Transizioni. La difficoltà di chiamarci col nostro nuovo nome
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 6.4, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Sono passati tre anni da quando River ha un nuovo nome dopo il suo coming out come transgender, ma molti membri della sua famiglia ancora non lo usano. “Mia madre mi ha chiamato River per la prima volta un paio di mesi fa”, ma mio padre ancora non usa questo nome. Per il suo retroterra religioso…non ci riesce. Non mi chiamerà per nome – mi indicherà solo”.
Questo non è insolito per genitori cristiani che non sanno come rispondere, quando i figli fanno coming out come transgender. Se è stato insegnato loro che essere transgender è contro la volontà di Dio, possono sentirsi combattuti tra la loro fede e l’amore per i figli. In questi casi sia i genitori cristiani sia i figli transgender stanno combattendo la stessa lotta. Stanno combattendo per comprendere come onorare Dio ed amarsi l’un l’altro nello stesso tempo.
I genitori possono iniziare a usare il nome di nascita del figlio più spesso perché gli ricorda un tempo in cui lui era bambino e le cose erano meno complicate, ma questo può portare le persone transgender a sentirsi come se i genitori non li vedessero realmente o non si preoccupassero di loro come una persona in carne ed ossa. Altre volte i genitori possono usare il nome di nascita della persona transessuale per esprimere la propria disapprovazione, ma questo innesca solo una fuga che può provocare parole dure o addirittura la rottura dei rapporti.
Queste reazioni da parte dei genitori fanno sentire le persone transgender come se dovessero provocare fastidio per essere ascoltate e a volte non va meglio nemmeno con amici e fratelli. Quando ho chiesto a River come fosse andata con amici e famigliari mi ha detto:
“Sono in contatto con solo due degli amici che avevo prima della transizione e questo la dice lunga su quanto sia difficile accettare la cosa per le persone dei circoli cristiani in cui sono cresciuto. Ho dovuto trasformarmi in una persona spiacevole per un po’ per convincere la gente ad onorare il mio nome, quindi c’è stata parecchia tensione. Ho dovuto passare circa tre mesi irritandomi con le persone che si rifiutavano di usare il mio nome, ma a quel punto hanno capito che era importante e hanno iniziato ad onorarlo, cosa che ho apprezzato.”
Dopo questa lotta iniziale River riuscì a riunire un gruppo di nuovi amici più solidali che lo aiutarono a organizzare una sorta di funerale del suo nome di nascita. Si riunirono un fine settimana sulle rive del lago Michigan e ogni persona scrisse i propri ricordi del nome di nascita di River su pezzi di carta. Ogni ricordo fu letto ad alta voce e poi River li bruciò.
“Uno dei miei amici ha parlato della gioia che ha provato quando ha sentito il mio vecchio nome”, ricorda River. “Un altro ha scritto di quando mi ha incontrato per la prima volta. Un’altra persona ha scritto delle persone importanti nella sua vita col mio stesso nome di nascita. Ho avuto modo di ascoltare i ricordi e poi bruciarli, e posso scegliere di portarli con me, se voglio, ma non sono obbligato. È stata una cerimonia molto forte per me”.
Le persone transgender non possono realisticamente pensare che le persone inizino di colpo ad usare un nuovo nome e nuovi pronomi senza alcuna pratica, ma la cosa migliore che amici e famigliari possono fare per mostrare il loro sostegno, è fare uno sforzo comune. Certo sovente si sbaglierà specie all’inizio. Chiedi scusa in fretta e riprova la prossima volta. Come dice un vecchio proverbio, quando si tratta del dono di un nuovo nome, quello che conta è il pensiero.
Usare il nome scelto da una persona transgender piuttosto che il suo nome di nascita mostra rispetto per la persona oltre a dimostrare che credi sia chi dice di essere. Se una persona cisgender venisse a una riunione di lavoro e si presentasse come Evelyn Smith non ti gireresti e diresti: “Benvenuta Evie!” né saluteresti la nuova persona in chiesa, che porta un cartellino col nome Ted con “Piacere di vederti Edward! Ted è il diminutivo di Edward, vero?”.
L’uso del nome di nascita di una persona transgender – a meno che tu non abbia chiesto un permesso speciale in anticipo – può apparire nella migliore delle ipotesi inopportuno e nella peggiore dannoso o pericoloso, perché l’uso del nome di nascita potrebbe far apparire la persona transgender e metterla in pericolo.
River si sta attualmente preparando per l’ordinazione nella Comunità della Chiesa Metropolitana, una chiesa protestante fondata alla fine degli anni 60’ per includere le persone LGBTQ, ed è particolarmente interessata all’intreccio tra fede, identità transgender e malattia mentale.
Ho chiesto se etichette come “transgender” o “malattia mentale” fossero utili o offensive. Per rispondermi River ha raccontato di una sua recente esperienza quando fu ricoverato in ospedale per un problema di farmaci.
Dopo che gli era stato diagnosticato un disturbo bipolare, gli fu prescritto un farmaco che avrebbe dovuto aiutarlo a controllare le crisi maniacali e la depressione, ma nel giro di una settimana i farmaci avevano indotto uno stato maniacale a cui non riusciva a far fronte. River ha sorriso e poi ha spiegato: “Ho perso completamente il controllo e ho deciso all’improvviso che dovevo tingermi i capelli di blu, ma mentre mi recavo al negozio per comprare la tintura per capelli continuavo a pensare che avrei dovuto guidare su quel terrapieno di cemento”.
River tornò a casa sano e salvo ed era in procinto di tingersi i capelli quando un amico telefonò. “Ho risposto e, in qualche modo grazie a Dio, mi ha fatto restare al telefono finché non ho trovato qualcuno che mi potesse accompagnare in ospedale”.
Una volta in ospedale River dovette affrontare altri problemi. “Sono stato finalmente ricoverato verso mezzanotte e quando mi sono svegliato la mattina dopo, sono stato chiamato con un nome che non era il mio e con pronomi sbagliati. Mi è stato detto che così era scritto sulla mia patente e certificato di nascita e quello dovevano usare” (Gli ospedali e le cliniche non devono usare il nome e il genere indicati sui documenti legali, le migliori pratiche sanitarie raccomandano di annotare sempre sui moduli di ricovero l’identità di genere di una persona e il nome scelto).
“Ho dovuto combattere tre giorni e ogni volta che vedevo quel nome dovevo cancellarlo e sostituirlo. Non è stato un incontro divertente o felice. C’era una persona in ospedale che era brava a rispettarmi col mio nome, perché era queer e sposata con una persona transgender, quindi mi è stata utile aiutandomi ad istruire il personale e fare quel lavoro che io come paziente non potevo fare”. River fece un profondo sospiro e poi aggiunse: “Se non ci fosse stata lei non ce l’avrei fatta”.
Essendo una persona transgender che convive con una malattia mentale, River sa che le parole hanno un enorme potenziale di causare sia danni sia guarigione. Le persone possono scegliere di usare il nome di nascita di River causandogli frustrazione ed ansia oppure adottare il nome che River si è scelto dopo aver pregato, meditato a lungo e questo può portare ad un rapporto più forte e sicuro.
Allo stesso modo River ha sottolineato che etichette come “malato di mente” e persino “transgender” si possono usare positivamente o negativamente. Entrambe le etichette portano lo stigma sociale e con questi termini si può liquidare qualcuno come strano, non degno di rispetto, di cura, di amore. D’altra parte rivendicare un’etichetta può significare andare alla ricerca di persone simili e trovare i mezzi per condurre una vita sana e felice. In alcuni casi la lotta per un nome o un’etichetta diventa così emblematica da creare una comunità che prima non esisteva. Pensate a Giacobbe e al modo in cui ha accolto il nuovo nome Israele, che avrebbe significato una discendenza per migliaia di anni a venire.
La stessa lotta per un nome e per la sopravvivenza dura ancora oggi per molte persone transgender, come dice River:
C’è qualcosa di molto potente nel convivere con una malattia mentale e avere la mia esperienza di trans, perché entrambe le cose rendono estremamente difficile rimanere in vita. E c’è qualcosa di potente nell’affermarlo e nel dire: “Sì, questo fa parte di me e riesco a conviverci”. C’è potere nel nominarlo perché ti offre risorse a cui attingere. Ti offre comunità, diversi luoghi in cui cercare e trovare cose e ti dà la possibilità di onorare la tua esperienza in modi che ti danno la vita.
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