Transizioni al tempo del coronavirus. A qualcuno la quarantena piace
Riflessioni di Roberta Rosin*
Come scrive Pirandello “La vita non ha bisogno di essere verosimile per essere vera”. Le stranezze o straordinarietà di questo periodo sono infinite. Sono e faccio la psicoterapeuta a Padova e come tutti risento delle profonde riflessioni di questo periodo. Molti di noi vivono questo tempo di costrittività-coronavirus come una violenza, nell’attesa di essere liberati.
Esiste all’inverso, parte di un piccolo popolo, che ritrova la propria sicurezza, tranquillità, vivibilità nel vivere asserragliati! Mi riferisco alle persone che stanno attraversando un percorso di transizione o che si stanno preparando alla riaffermazione di genere. Ogni volta che li ascolto e li guardo apparire dietro al freddo vetro del mio nobile Pc, la maggior parte di loro mi rimanda un accorato “tutto sommato dentro casa sto bene, non ho rapporti con nessuno e non mi devo nascondere da nessuno”.
Anche in quel momento emerge con chiarezza il faticoso vivere quotidiano a contatto col mondo. Penso al giovane Marco studente di fisica che sorride nello stare nella grande casa in affitto da solo, considerato che i coinquilini hanno raggiunto velocemente le loro famiglie; penso a Lucia che vive con i nonni anziani, penso a Marta che deve fare i conti con genitori ancora feriti nel guardare una figlia che non riconoscono. “A casa posso studiare, seguo le lezioni dal Pc, non vengo né riconosciuta né guardata stranamente e contemporaneamente procedo verso la laurea. Ma, soprattutto con il tempo che passa, procedo nella mia transizione: è un sollievo!”.
Io nel trascorrere quasi tutta la giornata ascoltando parole che non posso toccare, raccogliendo pianti che non posso cullare, vivo una stanchezza che affonda e si nutre del non-contatto ed è straordinario considerare quanto invece parte di questo piccolo popolo goda di ciò. Di certo questo periodo richiama ai più cosa significhi essere meno, a chi è vissuto in libertà cosa significhi vivere in cattività ma, soprattutto, a nessuno è concesso alcun tipo di sconto. Sempre e secondo i punti di vista…
In questo periodo prosegue la terapia con Michele, adolescente transessuale di 21 anni, nato biologicamente femmina. Ecco cosa scrive del suo vissuto di questo periodo:
Quarantena. “Portate pazienza; in questo periodo è necessario sacrificare la propria vita sociale per cercare di contenere e rallentare i contagi di quest’epidemia”. E questo sarebbe un sacrificio? Stare a casa? Casa, ovvero quel posto dove nessuno mi vede a parte i miei genitori? Questa è una manna dal cielo, altro che sacrificio. Certo, una faccenda di questa portata ha quasi solo lati negativi; personalmente, però, non potevo chiedere di meglio.
Potermi nascondere in casa per mesi, pur continuando a studiare, e avvicinandomi ogni giorno di più alla mia nascita, è una delle cose migliori che mi potesse capitare. Prima della quarantena dovevo uscire di casa ogni giorno, esponendomi ad un pubblico di centinaia di persone (tra viaggiatori, controllori, passanti, compagni di corso, professori, etc.): stava diventando insostenibile.
Avrei voluto essere invisibile. Le giornate erano lunghissime e faticose; dovevo controllarmi costantemente per non lasciarmi scappare alcun vezzo femminile, dovevo camminare a gambe larghe ma non troppo, non dovevo ridere né parlare per non far sentire a nessuno la mia voce, non potevo mettermi certi vestiti perché avrebbero accentuato certe caratteristiche, e poi la maglietta va messa così e non cosà altrimenti si vede il binder, e se mi apro la zip della felpa poi si vede che non ho il petto piatto, e se cammino così si vede che la parte superiore della coscia è troppo larga per essere quella di un maschio, e se sorrido accentuo i miei lineamenti femminili, e i pantaloni vanno tirati su fino ad un certo punto e non oltre altrimenti è evidente che non ho il pisello, e se sto con il petto troppo ricurvo in avanti sembro ancora più basso, e se non cammino con le mani nelle tasche dei pantaloni le spalle sembrano più strette, e se mi tolgo la felpa mi si vedono le braccia senza peli e senza muscoli, e se starnutisco mi si sente un po’ la voce, e quando mi siedo non devo accavallare le gambe, e se questo, e se quello, eccetera.
Decine di piccole cose a cui pensare costantemente, unite alla paura che, specialmente nella zona della stazione, qualcuno mi mettesse le mani addosso perché non si capisce bene se sono un maschio o una femmina. Sì, era molto stressante. Francamente non so come ho fatto a frequentare tutte le lezioni del semestre scorso; nell’ultimo periodo avevo quasi sempre il battito cardiaco accelerato, e facevo fatica a prendere fiato anche se ero seduto. Mai più.
* Roberta Rosin è Psicoterapeuta Funzionale, socia ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere), docente-supervisore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Funzionale e presidente dell’Associazione Con-Te-stare, Sportello Attivo Transgender (ONIG), Autrice con Chiara Dalle Luche di “Sconvolti. Viaggio nella realtà transgender” (Alpes Italia, 2017, 110 pagine). TRANSIZIONI IN ARRIVO è il suo blog di riflessione sulla realtà transgender e l’identità di genere. Email: roberta@robertarosin.com