Ti senti in colpa perchè sei gay o lesbica?
Il modo in cui ciascuno di noi si relaziona agli altri è influenzato dai condizionamenti familiari, sociali, morali che subisce nel corso della propria vita, oltre che dalle proprie paure e dai propri modelli di riferimento.
Ad esempio, nella società in cui viviamo sono fortissimi i condizionamenti di tipo sessista: alla nascita le bambine riceveranno un bel fiocco rosa e ci si aspetterà che, una volta divenute adulte, si dedichino alla famiglia, si occupino della casa, preparino i dolci, siano sottomesse, subordinate, vulnerabili; i maschi, invece, avranno un fiocco blu e, da adulti, manterranno la famiglia con il loro lavoro, saranno forti, attivi, decisionisti.
La società predispone per noi un destino dettato da convenzioni o credenze diffuse, come se tutti gli esseri umani fossero uguali e possedessero certe caratteristiche innate. Sappiamo bene che sin dall’infanzia i condizionamenti familiari, sociali, morali c’insegnano che l’omosessualità è qualcosa di sbagliato.
Chi sin da bambino comincia ad avvertire la propria diversità, e ne troverà conferma nell’adolescenza quando i primi impulsi sessuali e i primi amori lo condurranno laddove “non si dovrebbe”, svilupperà un senso di vergogna dovuto alla constatazione della discrepanza tra ciò che effettivamente sì e ciò che si dovrebbe essere. Ciò che si dovrebbe essere in base ai dettati di un’autorità superiore (la famiglia, la società, la morale), appresi ed accettati senza nessuno spirito critico, come gli altri condizionamenti (ad esempio: “bellezza = magrezza = promessa di felicità”).
II meccanismo in base al quale si sviluppa la vergogna è tanto semplice da spiegare a parole, quanto difficile da fronteggiare quando ci si trova coinvolti. Fa parte di questa logica anche l’assunto per cui “diverso” è uguale a “pericoloso”: una sorta di logica di autoconservazione dello status quo che priva di un legittimo riconoscimento e anzi bandisce chi, essendo diverso, fuoriesce da quegli schemi prefissati e dalle attese conseguenti.
Le stesse attese per cui una madre e un padre si aspettano dalla propria figlia che a un certo punto della sua vita conosca un uomo, si sposi con lui e dia alla luce tanti nipotini.
Per un omosessuale, dunque, sarà abbastanza facile che si formi una convinzione profonda (core belief) del tipo: “sono diverso = sono inadeguato“. Un gay o una lesbica che fin dall’infanzia ha sentito intorno a sé pregiudizi e atteggiamenti negativi nei confronti dell’omosessualità è naturalmente portato a interiorizzare parte di tutto ciò, finendo per sentirsi “sbagliato” in quanto omosessuale. Ciò è tanto più vero in quanto i gay e le lesbiche crescono generalmente senza modelli positivi di riferimento e nella maggior parte dei casi senza poter trovare nella famiglia d’origine un adeguato supporto.
Non si è omosessuali perché figli di omosessuali o perché appartenenti ad un gruppo etnico, come invece accade negli altri tipi di discriminazione. L’omosessuale viene discriminato senza poter ottenere il conforto della sua famiglia, che nella maggioranza dei casi non fornisce il sostegno necessario per affrontare con serenità i pesanti condizionamenti cui è sottoposto, né d’altra parte esistono strutture sociali esterne alla famiglia che possono supplire a tale carenza.
Alla base del pregiudizio antiomosessuale vi sono molteplici fattori, tra i quali la mancanza di contatti con la realtà gay e lesbica, la conformità alle norme sociali dominanti, la presenza di sistemi di credenze basati su valori conflittuali (si pensi alla dottrina della Chiesa cattolica), il rifiuto delle differenze esistenti all’interno della società al fine di rafforzare e giustificare il proprio punto di vista.
L’omofobia tuttavia non è solo un problema confinato entro il pregiudizio individuale, ma si riflette sulle strutture portanti della nostra società (la famiglia, la scuola, gli ambienti di lavoro, i mezzi di comunicazione, ecc.).
Si tratta cioè di una discriminazione istituzionalizzata; le conseguenze principali di questo fenomeno sono la limitazione dei diritti civili degli omosessuali, la ghettizzazione di gay e lesbiche in spazi e luoghi a loro riservati, la negazione di una cultura omosessuale, l’esistenza di una legislazione sfavorevole verso gli omosessuali quando non persecutoria ( in molti Stati gli atti omosessuali continuano a essere condannati con il carcere o con punizioni corporali).
Il pregiudizio e la discriminazione antiomosessuale sono talmente pervasivi e potenti che gli stessi omosessuali arrivano spesso a sviluppare sentimenti negativi nei confronti del proprio orientamento sessuale, convincendosi che l’omosessualità sia sbagliata, da nascondere, da negare e formando un’immagine di se stessi caratterizzata da una bassa autostima, passiamo parlare così di omofobia interiorizzata.
Chi è affetto da omofobia interiorizzata ha difficoltà ad accettare serenamente il suo orientamento sessuale, fino alla completa negazione di tale orientamento. Nella vita di tutti i giorni tende a giudicarsi negativamente e spesso guarda con disapprovazione i tentativi del movimento gay di ottenere maggiori diritti per le persone omosessuali.
È preoccupato che gli altri scoprano la sua omosessualità, a volte finge di essere eterosessuale e spesso non riesce a sviluppare una sana relazione di coppia. Vorrebbe diventare eterosessuale e potrebbe aver fatto dei tentativi psicoterapeutici in proposito. Col tempo può sviluppare ansia, depressione, problemi con l’alcol e con il cibo, ansia sociale e disturbi sessuali.
L’orgoglio esasperato, di rottura, è l’altra faccia della medaglia: l’omosessualità, o si nasconde o si strilla. In altre parole, è un comportamento disfunzionale al pari dell’evitamento, un escamotage di risposta alla sofferenza di essere diverso. Come si può spezzare il circolo vizioso?
Come abbiamo spiegato in precedenza, i numerosi condizionamenti familiari, sociali e morali possono spesso inibire un’espressione diretta della nostra personalità. La passività o l’aggressività sono conseguenze di alcune idee, convinzioni o credenze che si sono consolidate a partire dalla nostra infanzia. Impareremo a snidarle per poi correggerle. Impareremo a “decondizionarci” dai condizionamenti di una “buona educazione” e a “ricondizionarci” verso pensieri e comportamenti più funzionali al raggiungimento dei nostri obiettivi, e quindi a sostenere i nostri legittimi diritti.
Esiste la possibilità concreta di apprendere, a qualsiasi età, nuovi modi di pensare e di conseguenza nuovi comportamenti. Il nostro cambiamento inizierà quando decideremo di smettere di accusare gli altri, la vita, i genitori, il destino avverso e, senza più accampare scuse, ci prenderemo la responsabilità di avere il potere per cambiare.
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Bibliografia
-“Towanda! Psicologia”, n°7 settembre/novembre, 2002
– “Omofobia – il pregiudizio, la discriminazione istituzionalizzata, l’omofobia interiorizzata”. Atti della due giorni organizzata dal gruppo “La scala di Giacobbe”, 20-21 novembre 2004