Vite spezzate. Storie di ordinaria omofobia dalla veglia di Milano
Quella di essere aggrediti quando non si nasconde la propria omosessualità è un’esperienza che è capitata a tanti.
E spesso l’aggressore non si ferma agli insulti, ma passa alla violenza fisica con conseguenze che, talvolta, possono risultare fatali.
Essere lesbiche significa rischiare due volte: in quando donne, innanzi tutto; in quanto omosessuali, in secondo luogo. Ne sanno qualcosa le due ragazze che, lo scorso 13 ottobre, hanno subito un’aggressione da parte di due uomini che, dicendo loro: «Quelle come voi, al nostro paese sarebbero lapidate» le hanno picchiate lungo un argine di Padova.
Ne sa qualcosa la giovane attivista di Rifondazione Comunista di Trento che è stata aggredita il 10 maggio del 2009 da due energumeni che l’hanno spintonata al grido di «Froci!».
«Non è un paese per transessuali!». Questa la riflessione che nasce leggendo le pagine di cronaca. Non occorre chiamarsi Brenda e finire al centro di un giro losco che coinvolge il presidente della regione Lazio per lasciarci la pelle.
Lo testimonia il corpo trovato dalla polizia il 26 marzo scorso nei pressi di Parma, oppure quello rinvenuto a Roma il 29 dicembre. E poi ci sono le tante aggressioni: come quella denunciata a Monza da Fabricio il 10 dicembre; o quella di cui è stata vittima Vanessa Mazza, picchiata a Firenze il 5 aprile scorso.
E non tutti hanno il coraggio di andare alla polizia perché corrono il rischio di essere fermati per il reato di immigrazione clandestina, come è capitato a Roma l’11 agosto scorso.
«Prendete un omosessuale? Tagliateli la testa con una spada e poi bruciate il suo cadavere oppure potete gettarlo, anche vivo, della cima di una montagna. Altrimenti scavate un buco, accendete un fuoco e gettatecelo dentro.
Quelle persone non meritano né clemenza, né compassione» questo raccomandava l’ayatollah Musavi Ardebili agli studenti dell’università di Teheran nel 1998.
Da allora, in Iran, secondo fonti occidentali, centinaia di omosessuali sono stati condannati alla pena capitale: il numero esatto è difficile da stabilire, perché le esecuzioni spesso sono tenute segrete e molte volte il regime, per screditare i suoi oppositori, li accusa di «devianza sessuale».
I paesi in cui si rischia la morte a causa dell’omosessualità sono sei: l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan, il Sudan, lo Yemen e la Mauritania. Mentre sono più di venti gli Stati in cui gli omosessuali rischiano di andare in prigione. E non si tratta di un fenomeno che coinvolge esclusivamente i paesi mussulmani, perché l’omosessualità è reato anche a Cuba, in Porto Rico, in Giamaica, a Singapore, in India e in Cina. […]
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La liturgia completa della veglia per le vittime dell’omofobia e della transfobia di Milano (file pdf)
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