Tutta un’altra storia. Il cammino dei cristiani lgbt in Italia
Dialogo di Katya Parente con Matteo Mennini
Nostro gradito ospite di oggi è Matteo Mennini. Da sempre interessato alla storia del cristianesimo, oltre ad aver scritto vari articoli sul tema, ha pubblicato nel 2017 il volume “La Chiesa dei poveri. Dal Concilio Vaticano II a papa Francesco” (Guerini e Associati). Attualmente, si sta occupando della storia dei cristiani LGBT italiani che analizzerà in un nuovo libro che sta prendendo forma proprio in questo periodo.
Stai scrivendo un saggio sulla storia dei cristiani LGBT italiani. Come ti stai documentando e a che punto è la stesura?
Il progetto di un saggio storico sui cristiani LGBT in Italia nasce oltre un anno fa nell’ambito di una serie di studi che stavo conducendo sulla “religious diversity” nel cristianesimo contemporaneo, a partire dalle esperienze del dissenso tra anni sessanta e settanta. È in questo contesto che mi sono imbattuto nelle vicende dei primi gruppi di cristiani LGBT negli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Belgio: incuriosito dal tema, mi informai circa la realtà italiana e rimasi colpito dal “ritardo” con cui si sviluppò il percorso dei primi gruppi rispetto ad altri paesi.
Con questo interrogativo “in tasca”, sono partito. Ho iniziato a effettuare le prime ricerche nell’archivio del Centro Studi Ferruccio Castellano e nel frattempo mi sono documentato sugli studi in ambito sociologico, dove il tema era stato affrontato da diversi anni e con differenti approcci. Ho presentato i primi risultati della mia ricerca, focalizzati sulle dinamiche che portarono alla nascita delle prime esperienze a fine anni Settanta, in un seminario internazionale di studi storici, promosso a gennaio 2020 dal Dipartimento Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, dalla Facultad de Historia, Geografía y Ciencia Política della Pontificia Universidad Católica de Chile e la Facultad de Filosofía y Humanidades della Universidad de Chile.
Il seminario analizzava in chiave diacronica le pratiche di accoglienza e le esperienze di emarginazione religiosa in Europa e nell’America spagnola: la mia relazione si basava sulla corrispondenza e sulla documentazione interna ai primi gruppi e ai primi campi Agape a Prali. Mettevo in luce la compresenza di due differenti modalità di interpretare e strutturare l’esperienza dei credenti omosessuali: da un lato, la ricerca di spazi inclusivi, di accoglienza e protezione dell’anonimato, in cui, soprattutto a seguito del viaggio apostolico di Giovanni Paolo II negli Stati Uniti nel 1979 durante il quale per la prima volta un pontefice rivolgeva parole molto dure nei confronti degli omosessuali, la categoria di “emarginazione” serviva a rappresentare quella condizione di credenti; per un altro verso, però, maturava la consapevolezza che i cristiani LGBT fossero un dono per le loro chiese e che dunque non l’anonimato, ma la visibilità e la ricerca teologica costituivano la “vocazione” e la strada da intraprendere.
A partire da queste considerazioni ho iniziato poi a organizzare il lavoro e a raccogliere materiale, con la partecipazione di molte e molti cristiani LGBT che ho incontrato e che hanno messo in condivisione la propria documentazione raccolta negli anni. Uno degli obiettivi del progetto che l’Associazione Cammini di Speranza ha presentato alla Tavola Valdese è proprio quello di conservare questa memoria, rendendo disponibili i documenti più significativi. Siamo in attesa di formalizzare alcuni atti, poi il lavoro andrà più spedito. Spero che il testo del volume sarà pronto per il prossimo autunno.
Perché un lavoro del genere?
Penso che un lavoro sulla storia dei cristiani LGBT in Italia sia necessario per tre motivi. Innanzitutto perché abbiamo bisogno che gli studi di storia del cristianesimo diano il loro contributo specifico alla questione del rapporto fede-omosessualità. Va da sé che il problema è stato affrontato, innanzitutto, in campo teologico e pastorale, ma colpisce, almeno per l’Italia, la sproporzione rispetto agli studi sociologici e storici.
Se qualche tentativo è stato fatto in ambito antropologico, l’approccio alla storia dei cristiani LGBT è stato finora appannaggio di una memorialistica interna agli stessi gruppi, senza però passare al vaglio dell’officina dello storico, dove quelle vicende vengono osservate in uno spettro di rapporti e congiunzioni più ampio e acquistano un significato che va ben al di là della propria autoreferenziale rappresentazione. È maturo il tempo per considerare queste vicende come “storia” e non solo come una memoria interna ad un movimento.
Il secondo motivo che mi pare importante sottolineare è che questi omosessuali credenti e i gruppi da loro formati appartengono di diritto ai cosiddetti “cristiani d’Italia”, per usare un’espressione che ha avuto fortuna dopo il 150° dell’unità d’Italia e che ha dato il titolo ad un prestigioso progetto di ricerca della Treccani.
Ha scritto Alberto Melloni che la storia dei “cristiani d’Italia” è la storia di “generazioni per le quali il cristianesimo non è il magistero o le riviste che propalano il magistero né l’eccitazione di quelle che lo impugnano: ma vita vissuta, pratica liturgica, sudditanza inconsapevole alle mode e alle utopie, calate dentro una esperienza in continua metamorfosi” (A. Melloni, Tutto e niente. I cristiani d’Italia alla prova della storia, Editori Laterza, Bari 2013, p. 89). Sono convinto che i cristiani LGBT siano una di queste generazioni, credo che la loro storia non sia un oggetto da microscopio, ma che si connetta con questioni di lungo periodo nella storia del cristianesimo italiano.
Il terzo motivo riguarda, invece, la necessità di riscoprire lo specifico apporto che questi credenti e questi gruppi hanno dato al movimento di liberazione omosessuale in Italia: un rapporto spesso dialettico e non privo di frizioni e conflitti, ma certamente il contributo che i gruppi di cristiani omosessuali hanno dato al movimento è sotto gli occhi di tutti, basti pensare alla centralità che in alcune città italiane attualmente essi assumono nel portarne avanti le istanze.
Il tuo è un lavoro finanziato dalla Chiesa valdese: sarà un’opera incentrata sulla sua storia o avrà un respiro più ampio?
La chiesa valdese ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo storico dei gruppi di cristiani LGBT, fin dalla prima ora. Non dimentichiamoci che Ferruccio Castellano, iniziatore di queste esperienze, era di Torre Pellice e la sua formazione cattolica era intrisa di ecumenismo; così come non va messa in secondo piano l’importanza ricoperta dai campi di Agape a Prali che, dal 1979, offrirono una “casa” a quel desiderio di confronto e di ricerca teologica che maturò fin dall’inizio.
Sarebbe però davvero parziale e poco utile ad una comprensione organica del fenomeno, limitare la ricerca alla chiesa valdese. È fuor di dubbio che i primi gruppi presero vita in ambito cattolico, dove le posizioni del magistero generavano sconcerto, mentre alcuni sacerdoti – in particolare Franco Barbero, Luigi Ciotti, Domenico Pezzini – accompagnarono le nascenti esperienze, seppur con diverse sensibilità e differenti stili pastorali.
Anche in altre Chiese riformate la presenza di credenti omosessuali suscitò inevitabilmente un dibattito, in alcuni casi polarizzando in modo drammatico le posizioni: è il caso, ad esempio, del coming out di un giovane nella Chiesa battista di Cagliari a inizio anni Ottanta che innescò una serie di riflessioni che investirono buona parte del mondo protestante italiano provocando una dialettica interna che poi ha portato a significative “fughe in avanti” rispetto alla chiesa cattolica sul rapporto tra fede e omosessualità.
Una storia sui cristiani LGBT in Italia, dunque, deve avere un respiro ampio in cui non siano semplicemente messe in luce le divergenze, ma soprattutto la ricerca di percorsi comuni, di cui sono un esempio la REFO e la stessa Cammini di Speranza. A tal proposito, va detto che in una storia come quella dell’ecumenismo, fatta per lo più da negoziati istituzionali su dichiarazioni teologiche, quella dei cristiani LGBT, così come altre esperienze “dal basso”, rappresenta uno spazio vitale.
Da parte mia, spero che questo lavoro, grazie al contributo della Tavola valdese, contribuisca a dimostrare che l’ecumenismo non è solo un orizzonte dottrinale, ma è una dimensione vissuta in modo dinamico da molti cristiani nella contemporaneità, attraverso una ricerca teologica comunitaria scaturita dagli interrogativi posti dalle sfide provenienti dalle relazioni sociali e interpersonali.
Alcuni ritengono che un cristiano LGBT sia una contraddizione in termini. Cosa ci puoi dire a proposito?
Mi sembra che questa domanda sia una spina nel fianco per la teologia, soprattutto in riferimento al magistero cattolico: penso alla “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1986 in cui si coglie una forte polemica di fondo non tanto riguardo specifiche posizioni di teologi della morale, ma soprattutto verso una esegesi biblica che, a partire da un metodo ermeneutico storico-critico, aveva sottratto qualsiasi valida ragione argomentabile a chi faceva appello a singoli versetti o brani delle sacre scritture per giustificare la condanna degli atti omosessuali.
Affermare che c’è contraddizione tra l’essere omosessuale e l’essere cristiano è innanzitutto un problema di ermeneutica biblica e la distanza che oggi si registra tra le chiese riformate storiche e quella cattolica sul rapporto fede-omosessualità, così come su altri temi, è indice di questa profonda divergenza nella esegesi biblica e nel peso che le scritture stesse hanno nella vita delle comunità cristiane.
Mi domando – ed è davvero una domanda aperta, un motivo di ricerca e non un giudizio – fino a che punto certe esperienze pastorali in campo cattolico a favore dei credenti omosessuali siano consapevoli dei rischi che comporta una non adeguata considerazione del dato biblico.
Dal punto di vista delle scienze sociali, ovviamente, non è il piano dottrinale che viene analizzato, ma l’esperienza religiosa: l’apparente “contraddizione” tra le due identità è stata il punto di partenza di molte ricerche sociologiche che hanno finito per mettere in luce come in molti cristiani LGBT vi sia la convinzione che il proprio orientamento sessuale non sia un “peccato” da emendare, ma un dono di Dio.
La storia dei gruppi di cristiani LGBT in Italia è il “documento” più attendibile della ricerca, non solo di spazi accoglienti e pastoralmente adeguati a supportare il vissuto spesso faticoso del credente omosessuale, ma di una ragione storica e teologica per “dire” la ricchezza di quella esperienza religiosa malgrado le insufficienze di certi impianti dottrinali e nel contesto italiano, dove la prevenzione della violenza omofobica ha ancora molta strada da fare.
Ringraziamo Matteo per la disponibilità. Se il movimento LGBT cristiano del nostro Paese merita addirittura un libro che ne narri le vicende, significa che è una realtà non solo antropologica ma anche fattuale. Ed è una realtà di cui, volenti o nolenti, bisogna tenere conto. Qualcosa che non si può più ignorare – pena l’anacronismo.
Forse, questa “minoranza nella minoranza”, dopo il suo sdoganamento a livello storico, avrà una dignità maggiore anche a livello ecclesiale. Ce lo auguriamo davvero. Magari ora i cristiani LGBT saranno come quel proverbiale elefante in salotto che, non più ignorato, sarà finalmente accettato nella sua concretezza.