Sui divorziati, gli omosessuali e le donne i cattolici canadesi puntano il dito contro Roma
Articolo tratto da Adista n.1 del 5 Gennaio 2008
In Canada la Lettera aperta del card. Ouellet del 22 novembre scorso sui “peccati della Chiesa nel passato" ha acceso un ampio dibattito ed è diventata l’occasione per una sofferta riflessione all’interno della gerarchia del Paese sulle responsabilità della Chiesa locale e della gerarchia vaticana sugli "abusi di potere, la mancanza di rispetto e la discriminazione verso le donne, gli omosessuali e i poveri”.
"Assistiamo, attualmente, ad uno dei più grandi suicidi istituzionali della storia: quello della Chiesa cattolica in terra di libertà!". È l’amaro commento di Jean-Paul Lefebvre – cofondatore di culture et Foi, rete laica di riflessione sulla Chiesa postconciliare – all’acceso dibattito innescato in Québec dalla Lettera aperta del card. Ouellet del 22 novembre scorso (v. anche Adista n. 85/07).
Tra disapprovazione e sostegno, le parole del cardinale canadese sono state comunque l’occasione per una sofferta riflessione all’interno della gerarchia del Paese sulle responsabilità della Chiesa. E soprattutto su quelle vaticane.
Per il missionario canadese Claude Lacaille, Ouellet, sulle orme di Giovanni Paolo II, non ha fatto altro che confessare "i peccati della Chiesa nel passato".
Ma, a giudizio di Lacaille, il cardinale ha avuto poco coraggio nel leggere la realtà attuale: cosa dire, infatti, "dei peccati attuali nella Chiesa del pensiero unico, autoritaria e imposta da Roma? Lo chiedo all’arcivescovo del Québec: Chiesa, cosa ne hai fatto del Concilio? Perché il silenzio di piombo, la mancanza di opinione pubblica, la scomparsa della collegialità episcopale, la messa all’indice di moltissimi teologi, la condanna reiterata alla Teologia della liberazione, l’esclusione dei divorziati e degli omosessuali, senza dimenticare il rifiuto totale dell’uguaglianza tra uomini e donne?".
Oltre a costituire una critica sterile perché rivolta solo al passato, secondo Raymond Légaré – filosofo e portavoce della rete Culture et Foi – i mea culpa di Ouellet sono una "causa persa in partenza", perchè il cardinale è "isolato", poiché "manca di sostegno" all’interno della Conferenza episcopale canadese e soprattutto tra i cattolici del Paese.
Il "vuoto spirituale" in cui sarebbe caduto il Québec e di cui parla Ouellet nella sua lettera aperta si limita così a "gettare discredito sulle generazioni precedenti". "Fisso sul pentimento", ha spiegato ancora Légaré, il cardinale "ha taciuto i principali motivi di vanto della Chiesa del Québec".
In sintonia con queste recriminazioni è anche il messaggio di Gérard Laverdure, già direttore dell’Acat-Canada (Action des Chrétiens pour l'Abolition de la Torture) e operatore pastorale nella diocesi di Montreal.
"Abusi di potere, mancanza di rispetto delle coscienze, discriminazione verso le donne, gli omosessuali, i poveri. Ciò che bilancia questo passato è il grande coinvolgimento dei religiosi e delle religiose, dei parroci e di una folla di laici accanto ai poveri e gli esclusi".
In Québec "c’è grande sete spirituale e un’intensa ricerca, non solo materialismo. È ampio il coinvolgimento profetico nel servizio per la giustizia, la condivisione, la pace, la libertà e la dignità umana, il rispetto della vita e dell’ambiente, proprio qui, di fronte al capitalismo selvaggio, inumano e ateo che domina il mondo".
È ancora una volta su questo aspetto che Laverdure critica Ouellet: perché le responsabilità dello scenario fatto dal cardinale non sono da attribuire al popolo del Québec, ma gravano sulle spalle della Chiesa di Roma, la quale è chiusa ad ogni tentativo di riforma su questioni spinose come, ad esempio, "l’affidamento di ruoli alle donne nella Chiesa", oppure "l’accoglienza delle coppie separate-divorziate e degli omosessuali".
"Se tutto si decide a Roma come ai tempi dell’Impero Romano – ha concluso – tutto si ferma e non c’è speranza di cambiamento". Che la Chiesa di Roma sia conservatrice ed assimilabile ad un "museo che conserva i tesori del passato" è anche l’opinione di Lacaille: "Mi si stringe il cuore quando vedo alla televisione queste cerimonie medioevali che si perpetuano in Vaticano; tutto questo non ha niente a che vedere con quell’Ebreo emarginato che era Gesù né con il suo vangelo per i poveri".
La gerarchia della Chiesa cattolica, ha affermato Jean-Paul Levebvre, "ha perso contatto con quello che chiamiamo Popolo di Dio. Il Vaticano controlla tutto, decide tutto. I vescovi non possono più dire quello che pensano". E i fedeli si allontanano a causa della "discriminazione verso le donne" e del "rifiuto d’adattarsi al codice morale storicamente imposto dalla Chiesa in materia di sessualità".
Le responsabilità storiche, ha concluso, "non sono dei milioni di credenti che avranno abbandonato la Chiesa, ma di chi li farà fuggire dalle chiese, incapaci di comprendere che la pastorale e la cultura religiosa devono evolvere in simbiosi con l’evoluzione dell’umanità".
E pensare che, nel 1966, l’allora professor Ratzinger aveva affermato: "La coscienza è il tribunale supremo ed ultimo della persona umana, anche al di sopra della Chiesa ufficiale; ed è a lei che dobbiamo obbedire".