Transessuali e Chiesa. Come accogliere e accompagnare le persone che vivono la Disforia di Genere?
Articolo di Gelsomino Del Guercio pubblicato sul sito cattolico Ateleia.org il 28 gennaio 2015
Una Chiesa aperta a tutti. Sopratutto a chi si sente escluso ed emarginato. E’ con questo spirito che papa Francesco ha accolto sabato in Vaticano il transessuale Diego Neria Lejarraga insieme alla sua fidanzata (Aleteia, 26 gennaio). Il giovane aveva scritto al pontefice, sostenendo che dopo il cambio di sesso avvenuto 8 anni fa, era stato allontanato dal suo parroco. Addirittura, il sacerdote lo avrebbe definito “la figlia del diavolo” (Avvenire 26 gennaio).
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IL PRECEDENTE DI LEELAHA. Ma Diego non è il primo trans a manifestare un limite a cui ha provato a porre un argine Bergoglio, ricevendolo in udienza privata. Alla fine del 2013, Leelaha Alcorn, 17enne nata con un corpo maschile, ma che da tempo si sentiva una donna e avrebbe voluto cambiare sesso, si è suicidata lanciandosi in una strada trafficata dell’Ohio, negli Stati Uniti.
GRAVI ACCUSE AI GENITORI. Prima di togliersi la vita, Leelaha – il nome maschile era Josh ma non lo accettava – aveva programmato un post straziante sul proprio profilo Tumblr dove accusava i genitori molto religiosi di non avere accettato la sua condizione di transgender. Invece di ascolto e comprensione, scriveva nella lunga lettera di addio, la ragazza racconta di aver ricevuto punizioni molto dure (L’Huffington Post, 30 dicembre).
LA DEPRESSIONE MAI SUPERATA. «Mia madre – recitava il post – ha cominciato a portarmi dagli psicologi, ma unicamente dai terapeuti di fede cristiana (che sono molto faziosi), e così non ho mai potuto ottenere una terapia che potesse guarirmi dalla depressione. Ho soltanto incontrato persone molto religiose che mi ripetevano quanto fossi egoista e quanto mi sbagliassi e che avrei dovuto cercare aiuto in Dio».
DISFORIA DI GENERE. In realtà i terapeuti, anche se di fede cristiana, seguono dei protocolli ben precisi nei confronti delle persone affette da Disforia di Genere. Perché il transessualismo è una patologia ben definita, come spiega ad Aleteia la psicologa Arianna Petilli, che ha redatto l’interessante studio, unico in Italia, su come “L’azione della Chiesa Cattolica influenza il benessere psicologico delle persone omosessuali“.
NON ACCETTAZIONE DEL PROPRIO SESSO. «La Disforia di Genere – sostiene la psicologa – fa riferimento al profondo distress derivante dalla discrepanza tra il genere percepito come proprio e quello assegnato alla nascita. Detto in altri termini, le persone con Disforia di Genere sentono di essere membri del sesso opposto rispetto a quello biologico di appartenenza e di essere quindi imprigionate in un corpo che non le rappresenta e che non riconoscono come proprio. Si tratta di una condizione estremamente invalidante, che compromette tutti gli aspetti di vita di una persona e che è causa di un profondo disagio soggettivo».
UN DISAGIO SOCIALE. A questo, evidenzia Petilli, «si aggiunge il fatto che, spesso, tale disagio viene vissuto in un clima di solitudine e incomprensione. I familiari, così come l’ambiente sociale di appartenenza, infatti, sono di solito impreparati a comprendere la marcata identificazione del soggetto con il sesso opposto e, per questo, possono reagire con rifiuto, avversione e paura alle sue preferenze e ai suoi comportamenti stereotipici dell’altro sesso. Questo, stando alla testimonianza che Leelaha ci ha lasciato prima di togliersi la vita, sembrerebbe essere quanto accaduto anche a lei».
INCOMPRENSIONE DELLA SOFFERENZA. Secondo la terapeuta, i genitori della 17enne non erano riusciti, e probabilmente non erano stati aiutati, a comprendere la sofferenza del proprio figlio. «Allo stesso modo, sempre secondo quanto riferito dalla ragazza, gli interventi psicoterapeutici a cui negli anni era stata sottoposta, erano stati finalizzati all’adeguamento della sua identità di genere al sesso biologico, ottenendo, comprensibilmente, l’effetto di alimentare il suo senso di insicurezza e incomprensione».
UNA FORZATURA ETICAMENTE SCORRETTA. In base a quanto è possibile leggere nella settima edizione degli Standards of Care per la Salute di Persone Transessuali, Transgender e di Genere Non-Conforme, redatti dalla World Professional Association for Transgender Health, «ogni trattamento finalizzato a riorientare l’identità di genere di una persona per renderla conforme al sesso che le è stato assegnato alla nascita, non può, ad oggi, essere considerato etico».
ESPLORARE L’IDENTITA’ PERCEPITA. «I professionisti della salute mentale – osserva Petilli – sono dunque chiamati ad astenersi dal manifestare un atteggiamento contrario all’identità variante di genere mostrata dal paziente e a orientare il loro intervento verso una valutazione puntuale della salute mentale e della Disforia di Genere. In particolare, con pazienti in età prepubere e adolescenti, la finalità sarà quella di aiutarli nell’esplorazione della propria identità, sostenendo la famiglia nella gestione della paura legata allo sviluppo psicosessuale del loro figlio».
LA POSSIBILITA’ DELL’INTERVENTO. Con pazienti adulti, invece, l’intervento psicologico si pone l’obiettivo di aiutarli a comprendere meglio loro stessi e la loro situazione di vita, e ad elaborare insieme un progetto su come e quando effettuare il passaggio all’altro sesso, prendendo in considerazione la possibilità di ricorrere alla terapia ormonale e, infine, all’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso in seguito al quale sarà possibile provvedere alla rettifica anagrafica dei dati personali. «In quest’ultimo caso – conclude Petilli – i pazienti devono essere adeguatamente informati sui rischi e sull’irreversibilità dell’intervento e dovranno essere approfondite le loro aspettative più o meno realistiche sui benefici del trattamento».
IL PERCORSO DEL TERAPEUTA. Con il professore Davide Dettore, docente di psicologia clinica all’Università di Firenze, che da anni segue persone affette da Disforia di Genere, scopriamo più dettagliatamente il percorso che dovrebbe effettuare un terapeuta. «E’ ovvio – premette – che quando ci si trova con persona che non si trova bene nel genere che gli è stato attribuito alla nascita e sente di appartenere ad un genere diverso, è assolutamente non eticamente corretto insistere, cercando di farlo tornare sul genere che le è stato attribuito».
1° STEP: CAPIRE SE LA CONVINZIONE E’ FERREA. Piuttosto, sottolinea il docente, «deve comprendere la situazione e verificare se questa convinzione è davvero ferrea, come e da quando è sorta». Se il terapeuta nota che la persona non si smuove dalla sua convinzione, «secondo tutte le norme deontologiche attuali» – e qui Dettore concorda con la Petilli – «non bisogna minimamente forzare il ritorno del genere di attribuzione alla nascita. E’ come provare a convincere una persona eterosessuale e diventare omosessuale o viceversa. Sono concetti diversi l’orientamento sessuale e l’identità di genere, ma in entrambi i casi può non avvenire il cambiamento».
2° STEP: I BLOCCANTI IPOTALAMI. «Gli adolescenti – afferma lo psicologo – si trovano in una fase in cui il corpo cambia e va verso una identificazione più strettamente di un sesso o dell’altro. E a loro deprime se quell’identificazione va verso il sesso che non gli è stato attribuito alla nascita». In particolare il terapeuta può applicare per loro un trattamento a base di bloccanti ipotalami, medicinali che bloccano lo sviluppo puberale. «Cioè il corpo non si modifica più in una identificazione o nell’altra, resta alla situazione in cui è arrivato in quel momento. In questo modo ci sono altri due o tre anni a disposizione del terapeuta che può seguire l’adolescente e valutare se la Disforia di Genere regredisce o meno».
3° STEP: SOMMINISTRAZIONE DI ORMONI. Se la Disforia di Genere migliora, si sospende il bloccante, in caso contrario, solitamente all’età di 16-17 anni, si cominciano a somministrare ormoni che vanno nella direzione del sesso in cui ci si identifica. Dopo i 18 anni è possibile anche programmare un intervento per cambiare la fisionomia del proprio corpo, ma non tutti lo eseguono. C’è chi si accontenta di avere un’attribuzione anagrafica di sesso e non chirurgica.
1 SU 4 RESTA TRANSESSUALE. Dettore sottolinea un dato: «Non tutti i bambini con Disforia di Genere precoce finiscono nel transessualismo. Circa il 23-25 per cento mantiene la Disforia e in età adulta gli viene riattribuito il genere. Una buona parte diventa omosessuale, il resto si orienta con il genere di appartenenza».
GENESI DELLA PATOLOGIA. Le origini della patologia non sono chiare: «Sicuramente dipende da elementi di natura biologica – chiosa Dettore – per ora siamo solo certi che se questa condizione persiste fino a 16-17 anni, è quasi impossibile che la persona rientri nel suo genere di attribuzione originario. La manterrà per tutta la vita».
DISCUTIBILE INTERVENIRE SUGLI ADOLESCENTI. Secondo padre Maurizio Faggioni, medico e docente di Teologia morale all’Antonianum e all’Accademia Alfonsiana di Roma, gli interventi psichiatrici in età prepuberale per affrontare la Disforia di Genere sono discutibili, tanto più se connotati dalla somministrazione di farmaci come bloccanti dello sviluppo. D’altro canto gli attuali protocolli sono il frutto di un orientamento della psichiatria piuttosto recente e tutt’altro che condiviso dalla morale cattolica.
L’UNICO CASO IN CUI SI GIUSTIFICA LA “CORREZIONE”. L’opinione corrente, invece, tra i moralisti vicini alla Chiesa, è che il sesso è deciso dalla coscienza. «Ma in casi drammatici estremi – ha detto padre Faggioni ad Aleteia – e cioè quando si vive un senso di angoscia che non si riesce a superare né con l’aiuto psichiatrico, né con quello farmacologico, ed è tale da metterne in pericolo la vita, allora si può ricorrere anche alla correzione del fenotipo, cioè alla correzione degli aspetti genitali, intesa come cura palliativa».
MASCOLINITA’ E FEMMINILITA’ IMMUTABILI. Nel caso di un intervento chirurgico, prosegue il teologo moralista, «va precisato che esso non assegna comunque la mascolinità o femminilità a quella persona. Ed essa non può accedere alle nozze in Chiesa, né alla vita consacrata. E nel caso una persona sposata decida di ricorrere a questa pratica, il matrimonio viene ritenuto nullo».
IL “NO” DI RATZINGER E VESCOVI. In particolare, rispetto all’accesso al matrimonio, in senso negativo si esprimeva la Lettera, a firma del cardinale Ratzinger, inviata il 28 maggio 1991 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi tedeschi. Più recentemente, il 21 gennaio 2003, una Notificazione della Conferenza Episcopale Italiana ricordava che un cambiamento del sesso allo stato civile non poteva comportare una parallela modifica nell’atto di battesimo.
STIMA E MISERICORDIA PER I TRANSESSUALI. L’impossibilità di essere ammessi alle nozze cristiane «non significa affatto che le persone transessuali che si sono sottoposte all’intervento correttivo debbano essere considerate escluse dalla comunità ecclesiale – risalta padre Faggioni – al contrario, proprio il profondo disagio che, a volte per anni, ha accompagnato la loro vita, le ingiuste discriminazioni e lo sfruttamento che spesso hanno subìto e subiscono, chiedono alla comunità cristiana, in nome della misericordia di Dio, di avere per questi fratelli e sorelle sentimenti di ancor più sollecita accoglienza, di autentica stima e di fattivo sostegno».