Trans. Vite, cammini e discriminazioni racchiuse in una parola
Riflessioni di Dea, una madre cristiana, sulla discussione tenutasi nel gruppo 2 dell’incontro-laboratorio online su “TRANSizioni. I cammini delle persone transgender e dei loro genitori” (28 marzo 2021)
Partiamo in dodici per il nostro viaggio nel mondo trans. Ci accompagna una donna trans ed anche una bambina di 11 anni. Sono qui – ci dice una giovane mamma – perché ho bisogno di capire di più per poter rispondere alle domande che mi fanno i miei figli.
Ed è la nostra amica trans a cominciare il suo racconto:
“Ho impiegato 60 anni per arrivare a vivere la mia identità. Quando ero giovane le cose erano ancora più difficili: l’unica possibilità che mi era data era quella di fuggire dalla mia famiglia e prostituirmi.
La testimonianza di Francesco (ndr un giovane ragazzo in transizione) mi ha commossa, mi sono riconosciuta in ciò che diceva, raccontava il disagio che tutt* noi transessuali proviamo.
Per tanti anni mi sono sforzato di fare quello che la società voleva da me: essere un maschio. Ma alla fine non ce l’ho fatta… Ero attratta da donne e questo mi ha ulteriormente confusa. Ho incontrato la mia compagna ed abbiamo cominciato la nostra vita insieme. Pensavo di poter vivere una vita normale, accanto alla persona che amavo. Ma quell’identità che non era la mia mi stava stretta, come una scarpa stretta, di cui alla fine ti devi liberare. L’identità di genere è scritta dentro di noi fin dalla nascita.
Lo sappiamo in modo istintivo, nonostante lo scherzo della natura di averci fatto nascere in un corpo sbagliato. E dopo la morte dei miei genitori sono dovuta uscire fuori, una spinta troppo forte per poter essere trattenuta, nonostante il rischio che vedevo: quello di mandare all’aria tutto, anche il mio legame con la donna che amavo. Non è successo. Sono stata fortunata, se non lo fossi stata, forse mi sarebbe toccato travestirmi, come chi lo fa per poter vivere di tanto in tanto il proprio sé e il giorno dopo si rimette giacca e cravatta e va in ufficio. O sarei stata in quel 50% di trans che pensano di uccidersi, o in quel 25% che prova a farlo.
Nella transizione tutto dipende anche dalla figura che ne viene fuori. Se è convincente va bene, altrimenti si diventa vittime di transfobia. E prima non lo sai. È stato un percorso lungo ma ora sono una persona serena, felice”.
E io, quell’amica che l’ho conosciuto quando era intrappolata nel corpo di un uomo, possono testimoniarlo: prima era un uomo triste, ora una donna felice.
In tutte le testimonianze che abbiamo ascoltato c’è sofferenza, ma c’è anche speranza ed un lieto fine. E parliamo delle occasioni in cui siamo venuti a contatto con persone trans.
Il primo approccio con questo mondo è stato quando ho incontrato un uomo vestito da donna, malfermo e impacciato sui suoi tacchi. Ho saputo poi che era un avvocato affermato, ad un certo punto aveva mollato tutto ed aveva cominciato a vestirsi da donna.
Solo più tardi però ho capito un po’ di più. Dopo il coming out di mio figlio, quando le porte della Chiesa si erano chiuse per noi, ho conosciuto Agedo e lì ho incontrato una mamma con una figlia trans. Un’altra mamma aveva adottato un bambino Rom. Anche lui non si sentiva un bambino. A nove anni, parlando con noi adulti, ci ha fatto una lezione su come ognuno/a abbia diritto ad essere quello che è. È stato allora che ho capito.
Per me invece il battesimo che mi ha fatto entrare in questo mondo è avvenuto nell’ambiente lavorativo. Una persona con cui lavoravo mi ha chiesto aiuto per gestire la sua transizione nel mondo del lavoro. Un po’ impacciata e senza strumenti, però l’ho fatto.
In poco tempo gli ho visto perdere tutti i capelli, ma acquistare in compenso senso dell’umorismo. Alleggerito da un peso troppo grande, ci raccontava, suscitando qualche risata, cose di per sé drammatiche: gli appostamenti in corridoio per andare in bagno, dopo essersi assicurato che non c’era nessuno dentro, i problemi per andare a votare e scegliere la fila uomini/donne in qui mettersi.
Per lui non c’era la fila giusta: il suo documento diceva di andare da una parte, il suo aspetto fisico dall’altra, e così per un bel po’ ha rinunciato al suo diritto al voto. Ci siamo incontrati di nuovo dopo il coming out di mio figlio. Si era sposato. Ha accettato volentieri il mio invito (a esserci), ma non ha più tanto voglia di parlare di questa storia.
Io che sono dentro il mondo LGBT raramente ho incontrato persone trans. Perché succede questo? Sono gruppi escludenti da cui le persone trans non si sentono accolte?
La natura è più complessa di come noi la vediamo. Non c’è solo il bianco e il nero, esistono infinite varietà di colore. Lo dobbiamo far capire a tutti. L’esperienza che come genitore di un ragazzo gay sto vivendo nei gruppi LGBT mi ha aiutato ad aprirmi e capire di più.
Viviamo in una società che non valorizza le differenze, neanche quelle al livello biologico. Dobbiamo affrontare le paure delle differenze. Non solo per lasciare ad ognuno/a la possibilità di vivere con serenità quello che è, ma anche perché gli altri non perdano qualcosa che altrove non troverebbero. Ciò che ci blocca e ci impedisce di cogliere il valore delle differenze, ci riguarda tutti/e: nessuno si salva da solo.
Se tutti/e fossimo liberi/e di esprimere le nostre identità potremmo scoprire mille modi diversi di essere uomini o donne.
Riflettiamo insieme sulle parole, perché anche quelle ci mancano per poterci esprimere correttamente. Qual è la differenza tra transgender e transessuale? Qualcuno dice che transgender è una persona che ha un’identità di genere diversa da quella che le viene attribuita alla nascita.
Transessuale è una persona transgender che si è sottoposta ad un intervento chirurgico. Ma la nostra amica trans ci dice altro. La parola transessuale non è corretta. Non si può cambiare sesso, noi cambiamo genere. Quella parola la vivo come una violenza.
Io non voglio essere definita in base al fatto di essermi sottoposta o no ad un intervento chirurgico. Quello che c’è tra le mie gambe è affar mio e della mia compagna, di nessun altro. Alla fine ci accordiamo sulla parola trans.
Ed altre parole sono vissute in modo negativo. La parola lesbica non contiene uno stigma, eppure una donna lesbica la vive male, ci sente sopra un carico di giudizio. Il padre di un ragazzo gay ci racconta che il figlio non poteva sentire la parola omosessuale, la associava ad una malattia. La parola frocio invece la dice, come per vaccinarsi, così che se altri gliela dicono non possano fargli troppo male.
Come fare a superare i pregiudizi?
Il primo passo importante per sconfiggere i pregiudizi è conoscere. Noi possiamo dare il nostro contributo, parlandone con tutti/e in tutte le situazioni, raccontando le nostre storie, testimoniando le nostre vite di persone LGBT o genitori di figli e figlie LGBT. Parlare con il cuore per arrivare ai cuori. E la scuola dovrebbe essere un veicolo importante, è lì che se ne dovrebbe parlare, ma è difficile arrivarci per la resistenza dei presidi, dei genitori, spesso cattolici, per l’impreparazione dei professori. La teoria del gender poi è stata un vero veicolo di transfobia.
E a proposito di scuola, ci racconta qualcosa l’unica che tra noi la frequenta come alunna, la nostra piccola compagna di viaggio di 11 anni, che si dice colpita da due cose nelle testimonianze che ha ascoltato: la paura e il coraggio.
In classe sua un’amica si è innamorata di un’altra ragazza. Il suo papà e la sua mamma le hanno detto che è presto per capire l’orientamento sessuale della sua amica, invece lei ne è certa, è lesbica: “Non vedo come possa sbagliarsi su una cosa come questa”!
Poi un altro episodio, sempre nella sua classe. Una bambina parlava negativamente con una sua amica del fatto che due uomini si baciassero. Ne è scaturito un episodio di bullismo: si è ritrovata sola, tutta la classe l’ha accusata di omofobia. È toccato alla nostra piccola amica difenderla.
Forse dietro quell’episodio di bullismo, c’era una richiesta di confronto sull’omofobia, che non è stata colta.
Ma un episodio di bullismo verso chi ha espresso un’opinione è una cosa molto diversa dal bullismo verso le persone LGBT. In questo caso è la persona ad essere colpita, non quello che pensa. Un’opinione si può cambiare, per una persona omosessuale o trans non c’è cambiamento possibile.
Per sconfiggere i pregiudizi e creare una società ed una chiesa più accoglienti è importante camminare insieme, far sì che si uniscano coloro che sono discriminati/e, le persone LGBT e le donne, che spesso sono vittime di violenza, escluse anche loro nella Chiesa cattolica dalla gestione del sacro da parte di uomini.
In questi anni c’è stato un grande cambiamento, lo si vede anche dai programmi che trasmettono in televisione, parlando di argomenti di cui fino a qualche anno fa era proibito parlare. Il cammino è ancora lungo e dipende da tanti fattori, dai partiti che stanno al governo e anche dal papa che c’è.
La mamma di un ragazzo gay ci racconta di sacerdoti che, alla richiesta di genitori di figli e figlie LGBT di incontrare altri genitori per portare le loro testimonianze, hanno risposto che la comunità non era pronta. A smentirli un gruppo di genitori che hanno chiesto un incontro per poter capire di più di queste tematiche.
Per cambiare la Chiesa bisogna puntare a cambiare la gerarchia o bisogna lavorare nelle e con le realtà di base per costruire e rafforzare la Chiesa di base?
Il cambiamento si propaga dall’alto in basso o dal basso verso l’alto, smantellando il sistema di potere su cui la Chiesa gerarchica si poggia?
Le altre testimonianze su> I cammini delle persone transgender e dei loro genitori
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