Teologia al femminile. Ecumenica, in gioco per la pace e la giustizia
Intervista di Giuseppina D’Urso* alla teologa Cristina Simonelli pubblicata sul quindicinale Adista Segni Nuovi n° 8 del 2 marzo 2019, pp.6-7
Cristina Simonelli è teologa laica. Di origine fiorentina, è presidente del Coordinamento delle teologhe italiane dal 2013, e attualmente insegna Teologia patristica a Verona (San Zeno, San Pietro Martire) e presso la Facoltà dell’Italia Settentrionale e Seminario Arcivescovile di Venegono (Milano).
Intervistarla significa cercare di comprendere che ruolo possa ritagliarsi una donna all’interno del dibattito teologico italiano, e quindi che spazio possa avere una “teologia femminista”, anche in riferimento a un ciclo di conferenze che si tengono a Reggio Emilia fino al maggio 2019, presso un’aula dell’Università cittadina, intitolato “La teologia delle donne”. Tali conferenze sono organizzate dal “gruppo amiche di Reggio Emilia”, e Simonelli vi è stata invitata come ultima relatrice nel mese di maggio.
Vorresti brevemente presentarti:? La tua formazione e il perché di una scelta che sembra ancora molto “maschile”…
Presentarsi può essere la cosa più difficile di tutte, perché non è semplice trovare le parole per dirsi e perché ho spesso la sensazione di averlo fatto molte volte. Ma proprio nel risponderti ho pensato anche che si tratta pure di un’operazione a specchio, non si ripete mai del tutto la stessa cosa perché l’occasione è diversa, gli interlocutori sono diversi e questo muove qualcosa anche della identità di chi scrive.
Ma di questo dirò magari meglio parlando delle reti e degli incontri attorno ai quali si sviluppa questo nostro dialogo. Per me lo studio della teologia è venuto in un secondo momento, anzi sospettavo non poco che ci fossero cose astruse. Perché ho amato le periferie (fino a prima di papa Francesco non era termine molto usato) e ho avuto la fortuna di potervi anche essere ospitata: ho infatti vissuto 36 anni in contesto Rom, con altre e altri.
Solo da lì e a partire da una professione molto concreta (infermiera) ho iniziato a seguire alcuni corsi, soprattutto biblici e storici e ne sono stata letteralmente conquistata.
Non mi ponevo affatto il problema che fosse un mondo maschile, anzi mi sembrava di entrare a poter conoscere cose importanti per la vita mia e di tanti. Solo studiando ho potuto dare anche maggior attenzione alla domanda su “chi” ero e dunque porre attenzione alla differenza sessuale e quant’altro.
Quando e come è nato il “Coordinamento delle teologhe italiane”?
Il CTI è nato nel 2003, per iniziativa di Marinella Perroni, teologa e biblista, che ha individuato una congiuntura propizia per raccogliere in rete e anzi in associazione con un proprio statuto l’opera di diverse studiose di teologia che già operavano, studiavano, insegnavano, in una comunità ideale.
Con l’associazione ci siamo pian piano dotate di un sito (www.teologhe.org), di una newsletter, di collane e pubblicazioni, abbiamo partecipato al Coordinamento delle Associazioni teologiche italiane, e così via. Siamo adesso circa 150 socie – ma ci sono anche alcuni uomini che si riconoscono nel progetto – e intercettiamo reti molto più ampie.
Perché ritieni utile e necessaria una “teologia al femminile”? Non pensi che possa diventare ghettizzante isolare una teologia esclusiva di donne?
A dire la verità io preferisco indicarla come “femminista”, per rispetto di un dato storico e anche di una dimensione trasformativa. So tuttavia che il termine è abbastanza inviso, non solo a chi non vorrebbe cambiare niente, ma anche a molte persone giovani, per motivi generazionali. In questo orizzonte sta anche la risposta alla tua domanda: non credo che la teologia femminista sia ghettizzante, anzi: riconoscere un punto di vista collocato e parziale è chiave per pensare l’insieme senza escludere nessuno.
Al contrario temo il cattivo infinito dei pretesi universali, che alla fine sono l’espressione solo di qualcuno che pensa di poter prendere tutto lo spazio. Forse con una parola si potrebbe dire “patriarcato”, ma ce ne vorrebbero poi troppe per spiegare meglio. Per questo comunque abbiamo anche dei soci, uomini cioè che pensano di partire dalla propria parzialità e dunque di poter lavorare insieme alle donne. In ogni caso operiamo a diversi livelli con molti colleghi e con colleghe che non intendono associarsi, non siamo esclusiviste.
Che peso “politico” siete riuscite a ritagliarvi? Magistero e Tradizione appaiono così legati, quasi identificati. Che spazio potete avere?
Studiare teologia è anche poter distinguere il centro del messaggio dai contorni, le esigenze importanti dalle piccole regole e così via. Proprio la dimensione storica della tradizione cristiana spinge a un’adesione critica e aperta alle domande, protesa al futuro. Questo mi interessa più del resto. Peso “politico” non saprei del tutto dire, certo esistiamo come soggetto pubblico – in quanto Associazione. Come singole persone, dipende dai ruoli, alcuni hanno comunque anche una dimensione istituzionale, come è, nel mio caso ad esempio, l’insegnamento della teologia.
All’interno del “Coordinamento” che rapporto sussiste tra chi proviene da una formazione cattolica, e chi dall’ambito della Riforma? Consapevoli che in ambiente protestante la donna ha raggiunto un grado di emancipazione ancora impensabile in ambiente cattolico…
Il comune denominatore dell’essere donne viene prima e oltrepassa le differenze confessionali, la teologia femminista nasce ecumenica e non può non esserlo. Personalmente sono per il modello delle differenze in comunione e dei consensi differenziati, cioè opto per la permanenza nelle diverse denominazioni. Ritengo che in ambito cattolico la questione dei ministeri sia certo da riaprire, ma non è per me il primo punto: voglio di più, voglio Chiese solidali con ogni vita, pronte a mettersi in gioco per la pace e la giustizia.
In modo più particolare, in ambito cattolico, che significato ha essere laica o consacrata nel momento in cui si approccia il pensiero teologico? Quali sfumature diverse offrono differenti stili di vita?
Quanto dicevo rispetto alle differenze confessionali e al lavoro comune con uomini vale a maggior ragione per le differenze fra “stati di vita” (per usare un termine un po’ desueto), che si potrebbe però anche allargare, nel senso che al di là di essere laiche o religiose svolgiamo compiti diversi, abbiamo diverse competenze professionali, diverso orientamento sessuale, abbiamo o no figli biologici e così via. Partire da sé, come suggerisce l’esperienza femminista, è tenere in grande considerazione questo radicamento, che può tuttavia essere messo in comune, anzi che trova maggiore lucidità proprio quando si specchia nelle altre, negli altri, come suggerivo all’inizio.
Quale effettiva utilità ritieni possano avere convegni come quelli organizzati presso l’Università di Reggio Emilia?
Penso che siano cose molto interessanti e per questo, nonostante siamo abbastanza occupate fra impegni professionali, pastorali e familiari, non ci siamo sottratte al piacere e alla fatica di partecipare.
Mi sembra particolarmente interessante, al di là della Università con cui abbiamo anche altre relazioni, e della risonanza (amo le cose in cui ci si scambiano realmente dei contenuti), che sia fatto in collaborazione con reti Lgbt. È un aspetto importante, una prospettiva pastorale sulla quale – già lo sottolineavo ad Albano – nella Chiesa cattolica c’è ancora moltissimo da fare. E non è detto che il patriarcato sia solo eterosessuale: c’è bisogno di una presa di parola delle donne anche in questo ambito.
Consiglieresti lo studio della teologia in Italia a una qualsiasi ragazza che sia interessata alla materia?
Una giovane collega biblista ricorda ancora sorridendo che quando mi aveva chiesto consiglio le avevo messo di fronte tutte le difficoltà! Ritengo lo studio della teologia intrigante e importante, se si ha la fortuna di poterlo fare in ambienti aperti, anche appassionante.
Certo è uno studio che è bene intraprendere senza illusioni, non apre facilmente a possibilità di lavoro ed è necessario che le giovani donne in questo siano realiste, anche se è stata appena firmata un’intesa per il riconoscimento civile (dopo anni di attesa) dei titoli teologici. Ci sono molte cose comunque che si fanno anche per passione, per amore della trasformazione delle cose: la teologia è una di queste!
* Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze, Giuseppina D’Urso è volontaria dell’Associazione “La Tenda di Gionata”, nonché di Pax Christi Italia.