Teologia al femminile. Quando sono le donne a interpretare la Bibbia
Articolo di Giuseppina D’Urso pubblicato sul settimane Adista Segni Nuovi n° 26 il 4 luglio 2020
La Bibbia delle donne (Piemme, Milano 2020) è la traduzione italiana di un’operazione editoriale di ambito francofono (Une bible des femmes: Vingt théologiennes relisent des textes controversés, Labor et Fides 2018) che rientra in un quadro più vasto di letteratura teologica al femminile, che negli ultimi anni sta avendo sempre una maggiore diffusione. Segno dei tempi di una voce che finalmente trova spazio in un edificio per troppi secoli monolitico al maschile.
Una voce che non dimentica la discriminazione subita ma che, proprio partendo da una nuova visione e interpretazione della Bibbia, cerca di offrire un volto rinnovato e liberatorio al cristianesimo. O forse più precisamente, un volto che recuperi il messaggio originario evangelico e tenti una lettura diversa di alcuni passi controversi delle lettere paoline e dell’Antico Testamento.
Abbattere le discriminazioni di genere è un percorso lungo e complesso che prevede un lavoro in questo caso di coscientizzazione al femminile per superare quegli stereotipi che, introiettati, hanno relegato la donna ai margini della Storia. Marginalizzazione spesso giustificata proprio attraverso i testi sacri portatori, nell’ermeneutica tradizionale, di una presunta indiscussa verità tutta declinata al maschile.
È quindi necessaria una metanoia: «La voce delle donne diventa decisiva, l’autorialità che restituisce a ognuna il proprio percorso… La dignità della donna rientra in un discorso più ampio che afferma che decisiva è la vocazione di Dio e non i meriti della persona. Questi meriti sono declinati nei diversi contesti sociali come marcatori di genere, di appartenenza culturale, di orientamento sessuale: il ministro così si è caratterizzato in modo compatto come un uomo maschio, bianco, occidentale, eterosessuale.
E questi meriti naturali o di classe sono diventati segni di dignità, fino a escludere ogni altra persona sulla base della sua appartenenza indigena o di genere: inferiore insomma. Ancora una volta la teologia naturale di stampo patriarcale ha avuto la meglio non solo sulla visione egualitaria del Nuovo Testamento (Galati 3,28) ma anche sul cammino insieme, fianco a fianco, dell’espressione ebraica contenuta nel racconto della Genesi, ezer kenegdo (Genesi, 2,20)» [dalla Presentazione di Letizia Tomassone, pag. 9].
Già al termine del XIX secolo un gruppo di donne, legato al movimento delle suffragette statunitensi, aveva tradotto in diversi volumi l’intera Bibbia in una prima assoluta di un’operazione che metteva per la prima volta lo sguardo femminile al centro dell’interpretazione dei testi sacri.
L’operazione qui offerta ha un carattere diverso, non è una semplice traduzione (per quanto ogni traduzione porti l’impronta di chi l’esegue), ma presenta in tredici capitoli una rilettura, come accennato in precedenza, della Parola anche in un’ottica post coloniale perché alcune voci provengono dal Sud del mondo.
Diversi termini sono le chiavi di elaborazione di quei capitoli incentrati su corpo, coraggio, subordinazione, sterilità, bellezza. Non sono parole casuali, bensì termini pregni di significato entro il quadro di inferiorità disegnato per la donna. Il corpo-materia è tipicamente femminile, il coraggio è virile-maschile, la subordinazione è l’atteggiamento tipico richiesto alle donne, la sterilità per le medesime donne è un male essendo la procreazione-maternità uno dei pochi ruoli, insieme a quello di moglie, loro concesso, la bellezza è luogo di elezione femminile per eccellenza.
Ma come dice l’autrice del capitolo dedicato alla bellezza delle donne bibliche, la stessa «bellezza è un luogo di oppressione o di empowerment? » [pag.218]. Riguardo al corpo, l’immagine femminile è stata storicamente legata a quella del corpo, mentre quella dell’uomo (sesso maschile) è stata spiritualizzata.
L’intera Storia del cristianesimo è attraversata dal dualismo corpospirito, che ha esaltato il secondo ed enormemente svalutato il primo. Inoltre il controllo dei corpi è divenuto controllo sociale, dove il senso di pudore indotto da una serie di norme ha permesso il controllo maschile della sessualità femminile.
Nel primo capitolo la Sapienza-Sophia è l’immagine per eccellenza al femminile del divino: «Donna Sapienza viene personificata come un essere vivente che prende la parola e pronuncia tre discorsi per invitare ascoltatori e ascoltatrici a seguire i suoi insegnamenti (Pr 1, 20-33, 8, 6- 10; 9, 1-12). In questi attribuisce a se stessa le prerogative che solitamente sono riservate agli uomini… In breve, essa è descritta non solo come pari agli uomini, ma simile all’Eterno, dotata di forza e decoro (Pr 31, 25)» [pagg. 26-27].
D’altra parte le stesse donne possono diventare le mediatrici con il divino, come mostrano gli esempi di Culda, la profetessa in Gioele 3,1-2, che interpreta la Legge, e di Maria di Magdala nei vangeli, per troppo tempo screditata come prostituta dalla visione dei Padri della Chiesa. In realtà ora riconosciuta come apostola degli apostoli, in quanto secondo Matteo (28,9) e Giovanni (20,14- 17) è a lei che Cristo risuscitato appare per primo invitandola ad andare a dare l’annuncio agli altri discepoli.
Molto interessante il quarto capitolo dedicato al brano del vangelo (Luca 10,38-42) centrato sulle figure di Marta e Maria, classicamente interpretate come simboli rispettivamente della vita attiva e della vita contemplativa. Ma nell’ottica delle due teologhe autrici del capitolo la contrapposizione diviene “serve o bambole”.
Da una parte Marta nella classica versione femminile di serva, dall’altra Maria che passivamente in silenzio ascolta: «Tra sguattera e bella statuina, tra Marta stressata e Maria silenziosa, è questa l’alternativa proposta alle donne nel cristianesimo?» [pag. 87].
Tuttavia nella nuova visione offerta la questione diviene quella dell’assunzione di responsabilità e delle sue conseguenze, infatti Gesù afferma esplicitamente «Maria ha scelto» spostando l’attenzione sulla possibilità di scegliere come condurre la propria esistenza, non obbedendo a norme patriarcali e convenzioni. Opportunità di libertà non sempre concessa alle donne.
* Giuseppina D’Urso è volontaria de La Tenda di Gionata e del Gruppo Kairòs di Firenze, nonché collaboratrice di Pax Christi Italia