Studi di genere, sì al dialogo se aiuta a capire le fragilità
Riflessioni della teologa Selene Zorzi* pubblicate su Noi famiglia & vita, supplemento mensile allegato ad Avvenire il 29 settembre 2019, pp.12-13
“Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione”, il documento della Congregazione per l’educazione cattolica, pubblicato il 10 giugno scorso, continua a suscitare curiosità̀ e interesse. Indubitabile che si tratti di un documento che segna una grande svolta. Se il gender rimane ideologia inaccettabile perché́ nega «la differenza e la reciprocità̀ naturale di uomo e donna, prospetta una società̀ senza differenza di sesso e svuota la base antropologica della famiglia», tuttavia – ed è questa la grande novità̀ del testo vaticano – occorre distinguere tra ideologia e studi di genere. In relazione a queste ricerche è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alle proposte. Esistono elementi «di ragionevole condivisione, come il rispetto di ogni persona nella sua peculiare e differente condizione, affinché́ nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste».
Sul numero di luglio (di Noi famiglia & vita) abbiamo pubblicato le riflessioni di Barbara Buffetti, docente del progetto “RispettiAmoci” e di Paola Lazzarini, presidente dell’Associazione “Donne per la Chiesa”. In questo numero interviene la teologa Selene Zorzi, autrice di vari saggi sul tema gender.
Congregazione promossa sull’Abc del gender. Ora è possibile auspicare un ulteriore passo avanti per affrontare l’esame di maturità̀? Che il gender non fosse questione dottrinale, lo si era ribadito in vario modo in questi anni. Il documento sul gender (il testo preferisce continuare a nominarlo all’inglese) della Congregazione per l’Educazione Cattolica conferma lo statuto pedagogico di questa categoria euristica. Speriamo se ne convinca chi ha sostenuto l’incompatibilità tra studi sul gender e cattolicesimo, contribuendo a laceranti polemiche.
Il documento si pone infatti come base per un dialogo su questo argomento, superando le difficoltà di questi anni. Il dibattito sul gender infatti, fuori dalle accademie, si è riversato nelle piazze e nel parlamento con un livello argomentativo inadeguato. Anche all’interno della Chiesa c’è stato chi, affacciandosi a questa questione in ritardo, con preoccupazione e forse senza strumenti adeguati, si è pronunciato con argomentazioni che, talvolta, hanno offerto l’occasione per inasprire il confronto, non per sostenere lo sforzo di cercare ciò̀ che unisce.
Il testo distingue tra ideologia del gender e studi di genere, affermando che la prima non ha
a che fare con la serietà̀ delle ricerche sul genere portate avanti dalle scienze umane. Finalmente un’apertura «all’ascolto, al ragionamento e alla proposta» delle ricerche «che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna». Il documento ricorda l’obiettivo con cui nascono gli studi di genere e cioè̀ la lotta contro le ingiustizie dovute a mentalità discriminanti. Sul piano degli effetti sociali, quindi, la loro funzione ha un esito evangelico: il superamento di ogni ingiusta subordinazione nel rispetto della dignità̀ di ogni persona.
È apprezzabile l’apertura al dialogo e la volontà di creare punti di incontro, tra cui «l’educazione dei bambini e dei giovani a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione», in modo che nessuno sia «oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste»: un’educazione «in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto».
Si tratta del passaggio più illuminato del documento. In passato infatti l’aspra polemica nata attorno alla cosiddetta “ideologia del gender” ha comportato anche l’annullamento di alcuni progetti formativi pensati per le scuole, legati all’affettività, alla sessualità, al rispetto delle differenze (contro il bullismo) con il rischio di ritrovarci con una generazione emozionalmente analfabeta, incapace di empatia.
Tuttavia, il testo appare smarcarsi dalle questioni dei diritti delle persone omosessuali, transessuali e intersex. Si parla finalmente di questi temi senza più tentennamenti, compresa quella del queer.
Forse sarebbe stata opportuna una diversificazione più precisa di queste situazioni, evitando per esempio la sovrapposizione tra intersex e trasgender. Leggendo il n. 24 si può notare come, da una parte, per gli intersex ci si scordi che nascono così per natura; dall’altra ci si appella all’intervento della scienza medica come se essa avesse di per sé un’etica: questi interventi infatti si configurano come manipolazioni su neonati al fine di assegnarli ad uno dei due sessi.
Ci si scorda però che la persona intersex – sessualità indistinta – non fa una scelta, come suppone il documento: non intende negare la differenza maschio/femmina, bensì nasce così. Occorrerebbe poi ascoltare le persone transessuali chiedendo loro se l’esigenza del cambio di sesso intenda davvero superare la differenza sessuale. Quasi sempre invece capita l’opposto. Sono persone che hanno bisogno di riconoscersi anche col corpo, in un sesso determinato. E poi come mai l’intervento chirurgico su un\a transessuale annienterebbe la natura, mentre su un\a intersex esplicherebbe la sua costitutiva identità?
A fronte di chi identificava la parola gender solo ed esclusivamente con l’omosessualità, è stato necessario ricordare, negli ultimi anni, che la questione gender riguarda anche la discriminazione delle donne. Il documento raccoglie la lezione. Perché allora non criticare il maschilismo in modo più convinto?
In quanto maggiore delle minoranze, la discriminazione delle donne porta con sé quella di tutte le altre minoranze discriminate, e si apre quindi anche alle questioni dei diritti degli omosessuali, transessuali e intersessuali. Forse è giunta l’ora che le nostre comunità, proprio nel dichiarato spirito di ascolto, si aprano alla comprensione più adeguata di tali esperienze. Anche perché́ questi appelli arrivano da persone spesso profondamente credenti.
Qualche rilievo sembra il caso di esprimerlo anche a proposito di alcuni concetti stereotipati di femminilità. Sembra difficile conciliare riferimenti come disponibilità, maternità e altre belle aggettivazioni, che contribuirebbe a disegnare le donne come parte più preziosa dell’umanità, con la marginalizzazione che di fatto viviamo ancora nella socieà̀ e nella Chiesa. Non si comprende, del resto, come tutti questi valori non siano identificativi anche per i maschi. Tuttavia, c’è un aspetto positivo da rilevare in questo discorso, ed è il fatto che l’esaltazione del “genio femminile” a differenza del passato, non è accostata alla riaffermazione dell’esclusione delle donne dall’ordine sacro.
In questo contesto si parla della verità originaria della mascolinità e femminilità. Il testo però non esplicita quale sia questa verità, benché quando appare provarci scambia la condizione sociale con quella ontologica.
Il documento ribadisce che la sessualità è parte integrante dello sviluppo della personalità. Escluderne a priori l’esercizio a una persona, non ricondurrebbe l’antropologia teologica ad un dualismo anima-corpo in contrasto con l’antropologia teologica proposta? Se la sessualità va integrata nell’essere della per sona perché la costituisce, come è possibile pretendere di impedirne del tutto l’espressione, senza determinare nella persona delle anomalie di maturazione?
Suscitano perplessità poi varie affermazioni circa lo statuto delle emozioni umane, quasi fossero separate dalla volontà̀ e dalla ragione, cosa che contraddice i più̀ recenti studi sul tema. Si valorizza un modello istituzionale di famiglia da contrapporsi ad una visione contrattualistica di essa.
In generale il discorso sulla famiglia rischia qualche fraintendimento. Si rischia infatti, denigrando altre forme di legame affettivo e progettuale al di fuori del matrimonio procreativo, di minare il fondamento stesso delle comunità religiose e di tutti i progetti di vita fondati su un contratto volontario, su legami monosessuali, non procreativi, che implicano il confronto serrato delle identità con alterità non differenti sessualmente.
Dovremmo pensare che tali progetti di vita e di amore costituiscano un attacco alla famiglia? Forse minimizzare modelli comunitari-affettivi che non siano quelle tra un uomo e una donna può risultare un boomerang nei confronti della storia della spiritualità cristiana che ha conosciuto una vasta gamma di esperienze amorose tra uomini e donne: Gesù ha chiamato a un progetto di vita i suoi discepoli e discepole, Paolo si esprime nei confronti dei membri della sua comunità in termini materni; i grandi Padri della chiesa come Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno o Agostino ci lasciano parole sull’amicizia anche cariche di erotismo; Aelredo di Rielvaux parla di amicizia spirituale in termini fortemente affettivi; senza andare troppo lontano, il linguaggio cattolico conosce la genitorialità responsabile, le famiglie allargate, parla in termini amorosi della relazione tra preti, tra i parroci e parrocchia; si pensi al progetto di vita dei religiosi.
La fede cristiana ha saputo creare istituzioni giuridiche nuove rispetto a quelle sociali e politiche tradizionali. Nell’esperienza quotidiana viviamo legami forti, importanti e affettivi ma di diversa intensità e genere giuridico con persone del proprio e altrui sesso: sono progetti a lungo termine, che coinvolgono strati profondi del corpo e dello spirito.
Un uomo e una donna che hanno una relazione ricca e feconda, che li fa crescere e li rende utili alla società non sono necessariamente passati per un istituto matrimoniale procreativo.
Inoltre il ricorso al concetto di natura non rischia di appiattire sul biologico la proclamata unità psicosomatica della persona? Non ci sono margini di contraddizione rispetto ad altre affermazioni del testo che ritengono la persona superiore alle cose corporali e alla natura? Vengono in mente le parole di Gaudium et Spes: «La sessualità propria dell’uomo e la facoltà̀ umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita».
La prospettiva biologistica permane invece nel discorso sulle donne, per ricordare la loro funzione materna, e nei riferimenti all’omosessualità e alla transessualità.
Forse qualche affermazioni dal contenuto meno vago e meno apodittico avrebbe contribuito ad agevolare meglio quel dialogo pacifico che pur si auspica fin dal titolo. Da tempo noi teologhe avevamo indicato l’esigenza da parte delle nostre comunità di apprendere l’ABC degli studi di genere, andando oltre la sterile contrapposizione.
Il documento della Congregazione per l’educazione cattolica segna senza dubbio un’importante e coraggiosa inversione di tendenze. Ora serve lo sforzo di tutti – e noi siamo disponibili ad offrire il nostro contributo – per fare insieme un altro passo sulla strada di una comprensione più attenta e più inclusiva delle differenze di genere, rispettosa di fragilità e complessità.
* La teologa e docente Selene Zorzi ha al suo attivo numerose pubblicazioni tra cui “Il genere di Dio. La Chiesa e la teologia alla prova del gender”, ha un dottorato in teologia e insegna dal 2006 filosofia e teologia. Ha ottenuto il Diploma da Coach presso la U2Coach Academy si è certificata ACC presso la ICF, specializzandosi in Team Coaching.