Per molte donne trans vivere in Salvador è una condanna a morte
Articolo di Astrid Valencia e Josefina Salomón pubblicato sul sito della Fundación Reflejos de Venezuela (Venezuela) il 20 settembre 2020, liberamente tradotto da Silvia Palumbo
In Salvador, le donne trans hanno un’aspettativa di vita inferiore a 41 anni rispetto alla media della popolazione complessiva. La violenza della polizia, le estorsioni delle maras [gang criminali salvadoregne, n.d.r.] e la discriminazione sono tra le minacce principali in cui si imbattono. Dallo scoppio della pandemia di COVID-19 lo scorso marzo, le cose sono peggiorate di molto, ma l’attivismo non si ferma.
Bianka Rodríguez non si intimorisce facilmente.
Quando si è donna trans e attivista in un paese con uno dei più alti tassi di omicidio al mondo, si subisce violenza da parte della polizia e se si è quotidianamente vittime di estorsioni astronomiche dalle maras locali, il pericolo assume un significato totalmente nuovo. Ma quando il COVID-19 ha colpito San Salvador lo scorso marzo, Bianka sapeva subito che le cose sarebbero peggiorate, in particolare per le molte donne trans con cui lavora giornalmente.
Vi sono stati problemi di salute, in modo particolare per le molte donne trans che prendono ormoni senza prescrizione medica e altre persone che non accesso a cure adeguate da molti anni. E anche preoccupazioni economiche, in particolare per le numerose lavoratrici sessuali che non hanno potuto guadagnarsi da vivere a causa dell’isolamento.
Dopo quattro mesi, il presidente Nayib Bukele ha revocato alcune delle misure di quarantena e isolamento più severe, che secondo Bianka avevano messo molte donne trans in condizioni di estrema vulnerabilità. Nonostante ciò, la situazione continua ad essere disperata.
È particolarmente preoccupata per il futuro di alcune delle persone più emarginate del paese centroamericano e per come le attiviste come lei potranno continuare a svolgere il loro lavoro.
Una strategia caotica
I meme sul COVID-19 che comparvero alla fine di febbraio su molti dei gruppi Whatsapp di cui fa parte non l’hanno avvertita della portata di ciò che stava per accadere: “Inizialmente credevamo che [il Coronavirus] non sarebbe arrivato qui, ma quando il governo ha annunciato che avrebbe preso provvedimenti, ci ha terrorizzati perché ci siamo accorti che la popolazione trans è molto più esposta [alle malattie]” ha spiegato Bianka in videochiamata da casa sua, a San Salvador.
Le misure a cui si riferisce sono un insieme di decreti che il presidente Nayib Bukele ha firmato uno dopo l’altro non appena l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato pandemia il virus COVID-19.
Innanzitutto, l’11 marzo è arrivato un decreto che annunciava la chiusura delle frontiere e delle scuole, così come una quarantena selettiva per i gruppi considerati allora particolarmente a rischio in caso di malattia, come le donne in gravidanza e le persone di età superiore a 60 anni. Una settimana più tardi, Hacienda ha annunciato una regola che consente ai cittadini di smettere di pagare le bollette dell’energia elettrica, acqua, televisione via cavo e internet e gli importi dovuti a titolo di prestito per un periodo di tre mesi.
A fine marzo il governo impose una quarantena obbligatoria a livello nazionale, che impediva alla popolazione di uscire di casa per qualsiasi attività non essenziale, come acquistare alimenti o medicine. Quando le autorità hanno aperto i centri di quarantena, sono emerse in seguito decine di denunce di abusi. Come nel resto del mondo, la gente cercava di capire cosa poteva e non poteva fare.
Bianka, che dirige Comcavis Trans, organizzazione dedicata ad aiutare le donne trans che subiscono violenza e spostamento forzato a San Salvador, ha subito elaborato un piano di emergenza per sostenere le persone più vulnerabili. Sapeva che l’impatto delle misure sarebbe durato molto tempo. Il suo team e altre organizzazioni locali hanno valutato le probabilità che la pandemia e la risposta del governo avrebbero potuto colpire le persone LGBTI in tutta la nazione.
“Le misure del governo, compreso il sostegno economico per mitigare l’impatto della crisi, non hanno un approccio differenziato per le persone che hanno particolari situazioni di vulnerabilità, come ad esempio le donne, le persone LGBTI, le persone diversamente abili, le popolazioni native, che sono rimaste tagliate fuori.”
Il personale di Comcavis afferma che nessuna delle 138 persone trans e attiviste con le quali lavora in tutto il Paese ha avuto accesso alla sovvenzione di 300 dollari americani che offriva il governo a coloro che erano rimasti senza lavoro.
Mónica Linares, direttrice di ASPIDH Arcoíris Trans, organizzazione che lotta per i diritti delle persone trans a San Salvador, afferma che molte di esse hanno riscontrato ostacoli nell’accesso dei servizi medici essenziali, poiché tutte le risorse sono state destinate alla pandemia. Afferma che uno degli ostacoli era la discriminazione nei centri sanitari: “La situazione è decisamente peggiorata”, sottolinea.
L’esistenza di una discriminazione profondamente radicata fa sì che la maggior parte delle donne trans abbia poche opportunità di lavoro, oltre alla prostituzione. L’inabilità di lavorare e l’aumento degli abusi della polizia hanno messo le lavoratrici sessuali in una situazione di particolare vulnerabilità. Bianka afferma che molte lavoratrici sessuali adesso non hanno più una casa, poiché sono state sfrattate nonostante una direttiva del governo che ha sospeso gli sfratti per un periodo di tre mesi.
La quarantena ha anche lasciato senza reddito molte persone trans, comprese quelle con altri impieghi formali. In altri casi, il lockdown le ha costrette a vivere con familiari e coppie che le maltrattano: “Il messaggio è ‘resta a casa’ ma questo resta a casa non significa lo stesso per un gay, una lesbica, un trans. [Per molte persone LGBTI] quello è il primo posto dove vengono violati i diritti, dove si è violentati fisicamente, emotivamente e psicologicamente. In realtà, molte delle misure non si possono applicare alle persone LGBTI. Anche se rendiamo noto questo fatto, non fanno attenzione a noi” dice Bianka.
Le organizzazioni locali, comprese Comcavis e ASPIDH, affermano di aver registrato un aumento delle denunce di violenza di genere in ambito familiare, estorsione, sfratto, tentato omicidio e suicidio. Comcavis, per cercare di aiutare, ha teso la mano a centinaia di donne trans con cui ha lavorato e ha offerto loro pacchi alimentari, sostegno nel trasloco di casa, assistenza giuridica e sostegno psicologico.
Altre organizzazioni hanno fatto lo stesso. Mónica e i suoi colleghi di ASPIDH hanno sfruttato i social network per identificare chi aveva bisogno di aiuto, e hanno utilizzato fondi destinati ad altre attività per acquistare pacchi alimentari: “Fin dall’inizio della pandemia abbiamo iniziato a ricevere richieste di aiuto su Facebook. Una compagna ci portava a un’altra, e quella a un’altra ancora. Si è creata una rete, e così ne raggiungiamo tante in tutto il Paese” afferma Mónica.
Bianka trascorre la maggior parte del tempo al telefono, rispondendo a messaggi, facendo interviste e assistendo a riunioni in videoconferenza. Fa parte di una squadra di attiviste che ha effettuato visite selettive in zone periferiche, dove il loro aiuto è particolarmente necessario per colmare il vuoto lasciato dalle autorità. La logistica è stata difficile, per cui hanno dovuto ricorrere alla creatività.
“Il modo in cui lavoriamo è cambiato drasticamente. Occuparsi dei casi a distanza è stato complicato. Abbiamo dovuto acquistare nuovi piani telefonici, poiché vi erano colleghe che non possedevano uno smartphone o una buona connessione a Internet. Ci sono stati casi di donne trans che hanno dovuto prendere in prestito il telefono dai loro vicini per chiamarci e dirci cosa stava loro succedendo.”
Sempre in pericolo
La pandemia del coronavirus ha messo in luce alcuni dei problemi storici che devono affrontare le persone LGBTI, in particolare le donne trans, a San Salvador.
Anche se la stragrande maggioranza delle vittime di omicidio a San Salvador, uno dei Paesi con il maggior indice di omicidi del mondo, sono uomini giovani, le donne e le persone LGBTI sono soggette a forme particolari di violenza, come i crimini di odio basati specificamente sul loro orientamento sessuale o identità di genere.
Le autorità non suddividono i dati relativi agli omicidi per determinare il numero di donne e di persone LGBTI uccise a causa della loro identità di genere, del loro orientamento sessuale o entrambi. Tuttavia, Comcavis ha registrato almeno 600 omicidi di persone LGBTI in San Salvador dal 1992.
Le donne transgender, che sono particolarmente stigmatizzate a causa delle norme sociali patriarcali, sono particolarmente vulnerabili alla violenza e all’estorsione delle maras e, a causa della discriminazione, spesso incontrano maggiori ostacoli nell’accesso alla giustizia.
Secondo la Commissione Interamericana per i diritti umani, a San Salvador l’aspettativa di vita di una donna trans è di soli 33 anni, meno della metà dei 74 anni di aspettativa di vita della popolazione in generale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.
“La mancanza di dati ufficiali sui crimini d’odio basati sull’identità di genere dimostra che le autorità di San Salvador da molti anni prestano poca attenzione alla violenza che colpisce le persone LGBTI” afferma Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe: “Il presidente Bukele ha avuto l’opportunità di cambiare questa situazione, ma ha scelto di guardare dall’altra parte”.
Bianka afferma che questa non è l’unica opportunità persa di Bukele. Da quando ha assunto l’incarico, il presidente ha chiuso la Direzione per la diversità sessuale e il Segretariato per l’inclusione sociale. È stato aperto un nuovo ufficio presso il Ministero della Cultura, che, secondo le attiviste locali non è molto efficiente. Deve ancora essere approvato un progetto di legge sull’identità di genere, che contiene disposizioni destinate ad eliminare la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Guevara Rosas, che ha incontrato Bukele poco dopo che questi aveva assunto l’incarico l’anno scorso, afferma che il Presidente ha ancora la possibilità di tracciare una nuova rotta: “La repressione è il modo meno efficace per combattere una pandemia. Il Presidente Bukele deve iniziare ad aprire gli occhi e le orecchie, e ascoltare sinceramente le richieste del popolo salvadoregno, in particolare delle persone che da decenni subiscono discriminazioni e abusi, e che in questo momento sono particolarmente colpite dalla pandemia”.
Testo originale: Para muchas mujeres trans, vivir en El Salvador es una condena a muerte.