Storie di famiglia. Avere un figlio omosessuale
Articolo di Philippe Chevallier tratto dal sito Croire.com (Francia) del novembre 2010, liberamente tradotto da Marco Galvagno
L’omosessualità è diventata molto visibile nella nostra società. Le famiglie spesso sono le prime scosse da una realtà spesso difficile che a volte fan fatica a capire.
Dopo un lungo periodo di clandestinità l’omosessualità è diventata molto visibile nella nostra società, mettendo a soqquadro le nostre rappresentazioni sui rapporti tra i sessi e l’affettività.
Benjamin 23 anni è gravemente ammalato. Il suo compagno Marc va a trovarlo tutti i giorni all’ospedale. Nella cameretta con vista sulla Senna, incontra spesso i genitori di Ben, si conoscono poco ed è intorno al capezzale di Ben che si sforzano di farlo meglio.
Marc capisce che le parole che l’avevan ferito erano dovute soprattutto alla goffaggine, dal canto loro i genitori scoprono che l’amore che vive il loro figlio sopravvive alla prova del tempo e alla malattia.
Come medico nel reparto di questo grande ospedale parigino constato con piacere stanno facendo amicizia. “Marc è un bravo ragazzo”, mi dice la mamma di Ben. C’era proprio bisogno della malattia perché queste persone si conoscessero ed apprezzassero. Perché così tardi?
La sessualità dei figli colpisce nell’intimo i genitori.
Tra le varie prove che devono affrontare dei genitori la scoperta dell’omosessualità di un figlio o figlia occupa un posto particolare. Addolora in una maniera non paragonabile alle normali delusioni: ” mio figlio vuol far l’artista , mia figlia è una buona a nulla”. Queste situazioni sono destabilizzanti, ma non colpiscono il padre o la madre nell’immagine che ha di se stesso. Qualcosa di più intimo viene toccato quando una coppia scopre che la carne della loro carne ha un orientamento sessuale diverso dal loro.
Questo significa che il figlio nato dalla loro unione li lascerà per un’altra vita diversa da quella che hanno costruito, una vita sulla quale non potranno proiettare i propri modelli. Se il figlio è una maniera per loro di continuare a vivere oltre la morte, vorrebbero che questa vita continuasse nella stessa direzione: si sposerà come i genitori, amerà come loro, sarà padre o madre come loro.
L’angoscia di uno scarto insormontabile si insinua nelle scelte professionali e coniugali dei figli. Ma in questo caso l’angoscia è duplice, non è solo un lavoro, o una maniera di vivere diversa, ma una sessualità che separa, cioè una maniera di vivere il proprio corpo, è la propria identità, una modalità diversa di essere uomo o donna in mezzo alle donne e agli uomini.
Spesso questa ferita si accompagna a un senso di colpevolezza. I genitori hanno la tendenza a concepire l’omosessualità del figlio come una propria sconfitta. ” Cosa abbiamo sbagliato, da farlo diventare così? La scoperta può anche provocare una paura legittima: ” che ne sarà di lui nel nostro mondo? Subito arrivano alla rinfusa delle immagini omofobe ancora ben radicate in certi ambienti socio- professionali, quella del disprezzo ( cosa dirà il resto della famiglia), quella dell’aids, quella di un mondo gay aggressivo, godereccio, superficiale, ridotto a qualche cliché.
Stranamente a volte la scoperta può essere anche accompagnata da un segreto senso di sollievo. Un vecchio dubbio viene tolto, le cose sono chiare, e si è ancora più felici quando le cose vengono dette.
La scossa può essere l’occasione per un dialogo di confidenza e rispetto da entrambe le parti, una maniera di riscoprirsi padre- madre e figlio o figlia, come non lo si aveva previsto. L’irruzione dell’inatteso è sempre violenta, ma porta la famiglia a riflettere su ciò che conta veramente per lei: la conformità ad un modello ideale o la crescita personale dei suoi componenti.
Andare al di là della semplice tolleranza.
I vescovi americani hanno pubblicato nel 1997 un testo rivolto alle famiglie ” sono sempre nostri figli”. Il testo è una mano tesa verso i genitori a volte ed è un invito concreto all’accoglienza senza scappatoie. L’accoglienza è un ‘avventura, non un punto di arrivo, per i genitori bisogna poter parlare, dire ciò che li imbarazza, ciò che è uno shock per loro.
C’è ugualmente una maturazione nel tempo che troppe domande dirette o l’eccessiva voglia di sapere possono mandare in tilt. Accogliere significa al contrario accettare il fatto che non conosciamo un’affettività diversa dalla nostra, riconoscere uno scarto che ci impedisce d’immaginare ciò che può vivere il figlio omosessuale nelle sue relazioni. é una questione di tempo e di rispetto. Soprattutto non si tratta solo di chiedersi ciò che si accoglie : questo amico, quel comportamento, ma si tratta di dare a queata accoglienza la tonalità giusta.
L’accoglienza non può ridursi alla semplice tolleranza o a una pietà che umilia le persone. Vi è della sofferenza: la vita sociale mette incessantemente l’omosessuale a confronto sul problema del sapere cosa dire o non dire alle persone, attraverso i gesti e le parole. Deve scegliere se confessare o dissimulare. In queste condizioni anche la vita quotidiana può avere un gusto amaro.
Ma sarebbe una trappola concepire la vita del proprio figlio come un problema doloroso per se stesso. ” Ma nostro figlio non sarà mai felice, come lo siam stati noi”, senza dubbio non sarà felice come voi, lo sarà a modo suo. La felicità umana non si piega a norme generali che distribuisce in funzione delle condizioni di vita, è sempre una felicità situazionale, una felicità relazionata alla storia individuale. La felicità può nascere quando la storia personale ripresa e accettata non ha più le forme della fatalità, ma diventa passione per la libertà.
L’individuo non accede alla libertà, sottomettendosi immediatamente a ciò che è, ma nemmeno negandolo con ostinazione, vi accede appropriandosene. è un movimento che ognuno di noi è chiamato a fare per se stesso e può avere una risonanza spirituale.
Famiglia e cultura gay
Resta la questione importante della cultura gay contemporanea, che non esiste come un tutt’uno costituito, è un movimento plurale e in cammino. Quando un figlio parla per la prima ai suoi genitori del proprio orientamento sessuale, appartiene già a una rete di amicizie e relazioni in cui ha potuto verbalizzare i propri desideri.
Questa rete d’amicizie può funzionare come gruppo chiuso, ma permette anche ai giovani omosessuali di scambiare idee ed esperienze su ciò che stan vivendo e affrontare il principio di realtà. L’importante è che questa rete non sia per loro l’unico ambiente di vita, rischia di diventarlo quando le famiglie non consentono un dialogo libero e sereno.
Lavorando per vari anni nella lotta all’aids ho affiancato molti giovani omosessuali che non vivevano ne un inferno, ne un problema doloroso, la loro appartenenza chiara a una comunità non era per loro una contraddizione con la profonda aspirazione a costruire una vita che avesse la propria coerenza e la propria dignità. Con un senso acuto di responsabilità ed una maturità, che le battaglie dell’infanzia avevano acuito, si sforzavano di inventare un modo di vita che non si limitava ad esporre incessantemente una sessualità particolare.
Interrogato sulla questione gay nel 1981, Michel Focault aveva sottolineato l’importanza per gli omosessuali di non limitarsi al problema della sessualità, ma di costruire relazioni diversificate che possano includere l’amicizia e anche una certa ascesi.
Per molti questa arte di vivere resta ancora da costruire, le famiglie hanno un ruolo da svolgere in questa costruzione. Se riescono ad essere per i giovani gay un luogo di respiro e apertura, avranno compiuto la loro missione profetica. Missione indubbiamente difficile che coinvolge meno la forza di quanto non implica la vulnerabilità del singolo, dato che si tratta dell’intimità dei figli e dei genitori. Ci si può documentare sulle scienze umane, ma spesso gli approcci sono diversi e contrastanti. In campo psicoanalitico non c’è unanimità su questo argomento.
Testo originale: Un fils homosexuel