Suor Forcades: con papa Francesco nella chiesa “le persone che parlano dell’unione omosessuale come benedetta da Dio hanno smesso di essere perseguitate”
Articolo di Maddealena* Oliva pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 1 ottobre 2019, pag.14
“Sono una suora di clausura parlo di sesso e politica”. Teresa Forcades**, teologa femminista e “queer”, suora di clausura “prestata” alla politica: parla di sesso, donne e delle sfide per Bergoglio
E’ tornata a indossare il velo della monaca di clausura, nel suo monastero di Sant Benet de Montserrat, poco distante dalla Barcellona dove 53 anni fa è nata. E così Suor Teresa Forcades – la “rivoluzionaria e pacifica”, come lei stessa ama definirsi, teologa femminista e queer, paladina della causa indipendentista catalana – conclusa la “brutta esperienza coi partiti politici”, è tornata sì dalle sue consorelle, ma ha ripreso anche a girare il mondo (sarà a Roma il 2 ottobre per la rassegna “Ripensare la comunità”), per continuare a denunciare “una Chiesa patriarcale e misogina”.
Alcuni giorni fa il Papa ha detto che, a causa del clericalismo, “ci si concentra sul sesso e poi non si dà peso all’ingiustizia sociale”.
Suona come una scusa, un alibi. È la stessa cosa che dicevano i leader dei movimenti negli anni 60-70: prima facciamo la rivoluzione, poi ci occuperemo dei diritti delle donne. O degli omosessuali. È un errore. La pedofilia ecclesiastica è un problema importante, così come la misoginia e l’omofobia: ma lo è pure l’ingiustizia sociale. In modo diverso, sono forme di violenza che si tengono tra loro. Non ha senso contrapporle.
Cosa chiede Dio all’uomo in tema di sesso?
Onestà rispetto alla propria esperienza. E chiede di non mettere la Legge al di sopra delle persone.
Lei ha “sentito” Gesù, mentre era studentessa di Medicina. Che rapporto ha col sesso?
Credo sia un dono di Dio, non finalizzato solo alla procreazione. L’intimità fisica di per sé non è sufficiente, ma, quando c’è un dono sincero di sé all’altro, consente un livello di unione che nessun altro tipo di relazione permette. Quando due persone si amano con impegno non può essere la differenza sessuale a ostacolare questo amore. L’amore è sempre sacramento di Dio, se si rispetta la libertà dell’altro.
Una suora o un prete avrebbero diritto a essere liberi di vivere la propria corporeità?
Si, ma per me la libertà non è in contrasto con l’impegno o con la fedeltà. Una suora o un prete non possono prescindere da questo. Neppure, però, viverlo come un’imposizione. Dipende dalla responsabilità di ognuno.
Da teologa, crede davvero che la Chiesa necessiti di una “rivoluzione queer”?
Si, lo credo, perché interpreto la parola queer alla luce del terzo capitolo del Vangelo di Giovanni: bisogna nascere di nuovo, non dalla madre, ma dall’acqua e dallo Spirito. Essere queer significa credere che la nostra vita abbia un’originalità radicale: Dio spera che noi la rispettiamo, senza seguire modelli o etichette, né di genere, né di altro.
È stata spesso attaccata per le sue posizioni sull’amore omosessuale. Il papato di Bergoglio sta facendo passi in avanti?
Non ha apportato modifiche al Magistero ecclesiale, ma, nella prassi, sì. Le persone che parlano dell’unione omosessuale come voluta e benedetta da Dio hanno smesso di essere perseguitate. Me compresa.
Lei si definisce femminista.
Essere femminista significa essere consapevoli di una discriminazione che, se non c’è per legge, c’è di fatto, e lavorare per superarla. In Germania, la Conferenza episcopale discute di sacerdozio femminile, di abolizione del celibato, di una maggiore libertà sulla morale sessuale. È la mia battaglia: l’esclusione delle donne dai sinodi e, più in generale, dai luoghi di potere. Continuo a battermi contro il patriarcato, dentro e fuori la Chiesa.
Nella costruzione di un certo immaginario relativo alla donna, alcuni partiti conservano un ruolo attivo.
Si, ma la questione non riguarda soltanto le destre. Ci sono più donne a guidare partiti di destra che di sinistra. Sebbene non affermino che la vocazione delle donne è di “essere moglie madri”, molti, proprio a sinistra, continuano ad assegnare alle donne i compiti di cura.
A proposito di sinistra, lei nel 2015 si è candidata con Podemos.
Avevo contribuito a fondare un movimento per l’indipendenza catalana, “Processo Costituente”. Poi non abbiamo raggiunto l’intesa con Podemos. Mi sembrava, con la politica, di poter contribuire a un futuro migliore per la democrazia della mia Catalogna. Il mio posto è il monastero non la politica, ma ero disposta – e lo sarei di nuovo – ad adoperarmi in via eccezionale.
Prima di diventare monaca di clausura ha mai pensato a lei come madre?
Si. Da adolescente volevo avere nove figli.
Cosa significa la fede?
Credere che io, lei, il mondo abbiamo un futuro che non è di morte. Significa credere che nessun gesto d’amore sia vano. Significa credere nel perdono.
In questi giorni in Italia c’è stato un duro scontro sul “fine vita”. C’è chi spinge per avere una legge sull’eutanasia, mentre un ampio fronte cattolico si oppone.
Che ci sia una legge o meno, è la realtà, come sempre, a imporsi. Quando si tratta di persone e non di cose, il criterio della maggioranza serve a poco. Per ogni persona che decide liberamente di morire, ce ne sono almeno altre dieci che, potendo scegliere, arriveranno a farlo, spinte da circostanze che esistono anche se la legge le ignora. Cosa farebbe lei se avesse una certa età, fosse malata, non particolarmente abbiente, e a casa sua avessero difficoltà a prendersi cura di lei?
*Traduzione dell’articolo a cura di C. Guarnieri e N. Forcano
*Teresa Forcades, è monaca benedettina, ex medico, oggi teologa, ha fondato nel 2012 “Processo Costituente” per l’indipendenza catalana. II suo ultimo libro è “Fede e libertà” E’ a Roma il 2 ottobre al MacRo per gli incontri “Ripensare la comunità”, rassegna organizzata dall’editore Castelvecchi e Filosofia in movimento, con il Macro Asilo.