Storie LGBT. Nascita e declino dei locali lesbici negli Stati Uniti
Articolo di Heather Gilligan pubblicato sul sito Timeline (Stati Uniti) il 14 febbraio 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Da più di dieci anni in tutti gli Stati Uniti i bar lesbici chiudono uno dopo l’altro, una perdita devastante per una generazione di donne che contava su di essi per entrare a far parte della vita omosessuale e fare comunità. In molte grandi città non ne è rimasto neppure uno. Un tempo questi locali costituivano dei riti di passaggio, dei rifugi accoglienti contro i maltrattamenti, le violenze e le attenzioni indesiderate che le donne che amano altre donne conoscono fin troppo bene. Oggi costituiscono una sottocultura in via d’estinzione; la colpa va in parte alla facilità di incontrare persone online, ma anche agli affitti sempre più alti, che stanno cambiando profondamente i quartieri americani.
Quando a San Francisco chiuse il Lexington Club, la mecca omosessuale aveva perso il suo unico bar lesbico. L’adorata bettola Lex aveva aperto nel 1997 e nel 2014 era l’unico bar sopravvissuto. In un post su Facebook in cui annunciava la chiusura, la proprietaria Lila Thirkield ne dava la colpa ai cambiamenti nell’economia della città, precisando che l’affitto sempre più alto era un problema per il locale e le sue clienti, che se ne stavano andando da San Francisco a causa del costo della vita: “Ma vivrà per sempre nel mio cuore e sono sicura che sarà così per molte di voi” scrisse Lila Thirkield.
Il Lexington Club non è certo il primo bar lesbico a essere costretto a chiudere: citiamo il Sisters di Philadelphia, il Meow Mix di New York e una schiera di altri locali di tutto il Paese che hanno chiuso bottega ancora prima. A New Orleans un bar lesbico non c’è più, e nemmeno a Washington DC. Non esiste una statistica ufficiale, ma a quanto sembra ne rimangono meno di una decina in tutto il Paese.
Si tratta di un periodo nero rispetto ai fasti dei moderni locali lesbici, soprattutto gli anni ‘90, quando molti di essi aprirono, ma non è la prima volta che i cambiamenti economici hanno fatto piazza pulita di questi locali. Quasi un secolo fa, durante il Proibizionismo, ci fu un’ondata di locali lesbici, che erano espressione di un cambiamento culturale: l’amore omosessuale cominciava ad essere riconosciuto. La letteratura medica dell’inizio del XX secolo, in cui l’omosessualità era marchiata come malattia e perversione, ebbe la conseguenza non voluta di rendere sempre più consapevoli le persone omosessuali. Alcuni bar lesbici esistevano già a Parigi e alcune lesbiche famose, come Gertrude Stein e Alice B. Toklas, tenevano salotti intellettuali nelle loro case. Il pozzo della solitudine, il primo romanzo d’amore esplicitamente lesbico, divenne noto in tutto il mondo come protagonista di un sensazionale processo per oscenità.
Il 1230 Club and Roselle Inn di Chicago e il Mona’s 440 Club di San Francisco, aperti nella prima metà degli anni ‘30, sono tra i primi locali lesbici documentati negli Stati Uniti, ma sorsero già alla fine di un ciclo. Questi primi locali facevano parte di ciò che gli storici chiamano “pansy craze”, che raggiunse il suo apice negli anni ‘20 [durante il Proibizionismo, n.d.t.], quando gay e lesbiche aprirono i loro locali dove vendere alcool illegalmente. Alcuni di essi erano dei cabaret che ospitavano perfomances che trasgredivano apertamente gli stereotipi di genere. Artiste apertamente queer si travestivano, cantavano e ballavano ed erano vedettes molto amate; alcune di esse (come Moms Mabley e Ma Rainey) sono famose ancora oggi.
La pansy craze era frutto della stessa curiosità (e dello stesso gin fabbricato nelle vasche da bagno) che stava portando i bianchi danarosi nei locali jazz di Harlem. L’originario ambiente lesbico degli anni ‘20 fiorì nei locali clandestini. Uno dei più popolari era Eve’s Hangout, una sala da tè che vendeva alcolici clandestinamente nel Greenwich Village, aperta nel 1925. Eve Adams, l’ebrea polacca che gestiva questo locale sotterraneo, salutava gli avventori con questo cartello esposto all’ingresso: “Gli uomini sono ammessi ma non graditi”. Le signore entravano gratuitamente. In questi locali, che fossero omosessuali o meno, sciamavano così tante donne da sollevare preoccupazione nei giornali sui pericoli dello pseudo-lesbismo, ovvero le donne etero che fingevano di essere lesbiche per provare un’emozione (e altissimo era il rischio di diventare vere lesbiche).
La festa sarebbe finita presto. “La depressione sta riportando le signore di Lesbo alla normalità!” strombazzava Brevities, un tabloid mondano di New York, il 16 novembre 1931. Ecco poi venire l’elegia funebre: “Quante di voi ricordano la defunta Dolly Judge, che per prima radunò il Terzo Sesso nel suo famigerato ‘Appartamento dei Fiori’ all’angolo tra Gay Street e Christopher Street nel Village?” chiedeva l’articolista Connie Lingle, per poi ricordare, come in un sogno, che “era un harem di sesso specializzato”.
La maggior parte di questi locali durò poco, come il 1230 Club and Roselle Inn di Chicago, che rimase aperto solamente fino al 1935. Il primo bar lesbico di San Francisco, invece, tenne botta: il Mona’s 440 Club aprì dopo il culmine della Grande Depressione, nel 1936, e rimase aperto per ventisei anni. Va detto che parte del successo del locale dipendeva dai guardoni etero, che erano fortemente disprezzati dalla clientela queer ma che spendevano molti soldi per guardare le lesbiche che facevano le lesbiche, in un’epoca in cui l’omosessualità era proibita. Un altro locale, l’Ann’s 440 Club, raccolse il testimone del Mona’s e fu seguito presto da un altro locale che divenne un’istituzione, il Maud’s Study, il quale rimase aperto ventitré anni: un record, all’epoca, per un bar lesbico.
Questi locali ovviamente non sono mai morti; molti rimasero aperti durante la Depressione in città medio-piccole come Buffalo; negli anni ‘40 e ‘50 aprirono numerosi locali riservati alle donne in tutti gli Stati Uniti. Le donne invasero le grandi città per lavorare nelle fabbriche, parteciparono alla seconda guerra mondiale come infermiere e in generale gustarono una nuova libertà a partire da quell’epoca. I bar lesbici erano comunque un rifugio dalle persecuzioni e un punto d’incontro per le lesbiche, ed ebbero un ruolo cruciale nella formazione della comunità lesbica. Con la nuova apertura odierna e l’invenzione delle comunità virtuali le lesbiche oggi hanno una maggiore possibilità di scelta, ma nonostante il cambiamento dei costumi il bisogno di avere dei locali lesbici non è venuto meno. C’è molta tristezza dopo ogni chiusura, ma forse la comunità è matura per una nuova ondata di locali.
Testo originale: The economy is killing the lesbian bar, again