amore edizioni Piagge pp.112-113)
E per concludere con un incredibile inno alla speranza leggo una parte della BALLATA della SPERANZA di Padre Davide Maria Turoldo ((in Il sesto angelo, Milano, 1976, pp.4-8)
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
ferocemente sperassimo
sperassimo con le pietre
e gli alberi e il grano sotto la neve
e gridassimo con la carne e il sangue
con gli occhi e le mani e il sangue;
sperassimo con tutte le viscere
con tutta la mente e il cuore
Lui solo sperassimo;
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell’intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
sperassimo con la forza cieca
del morente che non vuol morire,
come l’innocente dopo il processo
in attesa della sentenza,
oppure con il condannato
avanti il plotone d’esecuzione
sicuro che i fucili non spareranno;
se sperassimo come l’amante
che ha l’amore lontano
e tutti insieme sperassimo,
a un punto solo
tutta la terra uomini
e ogni essere vivente
sperasse con noi
e foreste e fiumi e oceani,
la terra fosse un solo
oceano di speranza
e la speranza avesse una voce sola
un boato come quello del mare,
e tutti i fanciulli e quanti
non hanno favella
per prodigio
a un punto convenuto
tutti insieme
affamati malati disperati,
e quanti non hanno fede
ma ugualmente abbiano speranza
e con noi gridassero
astri e pietre,
purché di nuovo un silenzio altissimo
– il silenzio delle origini –
prima fasci la terra intera
e la notte sia al suo vertice;
quando ormai ogni motore riposi
e sia ucciso ogni rumore
ogni parola uccisa
– finito questo vaniloquio! –
e un silenzio mai prima udito
(anche il vento faccia silenzio
anche il mare abbia un attimo di silenzio,
un attimo che sarà la sospensione del mondo),
quando si farà questo
disperato silenzio
e stringerà il cuore della terra
e noi finalmente in quell’attimo dicessimo
quest’unica parola
perché delusi di ogni altra attesa
disperati di ogni altra speranza,
quando appunto così disperati
sperassimo e urlassimo
(ma tutti insieme
e a quel punto convenuti)
certi che non vale chiedere più nulla
ma solo quella cosa
allora appunto urlassimo
in nome di tutto il creato
(ma tutti insieme e a quel punto)
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!
Allora come il lampo guizza dall’oriente
fino all’occidente così
sarà la sua venuta
e cavalcherà sulle nubi;
e il mare uscirà dai suoi confini
e il sole più non darà la sua luce
né la luna il suo chiarore
e le stelle cadranno fulminate
saranno scosse le potenze dei cieli.
E lo Spirito e la sposa dicano: Vieni!
e chi ascolta dica: vieni!
e chi ha sete venga
chi vuole attinga acqua di vita
per bagnarsi le labbra
e continuare a gridare: vieni!
Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo – perché già viene.
E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest’unica voce
questa sola voce si oda:
VIENI VIENI VIENI, Signore!
– Allora tutto si riaccenderà
alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima
son sono più
e non ci sarà più né lutto
né grido di dolore
perché le cose di prima passarono
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
E una nuova città scenderà dal cielo
bella come una sposa
per la notte d’amore
(non più questi termitai
non più catene dolomitiche
di grattacieli
non più urli di sirene
non più guardie
a presiedere le porte
non più selve di ciminiere).
– Allora il nostro stesso desiderio
avrà bruciato tutte le cose di prima
e la terra arderà dentro un unico incendio
e anche i cieli bruceranno
in quest’unico incendio
e anche noi, gli uomini,
saremo in quest’unico incendio
e invece di incenerire usciremo
nuovi come zaffiri
e avremo occhi di topazio:
quando appunto Egli dirà
” ecco, già nuove sono fatte tutte le cose “
allora canteremo
allora ameremo
allora allora…
* suor Stefania Baldini dell’Unione di San Tommaso da anni è impegnata nella comunità di periferia delle Piagge e nell’accompagnamento spirituale di Kairos, il gruppo di cristiani LGBT e i loro genitori di Firenze.
> Slide bibliche dell’incontro tenuto da suor Stefania Baldini (file PDF)