Storie di Periferia. Ho creduto che tu fossi gay e ho avuto paura
Testimonianze raccolte da Didier Arnaud e Charlotte Rotman pubblicate sul sito di Liberation (Francia) il 7 maggio 2007, liberamente tradotte da Erica
Malik vive in periferia, a Aulnay-sous-Bois, nel 1993. Ha 20 anni. E’ omosessuale. Sono passate due settimane da quando i suoi genitori hanno ricevuto una lettera anonima dove era scritto: “Vostro figlio ama gli uomini”.
Suo padre l’ha svegliato presto un mattino. Malik ha recitato la parte del “gay stupito”. Ha cominciato a gridare: ”Ma è una mia foto in un sito per gay!”.
La madre pensa che sia una donna che si vendica. In verità è un ex che l’ha fatto.
Dice:”I miei genitori si velano il viso. Ignorerebbero un cablogramma. Per loro scoprirlo sarebbe peggio della perdita della verginità della mia sorella”.
Malik spiega che i suoi genitori sono favorevoli alla pena di morte per gli adulteri, che “la religione è la loro legge” e che lo rinnegherebbero.
“Nella mia famiglia ci sono troppi tabù su quello che viene detto e su quel quel che si pensa”, riassume “I miei genitori fanno i sordi ma lo sanno, nel loro intimo”.
A casa, la sessualità è tenuta segreta. “In ogni modo, è una mancanza di rispetto presentarsi davanti ai propri genitori e parlare di sessualità”.
Malik non ne parla nemmeno con i suoi fratelli e le sorelle. Un giorno, suo fratello ha trovato dei cappellini e del gel. Ha chiesto spiegazioni. Malik ha esclamato: “Sei una beccaccia”.
Il fratello, rassicurato, ha detto: “Ho creduto che tu fossi un omosessuale e ho avuto troppa paura”. “Non voglio agitarmi parlandone,” dice Malik, “per ora mi nascondo”.
Per molto tempo, ha creduto di essere solo al mondo. Ha lasciato trascorrere gli anni della sua giovinezza in cui, poiché era effeminato lo chiamavano ‘il frocio’ nella città che ha lasciato. All’inizio preferiva la compagnia delle ragazze a quella dei maschi.
Anche lui pensava “non è normale”. A Parigi, ha scoperto che c’era gente come lui, “arabi e omosessuali”.
Ad alcune serate, ha visto della gentaglia del ’92 o del 93 che facevano i volta gabbana”. Questo gli ha fatto “bene”.
Malik pensa che dovrà «aspettare la morte di sua madre» per vivere la sua vita. Fino a quel momento, è perfino pronto a sposarsi per imbrogliare: “Il matrimonio seppellisce i dubbi”.
O andrà all’estero. “Non mi voglio far notare con un uomo o tenergli la mano. Sotto lo sguardo della gente, è imbarazzante”.
“Si immaginano questi gesti solamente in paesi in cui non si capisce la lingua. Per la “reputazione”.
“Anche nel quartiere, tutto gravita intorno alla religione. ”Anche per quelli che non sono mussulmani ma “che vogliono assomigliare agli Arabi e ai Neri”.
Cerca di portarci una ragazza
Daniel Welzer-Lang, sociologo all’Università di Tolouse-le-Mirail, specialista dell’identità mascolina, cerca un finanziamento per portare avanti una inchiesta sui ragazzi come Malik. “Non c’è nessuno studio e nessuna statistica. Quando si tocca il popolo e gli immigrati, c’è un blocco”.
Non è facile parlare di omosessualità nei quartieri di periferia. Ancor più della propria. La gente si sottrae , esita, hanno paura a testimoniare. Vanda Gauthier e Catherine Regula lavorano sulla reputazione con i giovani di Ris-Orangis (Essonne), alla MJC.
Cercano di far evolvere la mentalità in quei luoghi in cui le ragazze si fanno trattare da prostitute quando vanno a letto (con qualc’uno ndt) e dove gli omosessuali sono considerati delle vittime predestinate, delle cose fragili.
Vittima, Antonino ha rifiutato di esserlo . Un giorno, in scena a teatro, ha fatto il suo coming out. Da allora è un ragazzo del quartiere, discreto, pacato.
Nel pezzo teatrale “Piazza dei Miti”, che Vanda e Catherine hanno allestito, compare un omosessuale represso.
Il giorno della prima, sua madre era in sala. Terminata l’opera teatrale, è andata a vederlo. Tremava.
“Mi ha domandato: ”Cosa hai?”. Le ho spigato che ero bisessuale.
Ha risposto : ‘Cerca di portarci una ragazza’.
«Non è cattiva », assicura Antonino che sa di essere omosessuale da quando aveva 12 anni. Qualche suo amico ha fatto capire che sapevano, scherzando. ”Giocavamo alla ’consolle’.
Uno di noi ha detto: ”Non ci sono ragazze.” Un amico gli ha risposto: “Si c’è Antonino.” Ricorda l’episodio come “complicità”.
Ha due amici che sanno, ma con i quali non ne parla mai. “Per loro è importante che io non sia un omosessuale”, spiega. Gli hanno detto:”Sappiamo che tu hai questo delirio ma, noi non ne parliamo”.
Antonino riassume:” Hanno paura degli sguardi degli altri e colpirebbe il loro “amor-proprio” avere un amico omosessuale.
Antonino non gliene vuole. Ha imparato a raccontare i suoi fine settimana con “dei buchi” su come ha impiegato il suo tempo, per poi interrompersi quando qualcuno si intromette nella conversazione.
Altri hanno scelto di non dargli più la mano. Ma globalmente, non ha mai subito discriminazioni in periferia. Antonino ha praticato la boxe. Ha una larghezza delle spalle impressionante. Ha fatto delle sciochezze quando era più giovane.
Questo la gente non lo dimentica. Tutto questo lo protegge. Ma non rimorchia dei tipi in città.
L’ultima volta che un suo amico l’ha abbracciato ad un semaforo rosso nel suo quartiere gli ha dato fastidio: “Qui la relazione non si ostenta” Antonino vive la sua “ vita omosessuale” a Parigi.
Poche le azioni giudiziarie
L’associazione SOS homofobia ha raccolto nel 2006 una trentina di appelli o di email anonime che venivano dalla periferia. Le testimonianze non sono numerose”. Molti omosessuali vittime di omofobia in periferia pensano che è colpa loro. Non chiedono aiuto”, spiega un membro dell’associazione. Ma sono violenti e sottolineano, nel nulla, il quotidiano di quelli che vorrebbero vedere gli omosessuali banditi dal loro territorio.
Un giovane di 18 anni di Seine-Saint-Denis”, minacciato dai suoi fratelli che lo “obbligano a pregare per guarire dall’omosessualità”, deve aspettare che vadano alla Moschea per poter chiamare il numero di SOS Omofobia.”
Da quando esco con il mio amico, una banda di Arabi minorenni mi insulta, ci maltratta e ci sputano addosso, ci buttano delle pietre e ci gridano: ”Sporchi pederasti, maiali, andate a bruciare all’inferno, non avete niente da fare qui”, scrive così a SOS Omofobia un ragazzo che abita in una zona, “non molto sicura” della Regione Reno-Alpi . “Ho avvertito la Polizia ma non vogliono saperne niente di questo argomento”.
Un abitante della Valle della Marna racconta la propria aggressione verbale vicino a casa sua, gli anno gridato:”Pederasta, tu disonori la razza degli uomini, è contro natura, adesso la tua sporca razza vuole sposarsi e adottare i bambini”.
Scrive “ Io ed il mio amico siamo in pericolo, come tutti quelli che hanno il coraggio di vivere in periferia…o fuori dal centro di Parigi.” Lancia così una preghiera: a quando la prossima manifestazione in periferia contro l’omofobia?
Presso il Crips (Centro Regionale di Informazione e di Prevenzione del Sida ( Hiv) di Francia , che accoglie 70 adolescenti al giorno, di cui il 60% di zone disagiate, la constatazione è simile.
“La maggior parte della gente non esprime la propria omosessualità ma ne scrive su un quaderno. È un modo di comportarsi che non crea la necessità di affrontare delle persone”, spiega Bruno Félix.
Sono rari i processi che vanno sui tavoli dei procuratori. Tuttavia non sono l’oggetto di una statistica precisa.
Hussein Bourgi, un militante di Montpellier del “collettivo contro l’omofobia” ha seguito molti processi. Constata che , presso alcuni “cacciatori di gay”, lo scatenarsi dell’odio è spesso il riflesso di tendenze omosessuali represse, legati ad una difesa dal panico contro l’omosessualità.
“Invece di picchiare se stessi, si sfogano sulla persona che lo è. E’ un modo per liberarsi”. ”Pensano che una volta che l’avranno picchiato, non saranno più omosessuali” completa Malik.
”L’omofobia è considerata come un valore-rifugio per la gente di periferia”, rincara il sociologo Daniel Welzer-Lang. “Senza la possibilità di realizzarsi nel lavoro, non resta loro granché per affermare la loro virilità.”
Testo originale: Banlieues. J’ai cru que t’étais pédé, j’ai eu trop peur