Storie e grida da una chiesa che ti gira le spalle
Testimonianza allegata a La famiglia e le famiglie. Lettera aperta da una postazione minore del 1 luglio 2012
Non so bene da dove incominciare. Quello che so è che quello che ti insegnano da piccoli è ben diverso da quello che si rivela da grandi. Da piccoli ti insegnano che la Chiesa è come una grande Famiglia, dove ti puoi rifugiare nei momenti di dolore, di confusione, di disperazione, ma dove puoi anche condividere gioie, felicità e soddisfazioni. Da piccoli ti insegnano che non si deve emarginare il prossimo, che si deve porgere l’altra guancia, che tutti sono accetti nella casa del Padre. Peccato che quando diventi grande, ed affronti tutte le avversità a cui la vita ti sottopone, non è così, perché purtroppo non puoi tuffarti nelle braccia della Famiglia della Chiesa perché quella stessa Chiesa che ti hanno insegnato ad amare ti gira le spalle ed inevitabilmente ti emargina, ti confina, ti allontana.
La mia storia non è un granché complicata, ma densa di episodi che mi hanno costretta a chiudere un matrimonio che era tale solo come facciata. Non potevo più fare finta di essere parte di una famiglia felice, perché non lo ero. Nessuno di noi lo era. Soprattutto non lo erano i miei figli. Ho sperato che le cose cambiassero, ho cercato perfino di cambiare me stessa pur di cambiare questa situazione familiare che proprio per me non andava. E quando confessavo al parroco i miei dubbi e le mie paure mi sentivo dire che dovevo confidare in Dio e sopportare perché questo è quello che fa una brava cristiana. Ma poi, dopo 10 anni, ho deciso che ero stata buona per troppo tempo e che dovevo fare qualcosa per salvare il salvabile. E lo dovevo fare per me e per i miei figli. Così è cominciata la mia vita da separata, che comunque continuava a frequentare la Chiesa, che insegnava ai figli ad amare Dio aiutandoli a percorrere la loro strada verso i sacramenti con il catechismo. Però che strano…adesso nessuno mi cercava più per coinvolgermi nelle attività della Parrocchia.
Arriva la vigilia della Comunione di mio figlio Mirko e vado a confessarmi. Il prete mi nega l’assoluzione se prima non “rimettevo insieme il tuo matrimonio”. Inutile dire che non ho voluto l’assoluzione. Comunque la mia vita da cristiana è proseguita più o meno tranquillamente per qualche anno ancora. Da brava cristiana mi recavo a Messa, ci portavo i miei ragazzi ma rimanevo sempre in disparte perché comunque non mi sentivo più parte di questa Famiglia. Poi è arrivata la Cresima di mio figlio. Mirko. Gli chiesi chi desiderava avere come padrino e lui mi rispose “Mirko“, il mio compagno di vita, anche lui separato. Qui sono cominciati i problemi da parte del parroco della nostra Chiesa (diverso da quello della Comunione), perché non aveva nessuna intenzione di fare cresimare mio figlio a causa del padrino da lui scelto perché separato. Alla mia affermazione che non avevamo altre soluzioni mi disse testualmente: “gli daremo un padrino d’ufficio, scelto tra i migliori cristiani della parrocchia, altrimenti non riceverà il sacramento”. Il mio sgomento fu totale. E ancora oggi sono convinta che per lui ci fossero cristiani di serie A e di serie B. Cosi mi sono recata in una parrocchia vicina, dove mi avevano detto che sarebbe stato diverso.
Ho parlato in tutta onestà con questo nuovo parroco, sono stata altrettanto onesta, egli mi ha risposto che a lui non interessava il nostro stato civile ma che il ragazzo ricevesse il sacramento. E così fu.
A distanza di anni ci rido sopra, ma questa è stata una cosa che mi ha fatto soffrire molto, perché si rifletteva sui miei figli che non avevano colpa, e perché mi ha fatto sentire davvero emarginata. Qualcuno ogni tanto parlandone mi dice: “tu la Comunione falla lo stesso, tanto nessuno lo sa che sei divorziata”. Ma io non ci riesco. Che senso ha? Prendo in giro proprio il Signore e me stessa? Così con il tempo ho imparato a pregare per conto mio perché nella casa del Padre non mi sento più bene accetta. E sono sicura che per lui va bene così. Adesso però c’è ancora una cosa che devo dirvi, che nessuno al di la di me e del mio attuale marito conosce, che la Chiesa aborre. L’omosessualità. Perché mio figlio Mirko è omosessuale. Me lo ha rivelato più di un anno fa, con l’aiuto di una psicologa. E’ stato un vero e proprio choc, un trauma che ho cominciato a superare solo nell’ultimo periodo. Come spiegato dalla psicologa, ci sono diversi tipi di omosessualità e lui è del tipo genetico, cioè lo è dal concepimento. Ma non è malato. E’ così. È dolce, sensibile, gentile, ma per fortuna anche serio, forte e determinato. E quando sento che la Chiesa dice che i gay “devono essere curati” sinceramente mi cascano le braccia, perché anche loro sono parte della Famiglia cristiana, e anche loro devono essere sostenuti e non emarginati così anche lui si è distaccato dalla vita della parrocchia (complice anche il fatto che la sua testa da scienziato va a cozzare con le teorie della Chiesa ).
Io non so se avete idea di quanti ragazzi gay debbano tenere nascosto la loro realtà alle famiglie, alla Chiesa, alla società perché non sono accettati! Se almeno la Chiesa accettasse questa realtà che esiste da sempre! Permetterebbe a tanti giovani di vivere una vita più semplice, alla luce del sole, permettendogli di non finire su cattive strade… Non avete idea della dolcezza nei loro occhi quando sanno che tu sai e non li giudichi e li accetti! A questo punto credo di avere detto tutto l’essenziale. Mi rimane tuttavia una domanda: Perché io separata non posso ricevere l’Eucarestia, mentre non viene negata a persone che vivono la mia stessa situazione ma nella società rivestono ruoli importanti?! Ci sono davvero parrocchiani di serie A e di serie B?