Suor Luisa, vent’anni al servizio delle persone transgender
Intervista di suor Jeannine Gramick* a suor Luisa Derouen pubblicata sul sito cattolico Global Sisters Report (Stati Uniti) il 14 giugno 2018, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Suor Luisa Derouen è una pioniera della pastorale rivolta alle persone Trans dell’acronimo LGBT. Oggi abbiamo alcune religiose che si occupano di persone transgender, ma suor Luisa nel 1999 è stata la prima a farlo, quando la maggior parte dei cattolici faceva già fatica a capire e accettare le persone Lesbiche e Gay.
Negli ultimi anni ho avuto molte occasioni di scrivere e incontrarmi con suor Luisa, che appartiene all’ordine delle Suore Domenicane della Pace, e sono sempre rimasta molto meravigliata dal suo ministero svolto ai margini del genere. Penso che la nostra Chiesa cattolica debba dare un riconoscimento a questa donna coraggiosa e profetica, che ci mostra come essere apostole in mezzo a persone tra le più disprezzate.
Voglio dire qualcosa di più su di lei. È cresciuta a Welsh, un paesino della Louisiana (Stati Uniti), dove la sua unica possibilità di vivere la fede era frequentare la comunità religiosa delle Missionarie Eucaristiche di San Domenico. Gli anni dell’adolescenza furono molto sereni per lei, ed è sempre stata grata a Dio e alla sua famiglia per tutte le benedizioni che ha avuto. Quando, a quindici anni, ottenne la patente, cominciò ad andare a Messa tutti i giorni, cosa che fece per tutti gli anni del liceo.
Luisa sentiva che avrebbe potuto amare Dio più pienamente attraverso la vita religiosa, e nel 1961, alla fine del liceo, decise di entrare in questa piccola congregazione diocesana [le Missionarie Eucaristiche di San Domenico]. Furono anni piuttosto difficili, ma Luisa non dubitò mai che la vita religiosa fosse la sua strada.
Suor Luisa ha svolto molti compiti: ha servito nelle parrocchie, è stata responsabile vocazionale per il suo ordine, coordinatrice della casa madre, madre spirituale, responsabile di ritiri ed esperta di spiritualità liturgica. Nel 2005 l’uragano Katrina l’ha costretta a lasciare la comunità di New Orleans e si è spostata quindi a Tucson, in Arizona, dove era già stata in missione.
In quel periodo le era già stata diagnosticata una grave artrite degenerativa alla mascella, e a causa del dolore ha dovuto limitare i suoi discorsi. Per questi motivi di salute si è ritirata dal ministero attivo nel 2010 e si è trasferita a St. Catherine, nel Kentucky. Nel frattempo, nel 2009, la sua congregazione si era fusa con molte altre di carisma domenicano per dare vita a un nuovo ordine, le Suore Domenicane della Pace.
Questa è la mia chiacchierata con lei.
Jeannine: Cosa l’ha portata a occuparsi delle persone trans, e in che cosa consiste il suo ministero?
Luisa: Stavo terminando il mio incarico di responsabile vocazionale, era il 1998, e ho chiesto alle mie superiore se potevo svolgere un ministero rivolto alle persone omosessuali, visto che ne avevo esperienza in famiglia. Furono subito d’accordo, ma a condizione che potessero controllare il mio lavoro. A un incontro di PFLAG (Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays, Genitori, Famiglie e Amici di Lesbiche e Gay) conobbi Courtney Sharp, una donna transgender in convalescenza dopo essersi sottoposta alla riassegnazione chirurgica del sesso. Rimasi impressionata dall’amore e dal rispetto da cui era circondata all’interno del gruppo. Disse che essere consapevoli e affermare con coraggio la propria verità di persona transgender è una profonda esperienza spirituale per molte di loro, ma non c’era una guida spirituale disponibile ad accompagnarle. Era il 1999. Courtney mi presentò alcune persone trans di New Orleans e presto molte altre mi contattarono, da ogni parte del Paese.
Sono stata la loro compagna spirituale e sono stata presente per loro al telefono, via Skype, via email, al bar, al ristorante, nelle loro case, in chiesa e nei ritiri spirituali. Ma soprattutto prego per loro, e loro lo sanno.
Frequentavo regolarmente i gruppi di sostegno per persone transgender. Per anni ho fatto la moderatrice delle serate di consapevolezza transgender, in cui invitavo la gente a conoscere le mie amiche e amici trans, ad ascoltare le loro storie. Ho fatto da mentore a un paio di consorelle, che oggi svolgono anch’esse un ministero per le persone transgender.
Come conciliano le persone trans la loro fede e la loro identità di genere?
Quelle che mi contattano conoscono già Dio, e lo amano, ma sentono una forte pressione sociale e religiosa, la quale insinua che non possono essere transgender e fedeli a Dio contemporaneamente. Per esempio, Dawn è rimasta traumatizzata da due sacerdoti che l’hanno giudicata in modo durissimo, dicendo che era destinata all’inferno a meno che non riconoscesse di essere un ragazzo e non una ragazza. Il suo psicologo non riconobbe il fatto che il nocciolo del problema di Dawn era l’urto tra la consapevolezza di essere transgender e la fede in quel Dio che l’amava così com’era.
Brian e sua moglie andavano a Messa e dicevano il rosario ogni giorno. Per molti anni Brian lottò contro la costante consapevolezza di essere transgender, che gli veniva dal cuore. Alla fine non poté più fingere di essere una persona che non era. Dato che la sua famiglia incontrava enormi difficoltà con la sua transizione, pensò che forse doveva fare come aveva fatto Gesù: scegliere di morire per il bene di chi amava. Sentiva uno schiacciante senso di colpa per il loro dolore, pensava che fosse colpa sua. Passava molte ore con Dio. Infine comprese che Gesù non ha scelto di dare la vita: Gesù ci ha amati al punto di morire, ed è questo che intendeva quando ha detto “Sono venuto perché possiate avere la vita, e averla in abbondanza”. È il nostro falso sé che deve morire, non certo il nostro vero sé.
Sandi e sua moglie, una coppia sui 45 anni, vive sulla Costa Occidentale. Hanno cinque figli che vanno dai 21 ai 4 anni e sono da sempre molto attivi nella loro parrocchia. Dopo la transizione Sandi è stata accettata senza riserve dai colleghi, con i quali gira il mondo per lavoro. Tuttavia, sua moglie e i suoi figli hanno enormi difficoltà ad accettarla, per quanto Sandi sia incredibilmente paziente e compassionevole e mostri nei loro confronti una capacità di perdono e amore senza limiti. Per me Sandi è un’ispirazione, è così che dovrebbe essere la santità.
Dawn, Brian e Sandi sono stati in grado di conciliare fede e identità di genere. Molte altre persone non riescono, e hanno bisogno di essere accompagnate. Le persone transgender lottano molto di più della maggior parte della gente per essere sincere con se stesse, con chi amano e con Dio. Sono sempre stata molto colpita dalla frase di una mia amica trans: “Preferisco essere odiata per quello che sono, piuttosto che amata per quello che non sono”. Per chi fra noi “vivere nella propria verità” è così importante quanto per le persone transgender?
Come ha reagito la sua congregazione?
Le mie superiore hanno riconosciuto fin da subito che il mio ministero è una risposta a una vocazione divina, del tutto coerente con il nostro carisma e la nostra missione. All’inizio ho avuto l’approvazione delle Missionarie Eucaristiche di San Domenico, poi nel 2009, con la fusione, il mio ministero è stato approvato dalle Suore Domenicane della Pace.
Magari ci sono alcune consorelle della mia comunità che non approvano ciò che faccio, ma nulla mi è stato riferito. Negli anni sempre più consorelle mi hanno contattata per farsi aiutare, o per aiutare qualcuno che conoscevano, per avere una guida al mondo transgender. Hanno riconosciuto che abbiamo tutte ancora molto da imparare, e che dobbiamo stare al fianco delle persone transgender, e tutte mi hanno ringraziato per aver aperto la strada.
Quattro anni fa ho letto un eccellente articolo di Nathan Schneider che descrive la sua vita e la sua opera. Lì lei viene chiamata “suor Monica”. Perché, nello svolgimento del suo ministero, per tanti anni ha utilizzato uno pseudonimo?
Le mie superiore riconobbero fin da subito questa mia vocazione, ma sapevano che la Gerarchia conosce ancora molto poco questa realtà. Se un vescovo avesse avuto qualcosa da obiettare, ci sarebbero state conseguenze indesiderabili per la mia congregazione e il mio ministero, che nel 1999 mi chiesero di non pubblicizzare.
Nel 2014, quando le persone transgender erano divenute più visibili, la madre superiora diede il permesso a me e ad altri di raccontare il mio ministero, ma senza fare il mio nome, né quello della congregazione, né i luoghi in cui avevo vissuto. Un commento da non trascurare, fatto sia da amici che da detrattori, è “Se il lavoro di suor Monica viene da Dio, allora perché si nasconde?”. È una domanda seria.
L’anno scorso, in questo Paese, è stata uccisa una persona transgender ogni due settimane. Ora ho scelto di usare il mio nome perché sento che Dio mi costringe a dare una testimonianza più completa della vita delle persone transgender e della mia verità. Date le mie condizioni di salute, devo stare molto attenta a parlare, e credo che ora la mia “voce” possa raggiungere innumerevoli persone attraverso la scrittura, sempre per facilitare il cammino delle persone transgender. Ciò che sta loro succedendo è la ragione per cui ora ho fatto coming out.
Penso che papa Francesco approverebbe. Nel primo anno del suo papato una donna transgender venne trovata uccisa a Roma, e il suo funerale venne celebrato alla chiesa [gesuita] del Gesù, considerata un po’ la chiesa del Papa a Roma. Francesco invita i cattolici ad avere misericordia e non paura. Lei lo considera un suo alleato?
Sì, certo. Mi rendo conto che alcuni sono delusi perché non ha cambiato i punti dottrinali riguardanti la sessualità e il genere, ma io non mi aspetto che lo faccia. Lo considero un alleato perché si pone in modo corretto di fronte alla verità.
Per Francesco la cosa più importante è l’impegno della persona. Conosciamo tutti le sue metafore preferite per la cultura dell’incontro: la Chiesa ospedale da campo e il pastore con l’odore delle pecore. Ha ripetuto più volte che gli altri vanno visti per quello che sono, che vanno ascoltati, che bisogna avere compassione ed empatia. Tutto questo dovrebbe venire prima dei test di ortodossia dottrinale, se vogliamo sapere come essere presenza di Cristo per gli altri.
Tuttavia Francesco, come fanno anche altri, scivola verso l’approccio dottrinale quando non ha abbastanza esperienza diretta con coloro che mettono in crisi le credenze tradizionali. Ne è un buon esempio la sua esperienza con le persone transgender. Conosce la carmelitana scalza argentina suor Monica Astorga Cremona ed è un sostenitore del suo ministero, che si rivolge alle donne transgender intrappolate nella droga e nella prostituzione, e ha avuto un incontro toccante con un uomo transgender in Vaticano, ma questo non è bastato per rintuzzare le pressioni che continua a subire per condannare la presunta “ideologia gender”. Constatato questo, il Papa è sempre disponibile ad imparare e ad ammettere i suoi sbagli. È un uomo profondamente santo, aperto allo Spirito di Dio.
Varie ricerche e sondaggi mostrano come la grande maggioranza dei cattolici sostenga i diritti civili per gay e lesbiche. Nel recente dibattito nazionale sul matrimonio omosessuale, quasi tre cattolici statunitensi su quattro hanno espresso approvazione per un qualsiasi tipo di riconoscimento legale. Pensa che i cattolici praticanti accettino anche le persone transgender? Le tematiche trans sono più facili o più difficili da gestire nella nostra Chiesa?
Come in molte altre questioni di vita parrocchiale, spesso l’atteggiamento dei fedeli dipende da quello del parroco: se predica rispetto e dignità per tutti, e tratta la gente in maniera rispettosa e accogliente, la maggior parte dei fedeli farà altrettanto; se predica cose negative a proposito di alcune sorelle e fratelli battezzati, i fedeli si sentiranno giustificati a comportarsi negativamente anch’essi.
Credo che le questioni trans, nella nostra chiesa, stiano diventando da un lato più facili, dall’altro più difficili. In nessuna epoca della nostra storia i cattolici sono stati così informati, in gran parte grazie all’Internet. I fedeli non si affidano più alla Gerarchia ad occhi chiusi quando devono informarsi di qualcosa, come avveniva in passato; molti [laici] oggi sono laureati in teologia e hanno una spiritualità più matura che in passato. Esistono moltissime opportunità per incontrare le persone transgender e imparare da loro.
D’altro canto, in questo momento nel nostro Paese c’è un clima che aizza le divisioni, il pregiudizio e la paura verso chi è diverso, un messaggio sociale che ha origine dalle Chiese cristiane, e ad esse ritorna. Le persone transgender diventano sempre più visibili nelle istituzioni cattoliche e i vescovi hanno sempre più a che fare con loro negli ospedali, nelle scuole, nei ritiri spirituali, nelle case di riposo etc. Conosco due diocesi che hanno promosso dei corsi per operatori diocesani sulle persone transgender, ma è stato tragico sapere che le informazioni fornite in ambedue i casi erano datate e imprecise, e denotavano scarsa sensibilità.
L’anno scorso il National Catholic Bioethics Center (Centro Nazionale Cattolico di Bioetica) ha ospitato un convegno dal titolo “Guarire le persone in una cultura ferita”. Non sorprende sapere che le questioni transgender erano in primo piano a questo convegno, eppure nessuna persona transgender è stata invitata a parlare. Il presidente del Centro ha dichiarato che i vescovi presenti stavano cercando dei modi “per accompagnare queste persone, per aiutarle, essere con loro, al loro fianco”, ma come fa un vescovo ad aiutare una persona senza parlare con lei? Questo mancato impegno fa sì che i vescovi siano malissimo informati su questi temi, e questo è molto pericoloso per le persone transgender.
Che speranza vuole dare a chi leggerà questa intervista?
Spero che i lettori diranno “Wow, questa suora ama davvero le persone transgender e ha investito gran parte della sua vita per loro e con loro. Forse dovrei rivedere i miei pregiudizi su di loro”. Spero che le menti e i cuori si aprano per imparare sempre di più e, se possibile, cercare opportunità per incontrare queste persone. Prego perché chi leggerà questa intervista veda le persone transgender così come le vede Dio, vale a dire le veda così come sono.
* Suor Jeannine Gramick appartiene all’ordine delle Suore di Loreto ai piedi della Croce e dal 1971 svolge un ministero pastorale rivolto alle cattoliche lesbiche e ai cattolici gay. Ha contribuito a fondare New Ways Ministry e dal 2003 è coordinatrice esecutiva della National Coalition of American Nuns (Coalizione Nazionale delle Suore Americane).
Testo originale: Ministry on the gender margins