Tra difficoltà e isolamento, quale futuro per i gruppi di credenti omosessuali?
Email inviataci da Gianni Geraci del gruppo Guado di Milano
Caro Menico*, sono Gianni Geraci, attualmente sono presidente del Guado di Milano, il gruppo ci omosessuali credenti che ha alle spalle la storia più lunga. In passato ho anche avuto un incarico che mi ha portato a conoscere numerosi gruppi in tutta Italia: dai Fratelli dell’Elphis di Catania la cui ospitalità mi scalda ancora il cuore, al piccolo Senfkorn di Bolzano in cui ho trovato persone capaci di entusiasmarmi.Purtroppo, forse per colpa mia, forse perché le cose vanno davvero così, i contatti con le tante persone che ho conosciuto in questi gruppi, non hanno portato a iniziative comuni che sono durate nel tempo, ma la rete di relazioni che ne è nata resta, a mio parere, una risorsa importante.
Ti rispondo perché al tema della “qualità del nostro stare insieme” ho dedicato molte riflessioni: pensa che due anni fa sono arrivato ad affermare che il gruppo di cui sono presidente non lo si può più considerare un gruppo, perché è venuta meno la capacità di coinvolgere le persone che lo frequentano in un progetto comune.
Le reazioni sono state quasi tutte negative, ma davvero sono ancora convinto che un gruppo é tale solo se non delega a pochi cirenei il compito di portare avanti le sue iniziative. Forse la colpa non è di chi frequenta il Gruppo o dei pochi cirenei che non sanno coinvolgere le persone (al Guado credo che le cose stiano davvero un po’ così), ma il risultato non cambia: il gruppo, quando non lavora insieme, non c’è. Prima di affrontare la questione che sollevi vorrei però fare una precisazione: non credo che si possa parlare genericamente di “gruppi di omosessuali credenti”.
Io che ne ho conosciuti davvero tanti posso dirti che ci sono troppe differenze per fare d’ogni erba un fascio: ci sono gruppi che privilegiano l’accoglienza e la costruzione di una rete di rapporti di amicizia che rompa il cerchio di solitudine in cui vivono molti omosessuali credenti; ci sono gruppi che invece lavorano su un progetto ‘forte’ di sensibilizzazione della realtà ecclesiale, ci sono esperienze associative che assomigliano a circoli culturali, altri che invece sono più simili a gruppi di preghiera, ci sono gruppi che ruotano intorno all’impegno (e alle decisioni) di una o più persone e altri, invece, in cui c’è una maggiore partecipazione, ci sono infine gruppi molto informali, in cui le cose si fanno senza troppi cavilli, e ci sono gruppi che hanno regole formali molto precise da rispettare.
Io stesso, quando parlo con qualcuno che inizia a frequentare il Guado, suggerisco alle persone che non si trovano a loro agio con noi, di andare alla Fonte prima di decidere che i gruppi di omosessuali credenti non sono fatti per loro. E posso dirti che sono più d’una delle persone che, dopo aver fatto un’esperienza negativa in un gruppo, si sono trovate benissimo in un altro gruppo, magari più in sintonia con il loro modo di vivere il rapporto tra fede e omosessualità.
Trattare tutti i gruppi allo stesso modo è, a mio avviso, un errore metodologico grave che non può essere fatto. Ecco perché ti inviterei, innanzi tutto, a precisare le tue accuse, a fare nomi e cognomi, superando per primo quell’ipocrisia che hai sperimentato nel gruppo che hai frequentato e che, senza rendertene conto, alimenti tu stesso con il tuo atteggiamento a metà strada tra il dire e il non dire tutto.
C’è poi una seconda premessa legata al fatto che la qualità del tipo di esperienza che si vive in un gruppo è, in gran parte, il risultato del tipo di presenza che ciascuno dei membri del gruppo offre.
Per spiegarmi meglio faccio un esempio: se in un gruppo le persone sono interessate più al soddisfacimento (legittimo) del loro desiderio di amicizia e di relazione e sono meno attente all’obiettivo più generale di offrire accoglienza a chi è solo, succede che inevitabilmente, con il tempo, man mano che il gruppo cresce e le persone trovano una collocazione che le mette a loro agio, la capacità del gruppo di offrire accoglienza, diminuisce fino a sparire del tutto.
Al Guado, dove per tanti anni la preghiera comune ha avuto un ruolo centrale (le messe di don Goffredo Crema erano i momenti più partecipati della vita del gruppo), da un certo punto in poi ha iniziato a coinvolgere un numero sempre minore di persone.
Le cause sono senz’altro state più d’una, ma l’assenza di un sacerdote che partecipasse regolarmente alla vita del gruppo é stata quella di maggior peso.
Ecco perché, di fronte alle osservazioni che fai in merito alla scarsa qualità del nostro stare insieme ti inviterei a rivedere la tua scelta di non partecipare più a nessun gruppo: chi se ne va ha sempre torto; chi invece cerca e trova gli spazi per creare dei momenti di accoglienza che si distinguono, per qualità e per autenticità, da quelli che già vengono offerti, ha senz’altro realizzato (almeno parzialmente) la sua vocazione di persona omosessuale che, in quanto credente é chiamata a vivere la Fede al servizio dei suoi fratelli omosessuali.
Fatte queste premesse debbo però confessarti, caro Menico, che, al di là delle esperienze dei singoli gruppi, i trent’anni di storia che ha alle spalle il movimento degli omosessuali cristiani in Italia, si concludono con un bilancio che non è certo esaltante: i gruppi sono ancora troppo pochi e, soprattutto, sono distribuiti molto male nelle varie città; non siamo riusciti a trovare gli strumenti che ci permettessero di parlare autorevolmente con un’unica voce; troppo spesso abbiamo preferito polemizzare tra noi su quello che ci divide, invece di cercare i motivi che dovrebbero spingerci a lavorare insieme; non siamo riusciti, in trent’anni di attività, a elaborare
una “teologia queer” simile a quella che è invece stata elaborata in altri paesi dei mondo; i vertici della chiesa italiana continuano a ignorarci e non siamo riusciti in nessun modo a creare un clima di dialogo sul tema, attualmente al centro del dibattito politico, sui diritti delle persone omosessuali. E la lista dei fallimenti potrebbe continuare.
Di questi fallimenti mi sento in parte direttamente responsabile: più volte, chi mi conosce, mi ha sentito dire che sento come un peso il divario che c’è tra l’impegno a cui mi sento chiamato e le energie che riesco a mettere in questo impegno (complici anche la mia incostanza, la mia pigrizia, le mie difficoltà di comunicazione scritta).
Di questi fallimenti anche i gruppi di omosessuali credenti debbono sentire la responsabilità. Credo però che di questo stesso fallimento si debbano sentire responsabili tutti gli omosessuali credenti italiani.
Se infatti chi si proponeva di fare qualche cosa non l’ha fatto (o meglio, non l’ha fatto come avrebbe dovuto ed, eventualmente, potuto farlo), cosa facevano nel frattempo i tantissimi omosessuali credenti che non partecipano alla vita dei gruppi?
Di certo l’isolamento e la solitudine hanno bloccato molte energie, ma ora la presenza di strumenti nuovi, come il sito Gionata o la lista di discussione Amare con il cuore di Dio, possono realmente rompere questo isolamento.
Ecco perché mi aspetto davvero una fioritura di energie capaci di venir fuori (di fare il loro “coming out” mi verrebbe da dire) e di giocare in prima persona la partita di dare finalmente dignità all’esperienza delle persone omosessuali che, nonostante tutto, continuano a sentirsi parte della chiesa. Un abbraccio forte.
Gianni Geraci
.
* L’email inviataci da Menico nelle scorse settimane esprimeva alcune perplessità sull’esperienza dei gruppi di credenti omosessuali ed invitava ad una riflessione “riguardante le finalità dei vari gruppi di gay-credenti presenti in Italia e sulle aspettative di quanti si iscrivono” ha sollevato numerose reazioni.
Pubblichiamo volentieri la mail inviataci da Gianni Geraci del gruppo Guado – credenti omosessuali di Milano, che offre una sua personale riflessione sul cammino passato e futuro dei credenti omosessuali.