Sul rumoroso silenzio del papa emerito Joseph Ratzinger
Riflessioni di Massimo Battaglio
“Non posso tacere”, dice Ratzinger nel nuovo libro scritto a quattro mani col cardinal Sarah, in cui contesta per l’ennesima volta papa Francesco. E’ un peccato perché, pur ribadendo sempre la propria obbedienza al papa, l’emerito si sta sempre più qualificando come antipapa. E in questo tradisce anche se stesso.
Era stato lui a imporsi il silenzio e la fedeltà al suo successore. Ora invece ci sta abituando a una bordata ogni sei mesi, sempre in momenti particolarmente delicati e sempre al servizio della frangia reazionaria del Vaticano.
La sortita contro l’apertura al sacerdozio non celibatario discussa durante il Sinodo sull’Amazzonia, rischia non solo di alzare un polverone ma di nullificare i lavori del Sinodo stesso. E quel Sinodo non era stato pensato per disquisire di ordinamenti ecclesiastici. Il suo scopo era di rispondere al grido di una terra martoriata, sottoposta agli interessi stragisti del nord del mondo.
Non riesco a pensare che il cardinal Sarah abbia sollecitato l’ex pontefice a rompere il silenzio per pure ragioni teologiche. Non è infatti un segreto che egli sia molto vicino alla fronda dei “dubbiosi” (Burke, Caffarra, Brandmüller, Meisner) che avevano tentato di incastrare Franceso ai tempi dell’Amoris Laetitia. Ed è notissimo che essi abbiano un debole per i partiti sovranisti e per le politiche di Trump, Bolsonaro e Putin. I quali non sembrano molto interessati all’eventuale matrimonio dei preti, ma in compenso, all’Amazzonia, sì.
Chiusa la parentesi politica, è sorprendente che un fine teologo quale Ratzinger arrivi a prendersi cantonate logiche come quelle che ha scritto. Per esempio, egli afferma che il celibato è “indispensabile perché il nostro cammino verso Dio possa restare il fondamento della nostra vita”.
Ma allora, che ne è di tutti i santi sposati, da sant’Anna e san Gioacchino fino ai beati Luigi e Maria Quattrocchi passando per san Pietro e per la Sacra Famiglia per eccellenza? E cosa diremo dei discorsi di Paolo che sancisce una perfetta parità tra celibato e matrimonio? E i mille anni in cui la Chiesa è vissuta senza porre alcun obbligo di celibato a nessuno? Buttiamo via?
Altro passaggio: “Non sembra possibile raggiungere entrambe le vocazioni contemporaneamente”. Sicché non è vera vocazione quella dei preti cattolici di rito orientale o per gli ex-anglicani che sono già oggi in larga parte sposati?
Eppure l’ex Benedetto XVI non li rigettò quando poteva farlo. Come mai? Forse perché ciò avrebbe significato che mettere in discussione anche la vocazione del principe degli apostoli?
Ancora: “Dalla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, che implica uno stato permanente di servizio a Dio, sorse spontaneamente l’impossibilità di un legame coniugale”. Ma questo è un falso storico, oltre che uno slogan incomprensibile!
Sappiamo tutti che l’obbligo celibatario nacque da problemi pratici, di carattere prevalentemente patrimoniale. Quando Gregorio VII e Innocenzo III imposero il celibato, erano preoccupati dalla dilagante simonia; non da questioni dottrinali. Problemi che, in una Chiesa povera come vorrebbe essere quella di oggi, non dovrebbero più porsi. Ma allora, è lì che bisogna puntare: all’ideale di una Chiesa povera; non la sterilizzazione sociale dei preti.
Chissà quanto c’è di Ratzinger, nel suo libro “Dal profondo del nostro cuore”, e quanto è stato invece elaborato da Sarah.
Me lo domando perchè il prefetto della congregazione per il Culto Divino non è nuovo a strafalcioni. Per esempio, nel 2016 vagheggiò un ritorno alla messa celebrata “coram Deo” (e cioè con le spalle al popolo). Disse che era per “tornare alle origini”, dimenticando, o non sapendo, che l’invenzione dell’altare addossato al muro risale solo al XIII secolo e precisamente al IV Concilio Lateranense.
Tutte le testimonianze storiche, iconografiche e archeologiche precedenti confermano che, fino allora, si era celebrato rivolgendosi all’assemblea.
Quisquiglie? Mica tanto, dal momento che la riforma liturgica è stata l’elemento più visibile del Concilio Vaticano II.
Francesco lo redarguì, gli chiese un po’ di silenzio e lui rispose con un libro intitolato appunto “La Forza del Silenzio”, che presentò in decine di convegni alla faccia del silenzio. Poi tornò all’attacco parlando dell’importanza del latino. Credo che sapesse benissimo che la Chiesa primitiva a cui diceva di voler tornare, non parlava latino.
“Essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. La folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio»” (At 2,4-11)
Ma forse, a questi tipi di cardinali, non interessa affatto tornare alle origini. Vorrebbero sì tornare indietro ma solo di un secolo. Il mito delle origini non è che una retorica. Sanno che la Chiesa degli Apostoli era molti diversa da quella che immaginano loro.
Era quella in cui Filippo si accompagna per tutto un viaggio con un eunuco e, senza stare a polemizzare su problemi di sesso, gli parla di Gesù (At 8,26-40). E prima ancora, era un gruppo di persone che il Maestro aveva reclutato dai peggiori quartieri, con tanto di donne chiacchierate e teste calde. Era quella che si era riunita a casa di Zaccheo (Lc 19,1-10) o che aveva assistito alla guarigione del servo del centurione che “lo amava” (Lc 7,1-10). Non c’erano persone “in uno stato permanente di servizio a Dio”, in quel gruppo. Ciò che li accumunava era l’amore per il Maestro, per il prossimo e per la Verità.
La Chiesa rigorista, puritana, sessuofoba, omofoba che piace alle santità emerite e ai loro estimatori, non ha niente a che fare con quella del racconto evangelico.
E’ vero che anche ai tempi degli Apostoli non mancava il dibattito. Così come non mancavano i tiri mancini e la tentazione di primeggiare. Ma le primedonne e i franchi tiratori venivano messi davvero in silenzio. E le promesse si mantenevano.
“Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò solo l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse: «Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio». All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò”. (At 5,1-5)