Transfobia. Minacciata e insultata dal fratello
Articolo di Marco Pasqua del 16 gennaio 2013 pubblicato su Huffington Post Italia
Al via il processo. Il suo avvocato: “In famiglia fenomeno ancora più difficile da debellare”. Ha dovuto subire per anni i soprusi del fratello, che non ha mai accettato e rispettato la sua decisione di cambiare sesso e di diventare donna. Insultata, umiliata, costretta ad andarsene di casa e, infine, aggredita, fino a quando ha deciso di rivolgersi alla polizia e denunciare tutto.
A cominciare da quelle minacce di morte che le sono state rivolte: “Lo giuro sul Duce, ti ammazzo. Brutto frocio comunista, ricordati di Hitler”, le ha urlato in due occasioni, davanti ad alcuni testimoni, tra i quali la madre. Tutti hanno accettato di testimoniare a suo favore e, per questo, il fratello è ora imputato in un processo che inizierà giovedì a Roma.
Un caso di transfobia familiare, sicuramente tra i più difficili da affrontare e gestire, sia dal punto di vista psicologico che legale.
Omertà, imbarazzo, paura: F.E.B., 50 anni, li ha dovuti sconfiggere tutti, grazie anche all’assistenza del suo avvocato, Daniele Stoppello. E questo per riuscire a vivere serena la sua condizione, culminata con l’adeguamento dei caratteri sessuali, come sancito dal tribunale di Genova. F.E.B. è oggi, anche per lo Stato italiano, una donna, che però porterà per sempre dentro di sé i segni indelebili e invisibili delle umiliazioni subite.
La storia. F.E.B. viveva a Roma, nello stesso appartamento della madre, insieme al fratello, C.M.B, di 48 anni. Il rapporto con lui non è mai stato facile. Ma le cose sono peggiorate quando, nel 2005, “avendo manifestato atteggiamenti psicologici e comportamentali che denotavano una chiara identità psicosessuale femminile – come spiega in una delle denunce presentate alla polizia – ho intrapreso l’anno dopo il percorso terapeutico di transizione, culminato con il trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali, il tutto in forza di una sentenza del tribunale di Genova”.
“A partire da quel momento – ricorda – mio fratello mi ha costretta a subire continui soprusi, contrassegnati da atteggiamenti di disprezzo, dileggio ed aggressività verbale e tutto questo per la mia decisione di adeguare i miei gusti sessuali”.
La situazione precipita nell’agosto del 2011, quando F.E.B. viene aggredita verbalmente, in ospedale, dove era stata ricoverata la madre invalida. “Io ti ammazzo”, le ha urlato. Solo grazie all’intervento di un amico del fratello, si è evitato il peggio: “Lo ha afferrato trattenendolo e io sono riuscita a scappare e a nascondermi nel parcheggio dell’ospedale, dove ho chiamato il 113”. Poco prima, aveva mostrato alla madre un coltello, preannunciandole l’intenzione di volerla uccidere. Un mese prima, era avvenuto un altro fatto grave, questa volta nella loro abitazione.
“Eravamo in salotto, io e mia madre, quando mio fratello, senza motivo, ha iniziato a spintonarmi e dandomi del ‘brutto frocio di merda comunista del cazzo’”. Il tutto condito da un avvertimento neonazista: “Ricordati di Hitler”. Anche in quell’occasione. F.E.B. decide di chiamare la polizia e di andarsene di casa. Non vi farà più rientro, tanto che, ancora oggi, deve recuperare i suoi effetti personali.
A settembre, infine, dopo un nuovo ricovero della madre, viene nuovamente affrontata e minacciata dal fratello. “Appena mi ha vista – ha scritto nella denuncia – mi ha strattonata, prendendomi il cellulare per impedire di chiamare la polizia e minacciandomi: ‘Lo giuro sul Duce, ti ammazzo, ho detto che ti ammazzo, lo giuro”. A quella scena assistono alcune persone, che accettano di testimoniare in suo favore.
Reazioni. “I casi di omofobia e transfobia familiare sono tra i più complessi da gestire – spiega all’HuffPost l’avvocato della transessuale, Daniele Stoppello – I soggetti coinvolti, infatti, sono più vulnerabili rispetto alle vittime dell’omofobia sociale sia perché risulta più problematico ricorrere alla giustizia, sia perché la discriminazione familiare determina conseguenze devastanti a carico della vittima.
Capita, infatti, che la persona si senta inerme davanti a tanta illegalità e i sensi di colpa le impediscono di riconoscere in un proprio familiare la figura del colpevole lasciando così il danneggiato senza giustizia. Ecco perché, mai come in questi casi, è fondamentale nell’ambito processuale la collaborazione dei testimoni che, invece, troppo spesso preferiscono restare nell’anonimato o comunque non vogliono essere tirati in ballo”.
Per Stoppello, “di fronte ad un’emergenza così grave e di tali proporzioni appare ancora una volta chiaro la necessità dell’introduzione nel nostro ordinamento di reati specifici d’odio motivati da omofobia e transfobia”.
Per l’avvocato Armando Macrillò, che difende l’imputato, comunque, “non c’è nessun pregiudizio nei confronti della sorella. Si è trattato di liti intervenute in un momento complicato per la famiglia (segnato dalla morte della madre e del fratello), legate anche alla divisione dei beni”.
“L’omofobia e la transfobia tra fratelli sono una realtà frequente – commenta a tal proposito la psicoterapeuta Floriana Loggia – , che si esplicita attraverso dinamiche ancora più violente proprio perché si tratta di persone emotivamente coinvolte.
Spesso il rifiuto dell’omosessualità e della transessualità di un familiare si trasforma in una vera e propria fobia proprio perché si vuole allontanare da sé anche la minima ombra di somiglianza, e nel rifiuto del diverso si interrompono anche quei legami d’affetto che solitamente legano i fratelli. La fobia di un individuo verso l’omosessualità diviene massiccia e primitiva in maniera direttamente proporzionale alla vicinanza che l’omosessuale ha con lui”.