Sull’omosessualità cosa è venuto fuori di nuovo dal Sinodo?
Email inviataci da Enrico, risponde Gianni Geraci del gruppo “Il Guado ” di Milano
Cari amici di Gionata, vi scrivo perché vorrei avere un aiuto per interpretare quello che è venuto fuori dal Sinodo sulla Famiglia appena concluso. Io, davvero, non riesco a capire quali conclusioni trarre, se di conclusioni possiamo parlare.
Partiamo dai testi, il paragrafo 55 della Relatio finale. Approvato con 118 voti favorevoli e 62 “non placet”. I giornali hanno parlato di “spaccatura”, di “rivoluzione”, di cambiamento.
Alcuni (es: La Stampa) leggono in questi 118 voti una “vittoria”, anche se parziale, della gerarchie più aperte, e i 62 voti contrari come provenienti dalle aree più conservatrici. Io, personalmente, avevo interpretato esattamente il contrario: i voti a maggioranza proverrebbero dalla parte più conservatrice, e i 62 contrari da chi voleva un testo più aperto e positivo.
Perché, sinceramente, nel paragrafo 55 non ci trovo nulla di nuovo, di rivoluzionario, di propositivo o che possa aprire alla speranza. Si parte con una considerazione: ci si è interrogati su un problema che coinvolge alcune famiglie.
Fin qui, ok. Si dice che ci si è interrogati su come affrontare la cosa da un punto di vista pastorale, richiamandosi però a quanto stabilisce la dottrina (e qui c’è un virgolettato senza citazione, ma mi pare che riassuma i punti del Catechismo della Chiesa Cattolica 2357-2358-2359).
Quindi non fanno altro che ribadire le cose sempre da dette, con un richiamo a quanto già scritto. Alla faccia di Papa Francesco che chiedeva proprio di evitare semplici richiami e riferimenti al passato.
L’unico punto che potrebbe far pensare a un’apertura è il finale, quando si parla di accoglienza con “rispetto e delicatezza”, anche qui richiamandosi al famigerato documento del 2003 dell’allora Card. Ratzinger.
Ma sono frasi che vogliono dire tutto e niente, anzi, più niente che tutto. Non ci vedo nulla di nuovo quindi. Gli atti omosessuali continuano a restare “intrinsecamente disordinati”, e “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote” (notare queste due parole di estrema chiusura nda), “tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Punto.
Bhe, non mi pare ci sia una così grande apertura, come alcuni hanno scritto. Anzi, rispetto ad alcune dichiarazioni che erano uscite a metà del Sinodo, e soprattutto rispetto alla relazione intermedia, mi pare che ci sia stato un netto passo indietro. Però forse ho interpretato male il il documento, per questo vorrei sentire il vostro punto di vista, sicuramente più esperto.
Personalmente non mi aspettavo molto da questo Sinodo. Non si può cambiare la Dottrina di punto in bianco. Mi sarei aspettato almeno un cambiamento del linguaggio, una visione più positiva e pro-positiva, almeno nei confronti di quelle persone che hanno avuto la fortuna di trovare un compagno/a stabile, con cui costruire seriamente una vita assieme. Sappiamo che il cammino del Sinodo continuerà ancora per un anno, ma ci potremo aspettare qualcosa di diverso?
Un’altra cosa che vorrei chiedervi, è sapere se avete avuto qualche riscontro, risposta, confronto, in positivo o in negativo, da parte di vescovi o altre associazioni cattoliche, riguardo al documento finale del convegno “Le strade dell’amore”, e se questo sia stato in qualche misura preso in considerazione durante il Sinodo, o sia rimasto lettera morta.
Infine una mia considerazione personale: una cosa che sempre mi dà davvero fastidio, è il fatto che quando si parla di omosessualità e fede, i giornali cattolici sentano le opinioni di tanti: moralisti, teologi, il presidente dell’Associazione del Forum delle Famiglie, e così via. Ma nemmeno questa volta mi è riuscito di trovare su Avvenire, Famiglia Cristiana, Citta Nuova o altre fonti, un’intervista a qualcuno che parli a nome degli omosessuali credenti.
Noi continuiamo e non esistere, o perlomeno a essere delle entità astratte, delle ipotesi, che è meglio che stiano nell’angolino e non disturbino troppo. Anche nel Sinodo. Grazie ancora a tutti per il prezioso lavoro di Gionata.
Enrico
La risposta…
Caro Enrico, per rispondere alle tue domande credo che sia opportuno inquadrare il Sinodo che si è appena concluso all’interno del percorso in cui si colloca.
Dopo il Concilio Vaticano II, con cadenza triennale, si riunisce a Roma un Sinodo ordinario che prevede un’ampia partecipazione di vescovi da tutte le parti del mondo: i padri sinodali vengono eletti dagli episcopati dei vari paesi che discutono in maniera più o meno libera davanti al papa che, al termine del Sinodo raccoglie gli argomenti trattati in un’esortazione apostolica.
Visto che il XIII sinodo si era riunito nel 2012 (il tema affrontato era l’evangelizzazione) era già sicura la data di convocazione del XIV, ovvero l’ottobre del 2015.
Non sappiamo se papa Francesco abbia in qualche modo contribuito alla scelta del tema su cui si sarebbe svolto il XIV Sinodo (la scelta spetta alla Segreteria generale del Sinodo stesso e tiene conto dei suggerimenti e delle osservazioni che vengono dai vescovi). Sappiamo però che, una volta scelto l’argomento, ha deciso di trasformare radicalmente il percorso che avrebbe portato a quel Sinodo, indicendo un Sinodo straordinario (a cui sono invitati, insieme ai presidenti delle Conferenze episcopali, anche numerosi delegati scelti direttamente dal papa) che aveva il compito di affrontare le richieste che emergevano da una consultazione di tutti i credenti che, nella chiesa contemporanea, rappresenta una novità assoluta.
Personalmente credo che un percorso così articolato risponda a due esigenze differenti: da un lato si vogliono davvero trovare delle risposte concrete ai problemi che nascono dai nuovi contesti in cui vivono le famiglie, dall’altro si vuol fare di tutto perché queste risposte non provochino fratture profonde all’interno della Chiesa cattolica.
Quello che, in sostanza, sembra dire il papa è: «Andiamo incontro al mondo che ha sete del Vangelo, ma facciamolo tutti insieme!». E per sottolineare questa sua scelta, ha voluto coinvolgere nel percorso sinodale molti esponenti della gerarchia cattolica che guardano con diffidenza a qualunque cambiamento.
Non credo sia un caso che il papa abbia deciso di nominare, tra i padri sinodali che si sono appena incontrati, molti personaggi che si oppongono a qualunque apertura. Con questa scelta sembra dire che, se apertura ci sarà, dovrà essere apertura di tutta la chiesa, non di una sua parte che va per la sua strada, mentre un’altra parte mugugna nell’ombra.
I risultati del lavoro che è stato fatto in questi due anni (con la raccolta dei questionari prima e con il Sinodo straordinario poi) li vedremo quindi solo tra due anni quando, presumibilmente, il papa, raccoglierà i suggerimenti emersi durante il XIV Sinodo ordinario in una esortazione apostolica.
Naturalmente si può tentare anche una valutazione di questa tappa intermedia, ma nel farlo occorre evitare l’errore che ha fatto quasi tutta la stampa internazionale che, dopo la pubblicazione della “Relatio post disceptationem” ha dato per scontate delle aperture che poi nella relazione finale del Sinodo, sono scomparse.
Cosa dire allora dei due punti dedicati all’omosessualità collocati nella relazione finale del Sinodo di quest’anno? Rappresentano un’apertura? Rappresentano una chiusura? Ribadiscono senza modificarle le condanne e le aperture del passato?
Inizio con il dire che non sono assolutamente d’accordo con chi sostiene che la relazione conclusiva del sinodo contenga delle aperture significative sul tema dell’omosessualità e mi chiedo dove certa stampa le abbia lette.
Di sicuro so che alcuni padri sinodali che chiedono alla chiesa una maggiore attenzione verso omosessuali e transessuali si sono espressi con un “non placet” sul punto 55. Semmai rappresentano una scelta di continuità rispetto al passato. Basta osservare il testo.
Dopo una breve introduzione che non fa altro che descrivere la realtà (“Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa”) si citano, nell’ordine: un primo brano delle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omosessuali che, nel 2003, la Congregazione per la dottrina della Fede aveva dedicato all’argomento (“Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”); il Catechismo della Chiesa Cattolica (“gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza” che riprende chiaramente il punto 2358 del Catechismo stesso quando recita: “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza”); un secondo brano del testo della Congregazione per la dottrina della Fede sul riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali che però non fa altro che riprendere il testo del Catechismo (“A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”).
Due settimane di dibattito per decidere di citare due documenti del magistero, sinceramente, non mi sembrano questa grande apertura di cui parlano alcuni giornalisti.
Detto questo, credo che sia sbagliato pensare che i risultati del Sinodo straordinario sull’omosessualità siano deludenti.
Anzi, direi che sono andati oltre a ogni mia più rosea aspettativa perché molti padri sinodali non hanno avuto problemi nel sollevare il problema dell’accoglienza di lesbiche e gay di fronte a un’assemblea che si sapeva già essere di orientamento conservatore (ho spiegato sopra come sono stati scelti i padri sinodali). E le tracce di questi discorsi sono rimaste nella “Relatio post disceptationem” che il cardinal Erdo ha letto al termine della prima settimana di lavori.
Qualche padre sinodale ha infatti senz’altro osservato che: “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana” e si è chiesto se questa stessa comunità “è in grado di accoglierle, garantendo loro uno spazio di fraternità” (cfr 50).
Qualcun altro ha osservato che molte persone omosessuali: “Desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro” e si è chiesto se le comunità cristiane sono in grado di vivere questa accoglienza “accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio” (cfr 50).
Ancora, durante il Sinodo è senz’altro emersa l’esigenza di elaborare, con le persone omosessuali: “cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica” che integrino anche la dimensione sessuale (cfr 51).
E così, pur senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali, alcuni padri hanno invitato il Sinodo a prendere atto: “che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” (cfr 52) e altri, riprendendo un concetto che era era già presente nell’Instrumentum laboris del Sinodo stesso, hanno ribadito che: “la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli” (cfr 52).
Tutte queste affermazioni dimostrano che, durante il Sinodo, il clima nei confronti dell’omosessualità, stava radicalmente cambiando e che solo una dura reazione di alcuni padri che sembrano essere più attenti al Codice di Diritto Canonico che al Vangelo, ha costretto la segreteria del Sinodo a cancellare tutti i riferimenti che erano emersi durante il dibattito e a lasciare solo tre citazioni da documenti elaborati più di dieci anni fa dalla Congregazione per la dottrina della Fede.
E non è un caso che una minoranza significativa abbia manifestato il suo disagio rispetto a questa operazione valutando con un “non placet” il punto relativo all’omosessualità che compare nella relazione finale.
Alla luce di queste considerazioni, quindi, credo che ci sia da essere ottimisti.
C’è da essere ottimisti perché il Sinodo ordinario del 2015 riprenderà senz’altro il tema dell’accoglienza delle persone omosessuali e lo farà con risultati che potrebbero sorprenderci tutti, visto che la composizione di un Sinodo privilegia la partecipazione degli episcopati nazionali, senz’altro più attenti alle esigenze dei fedeli di quanto lo sono i cardinali che guidano i vari dicasteri della Curia Romana.
C’è da essere ottimisti perché il dibattito che è iniziato nelle prima settimana di ottobre senz’altro continuerà e anche gli omosessuali credenti potranno dare un loro contributo, facendo coming out nelle parrocchie, scrivendo ai loro vescovi e chiedendo di essere ascoltati, diffondendo l’enorme quantità di materiale che teologi e pastori hanno elaborato, nel corso degli ultimi trent’anni sull’omosessualità.
C’è da essere ottimisti, infine, perché la chiesa è guidata da un uomo come papa Francesco che ha fatto del discernimento uno dei punti di riferimento del suo pontificato e che, elencando le tentazioni in cui può cadere la chiesa di fronte ai problemi che il Sinodo sulla famiglia è chiamato ad affrontare, ha ricordato al primo posto: “La tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo Spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere” e ha osservato che: “Dal tempo di Gesù, la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei cosiddetti – oggi – tradizionalisti e anche degli intellettualisti”.
Senz’altro ci aspetta un anno interessante che potrebbe riservarci delle sorprese. Noi dobbiamo fare la nostra parte: impegnandoci per far conoscere quello che di positivo c’è nella nostra esperienza di omosessuali credenti e, soprattutto, pregando tanto lo Spirito Santo perché accompagni e guidi la chiesa in questo delicato passaggio. E se non sappiamo che preghiera dire, facciamo nostra l’invocazione che don Orione, il grande santo della carità, era solito dire ai suoi preti: “Ave Maria e… avanti!”.