Tornando a casa. Dopo aver saputo che colui che amavo era gay
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Il resto del viaggio fu un tentativo di gentilezza reciproca. Non ricordo bene di cosa parlammo. Forse concordammo che non era il caso di andare al mare, come avevamo pensato il giorno prima. Era troppo lunga la strada, e io avevo fretta, una immensa fretta di tornare a casa, di essere a casa. A casa mia. Con i miei figli. Guardarli negli occhi per ritrovare nei loro sguardi un po’ di normalità. Era tutto così folle quello che era accaduto! Come poteva essere? Come potevo essermi sbagliata così tanto?
Paolo continuava a parlare. Forse abbiamo discusso se uno può essere attratto sia da persone dello stesso sesso che da persone del sesso opposto. Forse. O forse io cercavo la speranza che lui non fosse omosessuale del tutto, che un po’ di possibilità di farcela io ce l’avessi ancora. Perché Paolo intanto mi sciorinava dati e ricerche, sul fatto che la polarità uomo-donna non è al 100%, e che tutti noi ci poniamo in un punto del continuum della polarità. Allora gli chiesi, esplicitamente: “Ma tu?” Velocemente mi disse che no, lui era sicuro al 100% di sentirsi totalmente attratto dagli uomini. “Omosessuale” no: non gli piaceva quella parola, quella etichetta …
Ero stanchissima. Continuò a guidare lui, fino a casa mia.
Arrivammo a casa mia a sera, in una dolce sera d’estate. Antonio ci stava aspettando, perché loro due sarebbero usciti ad un incontro pubblico nei dintorni, che era di loro interesse. Mi invitarono. Io dissi di no, che ero stanca. Ma se volevano per cena potevano tornare da me. Accettarono.
Mio figlio Alberto ci aveva preparato la cena. Lui sapeva che per me la giornata era importante, e forse intuiva anche quanto importante poteva essere. Credo mi avesse letto la tristezza negli occhi, e allora mi forzai di essere gentilmente serena, per lui, per i miei figli, per tutta la fatica che avevo davanti a me, e dietro a me, e ancora, ancora, ancora da sola, a stringere i denti …
I vetri acuminati del sogno infranto facevano sentire fortemente le ferite. Il dolore, prima acutissimo, mi prese poi con lentezza, mentre un po’ alla volta calavo i piedi a terra. E non mi lasciava. Sapevo che non mi avrebbe lasciato per tanto tempo. Conosco il dolore, so che fa così, ed è inutile combatterlo: solo se ne ritarda la presa di coscienza, se ne ritarda il lavoro che il dolore deve fare, scavando nella nostra vita, approfondendola, limandola, per renderla in qualche modo migliore.
In attesa che Paolo e Antonio ritornassero per cena, presi il mio amico computer ed iniziai a scrivere di quanto era successo. Scrivere, per me, è da sempre stato il mio modo di prendermi cura di me, per riflettere, per provare anche ad andare oltre.
Il mio computer di allora conserva ancora la memoria precisa di ciò che scrissi, di come iniziai a rendere comprensibile anche a me quanto mi era accaduto:
“Giusto per continuare il discorso…
ti piace conoscere i miei sentimenti? le mie emozioni?
a me piace raccontartele, come un viaggio dentro i sentimenti, con profonda condivisione.
Come mi piace le volte che tu ti senti di farlo con me.
Certo, sento come se fosse passato un uragano, nella mia vita, oggi.
Quanti anni sono passati da quando ti ho visto uscire stamattina dalla stazione del treno?
C’è un prima, e c’è un dopo.
Amerò ed odierò la campagna ferrarese, mentre tu parlavi, parlavamo, parlavo… e anche ci ascoltavamo. Sento che mi viene chiesto di purificare l’Amore, di prenderlo per quello che davvero è: amare gratuitamente.
Perchè, nel senso che intendi tu, tra noi c’è Amore davvero. Lo riconosco. Finalmente sei mio fratello, mio amico, mio profondo amico. Sono contenta di sapere come stanno le cose.
Adesso sei all’incontro, con Antonio, sarei venuta anche io, ma dopo tre giorni di assenza, mi pare giusto stare con i ragazzi. Ti ammiro, perchè sono convinta che non è stato facile parlarne. E sono sicura che lo hai fatto solo perchè hai sentito che ero in grado di tollerarlo. Come di fatto è vero.
Io sono sicura che abbiamo ancora molte cose da dirci… sempre sull’onda di questo leggerci dentro e trovare parole per comunicarlo, o per pensare meglio a tutto questo.
E poi la sfida immensa, per i nostri giorni, e per la nostra cultura: far vivere questa amicizia per quello che è, sottraendola, o proteggendola dalle spinte “normative” della nostra cultura. No, Paolo carissimo, io non ho finito di “Parlare” con te. E sono immensamente felice di poterlo finalmente fare in verità e libertà.
Come ti ho detto, se ho cercato di “scoprire” delle cose era solo perchè avevo bisogno, per me, per la mia vita, per le mie prospettive, di sapere, di capire…. adesso so. E tanto mi basta. Tu mi hai insegnato a rispettare il limite del condividere. E io lo farò.
E’ bello sapere che finalmente non serve più giocare a nascondino. Ma non sarò invadente. Davvero. E sai che sono capace del massimo rispetto, adesso ancora di più. Grazie per la fiducia che mi hai riconosciuto. Ti voglio bene”.
Cenammo assieme, Paolo, Antonio, io e i ragazzi. Fu una cena veloce. Poi loro se ne andarono, e a me rimase di raccattare i pezzi della giornata, per poterla chiudere finalmente.
Andai a dormire, ma non dormii. Fu una notte terribile. Lasciai che le ore del buio scorressero lente. Ogni tanto riaprivo il computer e scrivevo … scrivevo … e come sempre inviai a Paolo tutto quello che avevo scritto, ora dopo ora. Aprendo la posta gli si sarebbe rovesciata sul suo computer una marea di mail mie, scritte una dopo l’altra, e inviate inesorabilmente, e senza speranza. Ma almeno leggere doveva!
Piano piano mi salì anche la rabbia. Il dolore e la rabbia. Perché Paolo aveva aspettato così tanto per dirmi? E il dolore che stavo provando era davvero così inutile? Bisognava trovarvi un senso, perché il dolore senza senso è insopportabile.
Il vecchio computer mi restituisce intatte le scritte di quella notte:
“credo di aver bisogno di tempo, per digerire tutto questo. Ci sono due immagini alle quali mi aggrappo per non perdere contatto con la realtà: la tua voce commossa sabato scorso, quando io stavo andando via, ed era appena arrivato il tuo Fabio, dopo che ci hai presentati… L’altra immagine: tu che sorridendo mi parli di quello che provi per lui, e capisco, sento… che è vero. I tuoi occhi sorridevano, bellissimi, alla luce del solo ricordo.
Tutto ciò spiega un sacco di cose, senza che in questa spiegazione entri nulla di me. Sono contenta di non dovermi fare più domande… mi dispiace di non avere più attese di te… Era bello, essere innamorata di te. E’ stato bello.
Grazie per avermelo lasciato vivere quando mi era utile. Grazie per avermelo detto, adesso che mi è utile sapere. Capisco adesso i tuoi tempi lenti…. non si va così lenti sulle ali dell’amore. Per quanto ci si possa riconoscere nell’essere bradipi. Capisco meno il senso dei segnali che io ho interpretato come segnali tuoi per me… Forse erano solo atti consolatori del mio dolore…. le rose, i fiori, il tempo…. Ci sono ancora cose da dire.. credo
Anche perché non si può schematizzare tutto così semplicemente… ma sono cose che puoi dire solo tu. Se vuoi. Mi riferisco a quello che abbiamo chiamato “refusi”… quasi delle righe di collegamento fra la tua storia, raccontata da te, e la mia storia, raccontata da me.
Nella tua colonna, io centro poco… era una colonna che non conoscevo, che non avevo letto. Come dei buchi neri, in astrofisica, li si immagina, ma non si vedono… così, la tua colonna l’avevo messa in preventivo, ma non potevo dire che cosa ci fosse davvero …
Sai cosa mi dispiace?
Che potrebbe accadere davvero che ci perdiamo di vista … oppure forse sarebbe giusto che accadesse.
E come i vecchi amici, salutarci quando ci incontriamo … dicendoci “cosa fai ora?”, o “come va?”… Scoprendo che non abbiamo quasi più nulla da dirci, se non qualche ricordo … Ecco, amico mio. Tu riesci a trovare ancora uno scopo in questa amicizia?
Sono le quattro del mattino. Non è facile ristrutturare questi ultimi quattro anni di vita.
Anche dopo quella sera al parcheggio, ai primi di febbraio di tre anni fa, non sono riuscita a dormire.
Mi viene voglia di ripartire da lì, per ristrutturare. Solo adesso la tua reazione di allora mi appare molto più chiara. Solo adesso la capisco.
Devo averti fatto passare cinque minuti spaventosi, nel parcheggio, con la domanda che ti sarai fatto: “come ne esco?” Io che ti chiedevo un bacio, e tu che non eri pronto a dirmi, e io che non ero pronta a sapere.
Erano spade vere, quelle che ti uscivano dagli occhi, mentre scivolavi via dal mio abbraccio e dalla mia richiesta. Io le ho viste, e non le ho più dimenticate.
Come lo sguardo spaurito di un cerbiatto, un momento prima che il cacciatore lo uccida. Io ti ho lasciato stare, intuendo che dietro quello sguardo spaventato ci fosse un mondo da capire.
Potrei non dirti più nulla, e vivere questo prosieguo di storia in un silenzio dignitoso, leccandomi da sola le ferite.
Io non so, solo tu lo sai, e te lo chiedo con sincerità: se te ne parlo, ti può essere utile? può servirti a qualcosa? anche solo a capire, ad approfondire che cosa accada nella realtà “dell’altra”, in un momento così.
E, ancora più a monte, che senso ha la mia amicizia nella tua vita?Io so bene di essere una persona importante per te. Se no, non saremmo giunti a questo punto. L’altra certezza che ho è che mi vuoi davvero bene, come anche io te ne voglio. Ed ho il fondato sospetto che sia di quella genere di Amore che ci viene dall’Alto. Allora è cosa prezioso, che va conservato, alimentato, e, se possibile, distribuito.
Io non ho molta preoccupazione per me. Ho imparato ad affidarmi. Se sta nei Disegni, accadrà qualcosa di bello anche per me. Se non sta nei Disegni, è meglio che non accada, perché non potrebbe essere una cosa bella.
Così, adesso, la preoccupazione non è più mia, ma di Colui che ricama i disegni. Io ho “solo” il compito di lasciarlo ricamare, e, nel frattempo, di accettare le cose per quello che sono.
Ripercorrendo il primo periodo della nostra amicizia, ti riconosco che hai tentato, onestamente, anche se con poco coraggio, di farmi capire come stavano le cose. Poi non lo hai più fatto. Più io mi innamoravo di te, e meno tu tentavi di parlarne. Al punto che poi ho pensato che avevo io capito male, quelle cose che invece, oggi lo so, avevo capito e anche molto bene.
Poi io sono andata avanti nella bufera matrimoniale, e non avrei avuto posto per nulla di tutto ciò. Così il discorso è morto lì.
Poi, ti ricordi? le dispense di Adista che mi hai dato quella volta … parlavano di un frate o di un giovane sacerdote che si era innamorato di un altro … l’articolo poi riportava tutto al grande discorso dell’Amore in generale, e del senso dell’incarnarlo, del viverlo, piuttosto che del solo parlarne … se non le hai più, ne ho io una copia ancora. Anche quella me l’avevi data, immagino, con uno scopo preciso, che io, allora, non avevo colto, o non volevo cogliere …
Ti sto pensando con infinita tenerezza, e della fatica che devi aver fatto a starmi al fianco. Mi consolo pensando che avrò pur dato anche io qualcosa a te, in tutto questo! ti sarà stato anche un poco di riposo, di crescita, di approfondimento, questa storia di amicizia, fra te e me!
Se tu fossi qui, ti coccolerei come faccio con un figlio. Dando consolazione alle mie mani rimaste sempre vuote di te, e nel contempo rispetterei all’inverosimile la tua sensibilità. Esiste un erotismo che non tenga conto del “genere” e dell'”orientamento di genere”? Ecco … farei quello. 😉
Quello dove è presente solo la voglia di trasmettere tenerezza ed accoglienza, e di riceverne altrettanta, senza alcun impegno relazionale, e senza implicazioni erotiche che esitino nel culmine che, normalmente, cercano di raggiungere, e che è naturale e bello che raggiungano. Sono in pace con te, amico mio.
e nello stesso tempo capisco che non potevi capirmi, in certi miei passaggi del passato, non potevi capirmi.
potevi solo scappare. Perché erano temi che richiedevano la sincerità di oggi. Ma non era ancora ora, probabilmente.
Tante volte ho pensato che mi ero innamorata di te anche perché di te non avevo paura. E qui ci sta un passaggio chiave di me e della mia storia. Tu mi rassicuravi, che non saresti mai stato violento con me. Io, di prepotenze e di violenze non ne potevo più.
Se il maschile doveva essere solo violento, allora non ci stavo. Mentre con te mi pareva di passeggiare sul velluto, con la tua tenerezza, la tua attenzione, la tua dolcezza. Eri il maschio grazie al quale mi potevo riconciliare con il mondo maschile.
Solo che era esasperante il tuo rispetto di me … ma insomma! Cosa ti costava farci una rotolata in qualche posto, e consumare con la delicatezza che ti caratterizzava, consumare questo amore che, dal mio punto di vista, non aspettava altro?
In questo senso sono ancora arrabbiata con il mondo maschile, che o è violento, o è interessato solo a se stesso. In questo senso, adesso ti picchierei, ti riempirei di botte, di calci, di pugni, ti urlerei tutta la rabbia che provo, per una situazione dalla quale non c’è, davvero non c’è via d’uscita.
Mi hai condotto in un “cul de sac”, come dicono in Francia… o, meglio, mi hai lasciato scivolare in un cul de sac. Emotivamente sono molto arrabbiata con te, che mi dimostri ancora una volta che dei maschi non ci si può fidare.
Chissà mai se mi rappacificherò! Forse hai aspettato troppo per dirmi come stavano le cose. Ma è una attesa lunga che dice di te, e della paura di affrontare questo tema con me. Non so, Paolo, ma sono sicura di essere in attesa di un tuo riscontro a tutto questo, e al resto.
Non ho voglia di parlarmi addosso. Adesso non ha più alcun senso. E sono altrettanto sicura che se ti ho scritto tutto questo, è perché il dialogo tra noi c’è, è ben aperto, e disponibile a contenere anche l’indicibile.”
Fu lunga la notte. Ma fu una notte di semina. Deposi sui fogli del computer tutti i dubbi e il dolore che mi stavano invadendo. E glieli spedii. Leggerli era il minimo che mi doveva. Per parlarne di persona gli diedi appuntamento qualche giorno dopo, in un luogo dove ci eravamo incontrati tante volte, per pranzo, e poi per qualche ora di chiacchiere serene.
Lo invitai ad un’ora precisa, d’accordo che poi ne avremmo parlato, in luogo appartato, per maggiore tranquillità.
Arrivò puntuale. Anzi, qualche minuto prima. Fu una delle poche volte nella storia della nostra amicizia che arrivò così puntuale.
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* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.