Stella Caeli Extirpavit. Il vero senso di un’antica preghiera per il tempo dell’epidemia
Riflessioni di Francesco Gagliardi del Gruppo Giovani Cristiani LGBT+ del Guado di Milano
Nei tempi del corona virus alcuni cantori e cori hanno ripreso questa antica e bellissima supplica «tempore pestis – Stella Caeli Exstirpavit», di tradizione Francescana, che ha avuto origine, probabilmente, nella città di Coimbra in Portogallo, presso il monastero delle monache di Santa Chiara, durante una violenta pestilenza nel 1317. Vi proponiamo questa nostra versione accompagnata da pianoforte:
Vedi questo video per una versione non accompagnata di Padre Ferraldeschi O.F.M., e questo invece per un esempio della stessa in polifonia del compositore Giuseppe Corsi di Celano (1631-1691)
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La bellezza del testo di questa supplica viene spesso sottostimata per via di traduzioni fuorvianti, che introducono il tema del castigo divino (“si degni ora questa stella di placare il cielo che irato contro la terra, distrugge i popoli”), concetto però del tutto assente nella versione originale in latino (“Ipsa Stella nunc dignetur sidera compescere, Quorum bella plebem cædunt”) dove le parola ‘ira’ non compare. Inoltre, la parola ‘cieli’ è una traduzione creativa di ‘sidera’.
Tale sostantivo è letteralmente traducibile come ‘stelle’ oppure ‘costellazione’, e riflette la superstizione medievale che la peste fosse causata da una cattiva congiunzione stellare. Tradurre ‘sidera’ come ‘cieli’ altera il contenuto teologico della supplica in quanto, a differenza di ‘stelle’, la parola ‘cieli’ nella tradizione cristiana viene usata per denotare Dio stesso, dal momento che il cielo è sede della divinità (‘Padre nostro, che sei nei cieli’). Pertanto, l’utilizzo della locuzione “cielo irato” rimanda ad una idea di Dio come castigatore.
Per una migliore comprensione, si propone un paragone fra il latino, la traduzione comune, e quella dei volontari di Gionata, più letterale e fedele alla versione antica:
In sintesi, oltre ad essere infedele, la traduzione comune è anche teologicamente problematica perché la visione della sofferenza come punizione divina è difficilmente compatibile con l’insegnamento della Chiesa nei suoi vangeli (come spiegato elegantemente da Don Francesco Vermigli, docente di teologia dogmatica in questo articolo uscito recentemente, sempre nel contesto del Corona Virus), e lontanissima dall’intenzione originale delle monache che scrissero questa supplica, in cui non c’è né Ira né castigo, ma l’amore di Dio per il suo creato e per la Sua madre.