Transgender e cristiano. Due margini al prezzo di uno
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 5, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Aidan Wang è un uomo transgender taiwanese di Taipei che si considera “figlio della terza cultura”. Ha trascorso la maggior parte della sua vita con un piede nella cultura orientale di Taiwan e uno nel cristianesimo – un’importazione occidentale. Quando Aidan era all’asilo i suoi genitori si convertirono al cristianesimo e iniziarono a frequentare una chiesa evangelica aconfessionale e lo stesso Aidan frequentò una scuola missionaria.
Crescere cristiani a Taiwan significa far parte di una sottocultura. Solo il 3,9% della popolazione si identifica come cristiano, mentre la maggioranza dei taiwanesi praticano o il buddismo (35%) o il taoismo (33%). Quando Aidan iniziò la scuola cristiana all’età di circa sei anni, visse una specie di shock culturale, anche senza aver mai lasciato il paese. Le aspettative di genere erano diverse in chiesa piuttosto che a casa e cose prima semplici cominciarono improvvisamente a complicarsi.
Mi sorrise per un istante quando mi disse: “Conoscevo la mia identità (come maschio) dall’età di due anni! Ma crescere cristiani significava, all’epoca, non menzionare le persone transessuali. Non avevo idea di cosa significasse il termine transessuale. Sapevo di aver cominciato ad apprezzare le ragazze quando ero in terza elementare, e a scuola ho imparato che essere gay è un peccato e dato che ero in un corpo femminile e mi piacevano le ragazze, pensavo di essere gay”.
Mentre Aidan si sentiva a proprio agio indossando abiti che gli piacevano a casa e in città, in chiesa c’erano differenti aspettative. “Fuori dalla chiesa nessuno pensava che fosse strano che indossassi sempre magliette e pantaloncini, indossavo colori scuri come il blu e il nero. Non pensavano fosse strano se mi tagliavo i capelli corti. Pensavano solo: “Oh carino!” Gli chiesi se quella fosse la norma per le ragazze a Taiwan. Mi rispose:
“Si, qui le persone sono più androgine, più mescolate nei sessi. Non esiste gran distinzione tra abbigliamento di uomini e donne. In realtà non c’è un reparto per uomini e uno per donne. In realtà c’è, ma la gente non ci fa caso. Gli uomini qui hanno una corporatura più esile e una crescita dei capelli inferiore rispetto agli uomini occidentali – nessuno porta davvero grandi barbe. Anche per le donne va bene avere i capelli più corti e indossare abiti sportivi, camicie in flanella e cose del genere e va bene per gli uomini indossare pantaloni o camicie più strette. Quindi quando cammini per strada è molto comune che le persone capiscano il tuo sesso”.
Ma in chiesa le cose erano diverse. “In chiesa si presume che le donne siano più spirituali. Devono essere corrette: i vestiti le devono coprire di più. Per le ragazze va bene indossare pantaloni, anche in chiesa, ma io avrei dovuto indossarli di color rosa… Credo per apparire più femminile. Forse indossare magliette e pantaloni più femminili”.
La tradizione dell’abbigliamento maschile e femminile con forme simili, ma con colori e materiali diversi si può effettivamente trovare nella storia taiwanese, sia nel popolo Han che migrò a Taiwan dalla Cina dal 1600 fino alla metà del secolo scorso sia tra molte popolazioni indigene delle isole.
Di solito sia gli uomini sia le donne indossavano abiti o scialli lunghi con maniche lunghe, era solo il colore, il motivo, il tipo di ricamo che li contraddistingueva. Oggigiorno l’abbigliamento rimane abbastanza androgino, ma alcuni colori e stili sono più comuni in un genere piuttosto che in un altro.
La differenza tra aspettative a casa e in chiesa era ancora più evidente quando si parlava di ruoli di genere. La madre di Aidan era una femminista convinta con la passione per l’istruzione. “Quando stava crescendo non era permesso alle donne aver accesso all’istruzione”, ha spiegato Aidan. “Ha respinto molto duramente tutto questo. È l’unica persona della sua famiglia ad essersi laureata dopo il college, perché convinta che le donne siano in grado di fare tutto”. Questa personalità così decisa le è stata di aiuto nel mondo accademico, ma quando si è convertita al cristianesimo ha dovuto affrontare la stessa pressione dei cosiddetti ruoli biblici di genere delle donne evangeliche negli Stati Uniti.
Ho chiesto ad Aidan se per sua madre fosse difficile sottomettersi alla leadership degli uomini. Si è messo a ridere rispondendo:
“Oh si. In chiesa mi respinge sempre. La chiesa chiedeva a mio padre di guidare un piccolo gruppo e lei diceva: “No, non può, lo guiderò io”. Come all’inizio pensava: “Oh povera me, questa è cultura? Dovrei davvero ascoltare questa cultura cristiana, mi sottometterò e sarò tranquilla”. Ma non ci riesce, per il suo carattere. Mio padre non può essere un capo – è sottomesso come me. Io sono un ragazzo più passivo. Non parlo molto, ma in chiesa devo farlo. Devo guidare le preghiere, devo essere capo di un gruppo e lo odio. Mi sento pressato”.
Qui è più evidente lo scontro culturale, perché mentre ci si aspetta che gli uomini siano capi in chiesa, la cultura taiwanese apprezza gli uomini che vengono definiti “di buon cuore”.
Nella cultura taiwanese c’è pressione sugli uomini affinché siano in grado di mantenere la moglie. Se non sei in grado non puoi sposarti. Come uomo occorre provvedere a tutte le necessità della moglie – tutto quanto la renda felice. Se vuoi essere un bravo fidanzato, devi portarle la borsetta, comprarle gli assorbenti, servirla in tutti i modi, ascoltarla, così le ragazze ti daranno il comando. A questo aspirano i ragazzi. Usiamo un termine per definire ciò “uomo tenero”, così come “di buon cuore”. Vogliamo essere uomini di buon cuore, seguendo il proverbio: “moglie felice, vita felice”. Così penso che molte donne non si trovino a loro agio in chiesa, perché sono tenute a sottomettersi. Devono essere sottomesse. Ecco dove sta l’inghippo – per noi è del tutto diverso.
Esempi come quello di Aidan ci portano a criticare i principi e i comportamenti che il cristianesimo vuole imporre in tutto il mondo. Mentre esistono alcune parti della fede cristiana che non sono relative – come i Dieci Comandamenti o il Discorso della Montagna – le componenti culturali dovrebbero esser valutate diversamente.
Dovremmo forse insistere sul fatto che pratiche e regole culturali create per un popolo in un determinato tempo e luogo siano lo stato di diritto per tutti per sempre?
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