Tra paura e accoglienza. Quando il Coming out arriva alle medie
Articolo di Benoit Denizet-Lewis tratto dal settimanale Internazionale* del 15 gennaio 2010
L’incertezza sessuale, la confusione e la voglia di sperimentare tipiche dell’adolescenza possono disorientare genitori ed educatori. È possibile che un ragazzo di scuola media che sostiene di essere gay stia solo scoprendo la sua sessualità?
Potrà cambiare idea dopo qualche tempo, come succede ai tredicenni che scelgono per un periodo un’identità sociale – dark, emo, punk, metallari – per poi abbandonarla e passare ad altro?
E se la sessualità è così fluida, è proprio necessario definirsi una volta per tutte gay o lesbica? Molti genitori mi hanno confessato di aver riflettuto molto su quest’ultimo punto.
Nadia, la madre di Austin, mi racconta di non aver accettato facilmente il coming out del figlio. “Ho perso veramente la testa, e mio marito peggio di me”, confessa. “Non riuscivamo ad accettare l’idea che Austin sapesse chi era già a 13 anni, e che volesse dirlo agli altri”.
Un anno prima gli avevano chiesto se fosse gay dopo aver scoperto una sua telefonata a una chat line omosessuale. Lui aveva negato, ripromettendosi di nascondere meglio le tracce della sua vera identità.
Non è raro che i giovani gay vengano scoperti grazie a una telefonata sospetta o, più spesso, alle tracce lasciate da una ricerca su internet. “Molti ragazzi sono traditi anche dalle immagini porno sul computer”, spiega Tim Gillean.
Dopo queste disavventure, Austin ha ammesso di essere bisessuale, pur sapendo di mentire, perché sperava di attutire il colpo. Ma il suo piano gli si è rivoltato contro.
“Mia madre ha reagito male: ‘Cosa vuol dire che sei bisessuale? Che la mattina ti svegli e decidi cosa sarai quel giorno? Etero ieri, bisessuale oggi, gay domani?’”, ricorda Austin.
“I miei genitori hanno passato due mesi cercando di convincermi che non potevo ancora sapere con certezza chi fossi davvero. Ma io avevo capito di essere diverso già in seconda elementare. E non ho trovato le parole per dirlo sino a undici anni ”.
Mentre la madre di Austin aveva intuito che il figlio non era ancora sessualmente attivo, certi genitori appena sentono la parola “gay” o “bisessuale” immediatamente pensano al sesso. In realtà, alle medie spesso i ragazzi non hanno avuto ancora nessuna esperienza.
Alcuni (tra cui Justin, l’amico di Kera) non hanno mai nemmeno dato un bacio. Quelli che hanno avuto qualche tipo di contatto sessuale raccontano spesso che è successo con un amico etero.
La giornata del silenzio
Anche se molti genitori con cui ho parlato hanno avuto bisogno di un periodo di adattamento per accettare il coming out dei igli, alcuni non hanno avuto problemi e hanno subito offerto il loro appoggio incondizionato.
“Il cambiamento più grande che ho visto negli ultimi dieci anni non è tra i ragazzi gay, ma tra i loro genitori”, sostiene Dan Woog, un allenatore di calcio apertamente gay del liceo Staples a Westport, in Connecticut.
Nel 1993 Woog ha contribuito a fondare una Gsa nella sua scuola: “Molti genitori non pensano più che i loro figli avranno una vita triste e difficile solo perché sono gay”. Nella Giornata nazionale del silenzio dell’aprile scorso ho visitato la scuola media Daniel Webster di Los Angeles, una delle 21 della California con una Gaystraight alliance (Gsa, alleanza gay-etero).
La California è uno dei dodici stati che hanno adottato leggi per proteggere gli studenti dal bullismo e dalle molestie sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Arrivo alla scuola, che ha circa 850 studenti, per lo più ispanici o afroamericani, all’ora di pranzo.
Una cinquantina di ragazzi si dà da fare intorno a due grandi tavoli di legno in cortile. Molti indossano magliette rosa e alcuni sono impegnati a scrivere dei cartelloni: “Sei quello che sei: accettalo”, “Non zittire mai nessuno e non farti mai zittire da nessuno”.
Altri comunicano usando il linguaggio dei gesti o scambiandosi bigliettini. Ma la maggior parte di loro ha rinunciato a sforzarsi di rispettare il silenzio. “Ci provi lei a non far parlare i ragazzi delle medie”, mi dice con un sorriso Ruben Valerio, consigliere scolastico e consulente del Gsa.
Uno degli studenti più chiacchieroni è Johnny (un soprannome), un ragazzo alto e bello di seconda media. È uno dei leader della Gsa e non riesce a restare zitto per più di mezzo minuto.
“È davvero emozionante frequentare una scuola dove essere gay è normale”, mi dice mentre abbraccia un’amica, un’espansiva ragazza di seconda media che i compagni chiamano Lala e che qualche mese fa ha dichiarato di essere bisessuale.
Nella sua vecchia scuola, Johnny non si sentiva al sicuro e non aveva trovato appoggio quando aveva rivelato il suo orientamento sessuale alla madre. “Non faceva che andare avanti e indietro per casa ripetendo frasi tipo ‘Ti voglio bene. Ma non riesco a capire perché vuoi scegliere questo stile di vita alla tua età’, oppure ‘Quello che fai è disgustoso. Sei diventato una checca?’. Qui nessuno userebbe una parola del genere”.
Secondo Johnny, alla Daniel Webster ci sono circa 35 ragazze e dieci ragazzi che si sono dichiarati bisessuali, lesbiche o gay. Mi presenta alcuni di loro, tra cui due membri della Gsa: Tina, una ragazza di seconda media che si dichiara bisessuale e sta con un ragazzo di un’altra scuola, e un’altra giovane di terza media, molto popolare tra gli altri studenti.
Intorno ai tavoli ci sono decine di amici eterosessuali e alcuni professori. Un insegnante, Richard Mandl, mi chiede cosa penso della scuola. Gli rispondo che non ho mai visto tanti adolescenti gay felici.
“Mi sento un po’ disorientato. Mi sembra di vivere in un universo parallelo”, dice sorridendo. “Sì, quello che è successo qui è davvero fuori dal comune. Di certo non è sempre stato così”.
Quando Mandl ha cominciato a insegnare in questa scuola, nel 2002, non c’erano studenti dichiaratamente gay e il linguaggio omofobico era molto diffuso. “I ragazzi erano abituato a gridare ‘frocio’ proprio di fronte ai professori. A un certo punto abbiamo deciso che la situazione doveva cambiare”.
Tutto è diventato più semplice due anni fa, quando uno dei ragazzi più amati della scuola ha dichiarato di essere gay. Molti dei suoi amici hanno appoggiato la sua scelta. “Così alla Daniel Webster essere rispettosi e aperti ha cominciato a essere di moda”, racconta Mandl.
La preside, Kendra Wallace, afferma di aver accettato senza esitazioni la nascita di una Gsa: “In un primo momento alcuni insegnanti erano furibondi perché pensavano si trattasse di sesso o di promuovere un certo stile di vita”, racconta.
“Ma la Gsa non è questo: è un gruppo che promuove la sicurezza e dà voce ai ragazzi. La cosa più straordinaria è successa dopo la creazione del gruppo. Il bullismo è crollato. L’alleanza tra gay ed eterosessuali ha creato nell’istituto una cultura dell’antibullismo che ha influito su tutti gli studenti”.
Più tardi nella sala delle conferenze incontro alcuni membri della Gsa che parlano dei ragazzi e delle ragazze con cui escono. Chiedere a dei ragazzi di 13 o 14 anni se pensano di essere abbastanza grandi per uscire con qualcuno è un po’ come chiedergli se sono abbastanza grandi per stare svegli dopo le undici di sera.
Quindi non ci provo neppure. Sono più interessato a conoscere le reazioni dei genitori al fatto che i loro igli non solo sono gay, ma escono anche con qualcuno del loro stesso sesso.
Tina mi racconta che in fondo suo padre è felice di vederla uscire con altre ragazze. “La sua più grande paura è sempre stata che rimanessi incinta prima dei 18 anni”, dice, “perciò non è contrario al fatto che io frequenti le ragazze”.
Johnny, invece, dice che la madre gli ha vietato di portare a casa il suo ragazzo. “Lei mi accetta, ma non devo azzardarmi a portare a casa le persone con cui esco”, spiega. Quello della madre di Johnny è uno dei cinquanta “comportamenti di rifiuto” individuati da Caitlin Ryan, della San Francisco state university, che ha passato gli ultimi otto anni a studiare il rapporto tra genitori e igli gay e la salute mentale dei ragazzi alle soglie dell’età adulta.
Ryan ha riscontrato che gli adolescenti con “famiglie che li rifiutano” hanno probabilità significativamente più alte degli altri di tentare il suicidio, fare uso di droghe o avere rapporti sessuali non protetti. Ovviamente molti genitori di studenti delle medie non vogliono che i figli abbiano un ragazzo o una ragazza, a prescindere dai loro orientamenti sessuali.
Ma molti di loro ammettono anche che non sempre è facile stabilire le stesse regole per i figli etero e per quelli gay. Spesso ai ragazzi omosessuali si chiede di aspettare più a lungo.
Austin, quello del Michigan, è consapevole delle difficoltà che hanno avuto i suoi genitori. “Quando ho fatto coming out, mi hanno detto che non sarei potuto uscire con nessuno prima dei 18 anni”, racconta. “Poi si sono resi conto che era impossibile. E hanno abbassato il limite a 16”.
Qualche anno fa, in una zona rurale poco lontano da Tulsa, ho conosciuto una madre che stava cercando di stabilire con il figlio Ely, di 14 anni, alcune regole sui suoi futuri fidanzati. Il ragazzo cercava di convincere la madre a concedergli la possibilità di passare un po’ di tempo con il suo fidanzato in camera, “ma con la porta chiusa”.
“Allora, mamma, possiamo stare in camera mia?”.
“No, non mi fido”.
“E se non ci tocchiamo?”.
“Non hai abbastanza autocontrollo”.
“Certo che ne ho!”.
“Non è vero”.
“Quanti anni hai detto che ha il tuo amico?”.
“Quindici”.
“E ha la testa rasata e piercing dappertutto. È questa la persona con cui vuoi stare?”.
“C’è tanta gente che ha la testa rasata”.
“Non credo che tu sia pronto ad avere una relazione”.
“Uffa…”.
“Lo so. Non vedi l’ora di andartene da casa. Hai la madre più cattiva del mondo!”.
Con papà al gay pride Mentre li sentivo bisticciare, non potevo fare a meno di ripensare a quello che mi aveva detto Savin-Williams durante il nostro primo colloquio: “Questa è la prima generazione di adolescenti gay che può discutere di ragazzi e fidanzamenti con i genitori, proprio come succede ai giovani eterosessuali”.
Anche se alcuni degli studenti delle scuole medie che ho conosciuto avevano già un partner ed erano sessualmente attivi, molti cercavano soprattutto di stringere amicizia con qualche coetaneo gay.
Quelli che frequentavano scuole dove c’erano altri studenti dichiaratamente omosessuali, o che vivevano a contatto con gruppi di giovani gay organizzati (come Openarms), erano più fortunati. Ma molti, come Austin in Michigan, non avevano mai conosciuto un ragazzo apertamente gay.
“Ha delle amiche molto care, ma non ha amici omosessuali”, racconta la madre. Per incontrare altri gay, è andato con suo padre alle riunioni del Plag ( Genitori, famiglie e amici di lesbiche e gay). E a giugno la madre ha accettato di lasciarlo andare al gay pride di Chicago. “Gli ho spiegato, però, che io o il padre l’avremmo accompagnato”, ricorda.
“E lui ha scelto il padre, forse perché sapeva che era l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare. Alla fine sono andati. Devo riconoscere che mio marito farebbe qualsiasi cosa per Austin.
Non riesce a capire fino in fondo perché sia convinto di essere gay già alla sua età. Ma si sforza di stargli accanto. E comunque non aveva mai visto suo figlio così felice. Prima di andare, Austin era stato chiaro: ‘Papà, non devi arrabbiarti se faccio dei complimenti ai ragazzi carini in costume da bagno!’.
E quanti complimenti ha fatto quel giorno! Era davvero nel paradiso degli adolescenti gay”.
* Articolo originariamente pubblicato sul The New York Times Magazine
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