Gianni Baget Bozzo. Omosessuali si nasce. Condannarli perché?
Dialogo di Katya Parente* con il vaticanista Luigi Accattoli** pubblicato su Adista Segni Nuovi n°10 del 13 marzo 2021, pp.8-9
Don Gianni Baget Bozzo (1925-2009) attivo polemista e tenace oppositore dei “cattocomunisti“, ha condotto una vita sempre a metà tra la tonaca e la politica, cosa che gli è costata anche una temporanea sospensione a divinis, rivendicando sempre le sue idee: da prete obbediente e disobbediente del cardinale Giuseppe Siri, da teologo in prestito prima al quotidiano la Repubblica e poi al quotidiano il Giornale, sia come parlamentare europeo del gruppo socialista, sia da fondatore e consulente culturale di Forza Italia. Definito un «intellettuale eretico» è stato ampiamente presente nei luoghi del potere della prima e della seconda Repubblica, servendo Cristo e la Chiesa, proponendo la sua personalissima visione del mondo, spesso in maniera dirompente.
Uno dei temi su cui Gianni Baget Bozzo ha scritto pubblicamente, per oltre un trentennio, è stata la «difesa dei diritti degli omosessuali nella società e nella Chiesa». Per la prima volta, il vaticanista Luigi Accattoli ha raccolto sedici scritti di Baget Bozzo sul tema, già editi su riviste e giornali d’epoca, nel libro Per una teologia dell’omosessualità (Luni editrice, 2020, 144 pagine) in cui racconta l’evoluzione di don Baget Bozzo che affermò, già in un’intervista del luglio 2000, che «La Chiesa sbaglia: sugli omosessuali deve aprire gli occhi» perché «L’omosessualità non è una malattia, non è una colpa. E’ una condizione naturale, che comincia dalla nascita. Non c’è scelta. E se non c’è scelta non può esserci condanna».
Luigi Accattoli, nella presentazione del volume, ha definito questi contributi «un lascito in bottiglia». Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Gianni Baget Bozzo è stato, per usare un eufemismo, una persona molto eclettica. Come convivono in lui la dimensione politica e quella pastorale?
Convivono tumultuosamente, con momenti di compresenza paritaria e con vari scavalcamenti. Semplificando e schematizzando per decenni: nell’adolescenza e primissima giovinezza è predominante la vocazione religiosa (anni ’40), poi prevale quella politica (anni ’50), nella stagione del Concilio e del primo dopo-concilio torna dominante l’elemento religioso (anni ’60 e prima metà dei ’70), dall’avvio della collaborazione a Repubblica (1976) alla fine dei due mandati di parlamentare europeo (1994) ridomina il politico, nell’ultima fase – quella berlusconiana –, che dura fino alla morte (dal 1994 al 2009), le due anime convivono, ma sempre in terremoto.
Anche nella tematica omosessuale ci sono le due ispirazioni: si batte perché vengano rispettati i diritti degli omosessuali nelle leggi e nella società, ma anche sempre cerca la via per aiutare la Chiesa a rivedere il suo storico ostracismo.
In una presentazione del volume lei ha definito i contributi di don Gianni in difesa dell’omosessualità “come un lascito in bottiglia”. Perché raccoglierlo e riproporlo proprio adesso, a poco più di dieci anni dalla sua morte? C’entra l’approccio di Francesco?
È stata la molla principale. La predicazione di Francesco in materia omosessuale è molto vicina alle affermazioni di Baget Bozzo, e dunque – in un certo senso – le rifà attuali. Il non giudizio verso l’omosessuale in quanto tale, l’assicurazione che Dio ama l’omosessuale così com’è, il passaggio dall’applicazione di una condanna universale a un accompagnamento rispettoso, incentrato sul discernimento delle singole situazioni: sono questi i punti di contatto più evidenti.
Ma il mio lavoro è stato guidato anche dall’intenzione di una riparazione storica: l’elaborazione di Baget Bozzo su questo fronte mi è sempre apparsa preziosa, e sempre mi ha sorpreso il fatto che non venisse considerata. Riproponendola nella sua interezza, mi sono proposto anche l’obiettivo di risarcirlo di quella disattenzione.
Perché, secondo lei, Baget Bozzo su questo tema non trovò l’ascolto che avrebbe meritato?
Per i suoi troppi passaggi da uno schieramento all’altro. Essendo stato nei decenni dossettiano e tambroniano, collaboratore del cardinale Siri ed editorialista di Repubblica (per vent’anni: dal 1976 al 1995), parlamentare europeo socialista e consulente di Berlusconi, ha finito per svolgere – di fatto – sulla scena pubblica il ruolo di un provocatore intelligente sui temi d’attualità, ma di autore poco credibile sulle questioni alte.
Questo marchio di scarsa credibilità dovette poi risultare ancora più marcato sul tema dell’omosessualità, essendosi egli esposto su di esso con particolare impegno in occasione del Gay Pride dell’anno Duemila, in un momento in cui appariva come un berlusconiano di ferro: a sinistra non lo consideravano a motivo di questo apparentamento politico, a destra quella sua battaglia a difesa degli omosessuali non era condivisa.
Ma la mia convinzione è che oggi, a distanza di decenni, questa sottovalutazione trasversale può essere superata e possiamo distinguere – tra le sue posizioni – ciò che è caduco ed è già caduto, cioè gli interventi nella battaglia politica quotidiana, da ciò che merita d’essere considerato.
Con quale criterio ha scelto gli scritti che costituiscono i capitoli del libro?
Essendo io impegnato nel lavoro di vaticanista, avevo conservato negli anni molti suoi articoli e piccoli saggi che erano usciti nell’arco di tempo di questa mia attività, e che spesso erano in polemica con i documenti vaticani. Poi, nel decennale della morte, dovendo io tenere delle relazioni a due convegni commemorativi, ho condotto ricerche approfondite su questo aspetto, da tutti trascurato, della sua sterminata produzione.
Sono stato aiutato nella ricerca dal “Centro studi don Gianni Baget Bozzo” di Genova, ed ho così raccolto una trentina di testi, tra i quali ne ho scelti sedici che mi sono apparsi ancora validi, cioè utili a leggersi. Sono i sedici che costituiscono il volume.
Come si è evoluto dal 1976 al 2008 (date del primo e dell’ultimo contributo di don Gianni presenti nel libro) il pensiero di Baget Bozzo sull’omosessualità?
Lo fece dapprima costruttivamente, affermando la necessità che venisse sviluppata una “teologia dell’omosessualità” (1976), invitando ad affrontare la “nuova problematica” che si pone alla Chiesa con il riconoscimento dell’esistenza di omosessuali che lo sono per nascita e non per scelta (1978), provando a rispondere all’omosessuale che chiede se debba considerare se stesso “uno sbaglio di Dio” (1978), incoraggiando gli omosessuali a “porsi come credenti a pieno status” (1984).
In seguito condusse la sua difesa anche polemicamente, arrivando ad accusare il cardinale Joseph Ratzinger, il futuro Papa Benedetto, di volere una “legislazione repressiva della pratica omosessuale” (1986). Difese infine gli omosessuali cercando di mediare tra le loro rivendicazioni e l’opinione pubblica moderata: argomentando che la Chiesa può riconoscere il valore di un “rapporto omosessuale casto” (7 giugno 2000), incoraggiando ad ammettere che “l’omosessualità possa essere un fatto cristiano” (10 giugno 2000), indicando alla Chiesa l’urgenza di “imboccare una strada nuova, anche perché il diritto civile all’identità sessuale esiste e non si può negare” (4 luglio 2000).
Qual è l’eredità che Baget Bozzo lascia alla Chiesa – soprattutto a quella italiana?
Un’eredità di linguaggio, più che di teologia o di rinnovamento pastorale. Egli era un maestro, si direbbe un artista, della parola di frontiera. Aveva il dono di dare parole a sentimenti e convinzioni che ancora non avevano una legittimazione comunitaria.
Alcune delle espressioni da lui proposte creativamente – teologia dell’omosessualità, credenti a pieno status, omosessualità come fatto cristiano – hanno una forte carica innovativa. Aiutano a pensare l’inedito. Che è certamente una delle necessità con cui la comunità cattolica si trova a fare i conti di fronte all’omosessualità. Una volta don Gianni ammonì la Curia che “se la Chiesa non va verso l’omosessualità, questa può andare verso la Chiesa” (1990). Un’altra volta la scongiurò di abbandonare l’atavica veduta dell’omosessualità come “un fatto etnico”, ricordando che nella Chiesa non vi è “né uomo né donna” (2005). La novità di queste parole l’avverti al solo ascolto.
Un pensiero quanto mai attuale quello di don Baget Bozzo, che merita attenzione e che può portare spunti fecondi in un discorso che si fa sempre più stringente: la dignità delle persone omosessuali nell’ambito ecclesiale. Uomini e donne che si sentono stretti negli abiti che il magistero ha cucito loro addosso, e che vorrebbero non essere costretti a scegliere tra la fedeltà cieca e pedissequa ad una Chiesa che amano, e la natura di cui Dio ha fatto loro dono.
* Katya Parente è scrittrice e disabile, collabora col “Progetto Gionata su Fede e omosessualità” di cui anima il blog “La versione di Katya”, luogo d’incontro tra opinioni e temi spesso discordanti.
** Luigi Accattoli è giornalista, saggista già vaticanista del Corriere della Sera.