Dallo Stonewall al Pride, il cammino verso la visibilità delle persone LGBT
Testo di Stéphane Riethauser pubblicato sul sito dell’associazione Lambda Education (Svizzera) nel 2004, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
L’epoca della vergogna. Siamo nella New York degli anni ’60. In tutto lo Stato di New York è proibito servire bevande alcoliche agli omosessuali, è illegale ballare tra uomini e assolutamente vietato travestirsi. Ma al 53 di Christopher Street, nel cuore del Greenwich Village, lo Stonewall Inn è uno dei pochissimi bar in cui i gay possono ritrovarsi, malgrado le frequenti retate della polizia.
Gestito da tre padrini della mafia, lo Stonewall mira esplicitamente alla clientela gay, che procura loro dei bei profitti. Durante il weekend vi si ritrovano più di duecento persone che ingollano cocktail adulterati.
Ogni settimana “Fat” Tony, il padrone, unge gli ufficiali di polizia del sesto distretto con una busta contenente 2.000 dollari.
I poliziotti organizzano regolarmente retate allo Stonewall, ma dopo le solite umiliazioni e qualche arresto permettono che il bar riapra. I clienti, abituati alle spedizioni punitive e agli insulti, tengono la testa bassa e soffrono in silenzio.
È un’epoca di vergogna. Le pochissime organizzazioni omofile esistenti, tra cui la Mattachine Society, fondata in California negli anni ’50, raccomandano la discrezione assoluta e operano dietro le quinte.
Craig Rodwell, un giovane di Chicago, sbarca a New York nei primi anni ’60 e si unisce immediatamente alla Mattachine Society. Nel 1965 organizza la prima manifestazione omosessuale a Washington, di fronte al Campidoglio.
Sotto l’occhio attonito della polizia e dei passanti una trentina di intrepidi incravattati sfila in silenzio con dei cartelli che reclamano diritti per gli omosessuali. Nel 1967 Craig apre la prima libreria gay al mondo, l’Oscar Wilde Bookshop in Christopher Street, tutt’ora esistente.
Anno dopo anno la Mattachine ripete l’esperienza della manifestazione ogni 4 luglio, Festa dell’Indipendenza, a Filadelfia, ma lo sgomento di Craig è sempre più forte. Quel pugno di militanti dall’aspetto pulito e perbene potrà mai cambiare le cose?
Le rivendicazioni omosessuali rimangono lettera morta persino nel tumulto della rivoluzione studentesca, delle proteste contro la guerra in Vietnam, delle rivendicazioni afroamericane delle Pantere Nere e dei primi passi della lotta femminista.
I giovani della Nuova Sinistra si rifiutano di sostenere la causa gay e la stragrande maggioranza degli omosessuali stessi non è disposta a nessun patto ad uscire dal nascondiglio.
Una retata di troppo
Craig, habitué dello Stonewall, come gli altri clienti subiva le umiliazioni della polizia senza batter ciglio. Ma all’una di notte di venerdì 27 giugno 1969, mentre si avvicina al locale, Craig intravede un assembramento all’esterno. Si sta svolgendo una nuova retata della polizia, la seconda in meno di quindici giorni.
Dentro il bar gli sbirri stanno seviziando i clienti con più brutalità del solito. Il cellulare attende di fronte all’entrata: vi salgono una a una delle drag queen ammanettate. Fra loro sta Tammy Novak, 18 anni, figura emblematica dello Stonewall. Questa sera l’aria è elettrica.
Il mattino precedente era stata sepolta a qualche isolato di distanza Judy Garland, l’idolo di tutti i gay. Ed ecco che, oltre a perdere la loro star preferita, partita per raggiungere il suo arcobaleno, gli omosessuali subiscono una nuova umiliazione.
La folla, solitamente silenziosa, comincia a manifestare, monta la collera e qualcuno, imbaldanzito, osa lanciare insulti: “Sbirri schifosi! Lasciate stare i pederasti!”. Cominciano a volare monete e bottiglie di birra. Tammy riceve dei colpi di randello mentre viene spinta verso il cellulare; subito risponde con un gancio diretto al poliziotto.
All’interno del furgone un’altra drag queen di 18 anni, Martin Boyce, sferra un colpo con il piede alla portiera e fa cadere un poliziotto. Due altre drag queen tentano di fuggire ma vengono riacciuffate e riempite di botte.
A partire da questo momento la folla diventa isterica. “Merde!” “Poliziotti figli di puttana!” “Gay power!” (“Potere gay!”) si sente urlare. Alcuni mattoni spaccano la vetrina del bar. Si sradicano parchimetri, si dà fuoco alla spazzatura. Spaventata dalla folla, la polizia si trincera nel locale. I gay hanno preso il controllo della via, la rabbia è al culmine; in pochi minuti gli omosessuali si sono rivoltati.
Le unità antisommossa non tardano ad arrivare. Craig Rodwell telefona immediatamente alla stampa: sul posto vengono mandati in breve dei reporter. La sommossa dura quasi tutta la notte. Ci sono numerosi feriti.
Verso le quattro del mattino la polizia riprende il controllo della situazione. L’indomani, i tre grandi quotidiani newyorchesi riferiscono dell’avvenimento. Fin dal mattino una folla numerosa si riunisce di nuovo di fronte al bar e gli scontri riprendono. Craig ha redatto un volantino: “Basta con la mafia e gli sbirri nei bar gay!” e predice che la rivolta della sera prima entrerà nella Storia.
Divisioni interne
La battaglia di strada continua, a intermittenza, per cinque giorni; di conseguenza una frangia di gay, Craig Rodwell in testa, cessa di adottare il solito profilo basso.
Ma la maggioranza degli omosessuali non vede di buon occhio questi avvenimenti, soprattutto la Mattachine Society, che fa scrivere sui muri dello Stonewall: “Noi omosessuali chiediamo alla nostra gente di rimanere pacifica e di adottare un atteggiamento tranquillo nelle strade del Greenwich Village”. I travestiti che turbano l’ordine pubblico non possono che rafforzare gli stereotipi!
Il 4 luglio, dopo una nuova notte di scontri, Craig Rodwell si reca a Filadelfia per la tradizionale manifestazione organizzata dalla Mattachine per la Festa dell’Indipendenza. Quello che stava succedendo a Stonewall aveva infuso coraggio in alcune persone.
Due donne si tengono per mano ma il leader della Mattachine, Frank Kameny, preoccupato dell’immagine irreprensibile che vuole proiettare, le separa. È troppo per Craig. In quel preciso momento diviene chiaro nella sua mente che deve cominciare una nuova era.
Sono finite le ridicole manifestazioni silenziose che sanciscono la vergogna, è ora di passare all’azione e di mostrarsi in piena luce! “Christopher Street Liberation Day!” (“Il giorno della liberazione di Christopher Street!”) pensa Craig. L’anno prossimo cominceremo a commemorare gli avvenimenti di Stonewall!
“Come out!”
Di ritorno a New York Craig si allontana dalla Mattachine, mobilita le sue conoscenza e fonda il Gay Liberation Front (Fronte di Liberazione Gay). Nel dicembre 1969 viene creata un’altra associazione, la Gay Activist Alliance (Alleanza per l’Attivismo Gay).
Per quanto riguarda le lesbiche, alcuni tentativi per mettere in piedi delle associazioni si arenano ma le donne, pur se in minoranza, sono presenti nella GLF. In parallelo, Craig organizza il comitato organizzativo del Christopher Street Liberation Day.
Foster Gunnison, un altro attivista, sottolinea le difficoltà del comitato a raccogliere adesioni: “Il problema principale è il segreto, la paura, l’incapacità degli omosessuali a uscire dal nascondiglio”.
Determinati a far vivere la Christopher Street Liberation Day Parade, Craig e Foster organizzano una colletta, raccogliendo solamente un migliaio scarso di dollari. Ordinano dei manifesti e una quindicina di giovani cammina fieramente per le strade con lo slogan “Come Out” (“Uscite allo scoperto”).
Quando richiedono finalmente l’autorizzazione a manifestare, le autorità esigono una garanzia di 1,25 milioni di dollari e il capo della polizia Ed Davis afferma pubblicamente che “accordare il permesso a questa gente sarebbe come incomodare i cittadini autorizzando una sfilata di ladri e banditi”.
L’American Civil Liberties Union (Unione Americana delle Libertà Civili), un’associazione di mobilitazione nella lotta per i diritti dei gay, porta la questione in tribunale. Appena qualche ora prima dell’inizio della manifestazione, domenica 28 giugno 1970, il giudice accorda finalmente l’autorizzazione, dichiarando le richieste di garanzia troppo elevate.
Il luogo di raduno è Washington Place, all’angolo della Sesta Avenue. Poco prima delle due del pomeriggio si ritrova qualche decina di giovani. Il nervosismo è al culmine.
Centinaia di poliziotti fiancheggiano la strada. Circola la notizia che, alla vigilia, cinque giovani gay sono stati picchiati a colpi di mazza da baseball e si sono poi fatti cacciare dal commissariato sotto la minaccia di essere incriminati per “condotta immorale” se avessero sporto denuncia.
Nessuno sa se il grido di raccolta verrà ascoltato.
Nessuno sa cosa attendersi. Gli sbirri non muovono un muscolo. Vola qualche insulto, ma niente di più. Poco a poco, alcune centinaia di gay e lesbiche si raccolgono sotto vari vessilli: “Gay Pride”, “Gay is Good” (“Gay è buono”).
Alle due e un quarto, con le loro t-shirt ornate del segno di Lambda, morti di paura ma senza più nulla da perdere, questi ragazzi e queste ragazze si lanciano insieme in avanti brandendo il pugno e gridando con tutta la forza dei loro polmoni: “GAY POWER!”.
Durante il percorso altri omosessuali ingrossano i ranghi dei manifestanti. In totale, più di duemila gay e lesbiche risalgono la Sesta Avenue fino a Central Park. All’arrivo, lacrime di gioia rigano il volto di Craig e dei suoi amici: la scommessa è riuscita. Che euforia!
Unendo le loro forze erano finalmente riusciti ciascuno e ciascuna a superare le proprie paure e a partecipare a quell’inimmaginabile raduno privo di scontri, il primo della Storia di gay e lesbiche, testimone di un passato doloroso e incerta speranza di un futuro migliore.
Una tappa fondamentale
I moti di Stonewall segnano l’inizio dell’emancipazione omosessuale? Non proprio. Fin dal XIX secolo in Europa dei pionieri come lo svizzero Glaris Heinrich Hössli e il tedesco Karl Heinrich Ulrichs osano rivendicare il diritto di amare una persona dello stesso sesso.
All’inizio del XX secolo il berlinese Magnus Hirschfeld, certamente il più grande attivista gay di tutti i tempi, lancia il Comitato Scientifico Umanitario e in seguito l’Istituto per la Ricerca Sessuale e contribuisce allo straordinario movimento di liberazione gay nella Germania di Weimar, prima che la barbarie nazista cancelli quasi ogni traccia del suo lavoro.
All’indomani della seconda guerra mondiale è da Zurigo che si diffondono le rivendicazioni omosessuali, soprattutto con la pubblicazione di Der Kreis (Il circolo), che fino al 1967 sarà l’unica rivista gay internazionale.
All’interno del movimento del Maggio ’68 viene creato in Francia il Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire (Fronte Omosessuale di Azione Rivoluzionaria) e in Svizzera il Groupe de Libération Homosexuelle de Genève (Gruppo di Liberazione Omosessuale di Ginevra).
Senza dubbio però i moti di Stonewall segnano una tappa fondamentale dell’emancipazione gay; sono la fonte e il simbolo di una rivoluzione internazionale e costituiscono l’inizio dell’autentica visibilità, di un cambiamento radicale d’atteggiamento: alla vergogna si sostituisce finalmente la fierezza gay, il gay pride.
A partire dal 1971 vengono organizzati i primi Gay Pride europei, a Londra e Parigi. Il primo Gay Pride svizzero (Berna, 1979) raduna 300 omosessuali. Dopo Zurigo, qualche anno fa, il fenomeno si espande nella Svizzera romanda: nel 1997 quasi 2.000 persone sfilano per le vie di Ginevra, il doppio l’anno seguente a Losanna.
Poi è il turno di Friburgo di accogliere la grande fiera omosessuale, che raduna più di 15.000 persone; infine Berna, la capitale, prima che il movimento raggiunga il Vallese nel 2001 suscitando grandi controversie, le rive del Lago di Neuchâtel nel 2002 e la capitale dello Jura Delémont nel 2003.
Sì, i costumi cambiano. Il messaggio della fierezza fa adepti. Trent’anni dopo i moti di Stonewall il Gay Pride viene celebrato in più di 150 città del mondo.
I Paesi scandinavi hanno già adottato le unioni civili da una decina d’anni; la Francia e la Germania hanno votato i PACS. Anche la Svizzera sembra disposta a concedere uguali diritti alle coppie omosessuali.
Ma, se sulla carta vediamo una relativa accettazione, questo non accade nella vita quotidiana, a parte in certi ambienti urbani.
Il problema di fondo non è cambiato: l’omofobia ha solide radici e la maggioranza dei gay e delle lesbiche continua a vivere reclusa nel nascondiglio della vergogna e della paura sul lavoro, in famiglia, a scuola e per strada.
Possa il Pride, con un messaggio politicamente forte, aumentare ulteriormente la visibilità e la fierezza proponendo il rispetto delle varie forme di amore.
Testo originale: Retour à Stonewall: 35 ans de fierté et de visibilité gay