Tutti figli di Dio. Parroco nega la comunione al figlio gay. Ma siamo sicuri?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Domenica sera sono andato a messa con un amico nell’unica chiesa della mia città dove c’è una funzione dopo cena. Combinazione: è la più omofoba di tutte. Fino a non molto tempo fa c’era un vice-parroco amico delle sentinelle in piedi. Oggi ci sono i ragazzi che ha tirato su. Difficile discuterci. Bene: io, che parlo parlo, ero vestito normalmente. Il mio amico aveva una mascherina rainbow. Una provocazione? Sì. Se presentarsi al Signore con tutto se stesso è una provocazione, quella del mio amico lo era.
Siamo entrati, ci siamo seduti, abbiamo pregato, cantato, fatto la comunione e tutto il resto. Qualcuno ha storto il naso? Sì. Qualcuno è intervenuto? No. Non sono più i tempi, nemmeno nella più omofoba delle chiese della mia città, per permettersi di litigare per una mascherina rainbow.
Arrivato a casa, ho letto uno strano titolo di giornale: un altro vice-parroco, a Mestre, avrebbe negato la Comunione a un ragazzo di sedici anni perché è dichiaratamente gay. Ma siamo impazziti?! Ho aperto il link a quell’articolo e l’ho letto attentamente. Diceva così:
“Dopo lo shock per la Comunione rifiutata al figlio gay, la famiglia, profondamente cattolica, fu costretta a scegliere: sostenere il giovane Francesco oppure allontanarsi dalla parrocchia. “Non avemmo dubbi: ci allontanammo dalla Chiesa”, racconta il padre Roberto di Mestre, ricordando l’episodio avvenuto più di 20 anni fa .
Tiro un respiro di sollievo ma, per essere proprio sicuro, cerco altre occorrenze sull’argomento. Ne trovo, per esempio, su MInformo, su GDVveneto e su Neg.zione, un media lgbt. La notizia è sempre la stessa: si riferisce a un fatto di vent’anni fa. In una parrocchia veneta, negli anni ’90, un ragazzo era stato privato della Comunione. La cosa era avvenuta nel peggiore dei modi, platealmente, solo perché lui aveva avuto i coraggio di dichiarare il proprio orientamento omosessuale.
Il fatto è vecchio ma c’è un motivo per cui continua ad avere rilevanza: ora, cambiato il clima, mutati i presupposti, i genitori dell’allora giovane Francesco hanno fondato un gruppo di sostegno alle persone allontanate dalla Chiesa perché omosessuali. Si chiama “SiamoTutti Figli di Dio“, ed è una bella cosa. Ne parleremo presto più approfonditamente.
In realtà mi rincresce un pochettino. Ero già pronto a organizzare un putiferio contro quel prete, contro tutti i preti di Mestre, contro Mestre tutta. Cosa difficile perché i putiferi, in tempo di lockdown, non vengono bene. Non si notano. Tutt’al più arriva la Meloni di turno a strillare: “ma con tutte le emergenze che ci sono, adesso la lobby gay se la prende con un prete?“. E l’altro le tiene bordone: “gli italiani chiedono la cassa integrazione, il bonus, i bar aperti, il panettone, il mohito, i miei selfie con le infermiere, i marziani col vaccino… e la lobby gay pianta un putiferio?”. Meglio limitarsi ad entrare in chiesa con la mascherina rainbow.
Intanto, alcuni miei amici cari, un po’ talebani della laicità, ci erano già cascati e si rimpallavano su facebook la mezza bufala, condendola con commenti che avrei senz’altro condiviso se fosse stata vera: “questo capita nella Chiesa di papa Francesco!“.
Il problema è che “nella Chiesa di papa Francesco“, queste cose, non capitano più. Ne capitano altre, per carità. Per esempio, capita che un tale proclami per radio che il coronavirus è frutto di un complotto anticristiano dietro il quale c’è satana. E quel tale è un prete della Chiesa di papa Francesco. Dunque, se nessuno lo ferma, vuol dire che, nella Chiesa di papa Francesco, c’è posto anche per squinternati come lui. E a me non va bene. Cioè: non è che lui non debba avere un posto. Il problema è che, da quel posto, non si possono sparare minchionate di quel calibro.
Torniamo a noi. I ricordi di fatti incresciosissimi come quello di Mestre sono ancora vivi. Anche a me capitò, a inizio secolo, con un giovane pretino intonacato di fresco che era accidentalmente passato per la mia parrocchia. Poco dopo fu nominato parroco in un paesino di duemila anime distribuite in varie decine di borgate: la più bassa in pianura; la più alta a 1800 metri. Sono i casi della vita.
Grazie a Dio – a un po’ anche a noi stessi – oggi, i presupposti per un tale abuso canonico – perché di abuso si tratta, oltre che di palese atto di omofobia – non ci sono più. Anche il parroco più retrogrado capisce che questi scherzi non si fanno. Magari rosica ma non si permette perché sa che le persone che ha davanti sono mature. Conoscono i loro diritti – anche quelli canonici – e sono organizzati in modo da esercitarli (per esempio attraverso gruppi come il neonato “Siamo tutti figli di Dio”).
E’ così che va letta questa notizia: i tempi stanno cambiando, in cielo, silenzioso e gentile, si sta formando l’arcobaleno. Le persone omosessuali credenti e i loro genitori non si fanno più prendere per il naso, creano gruppi, lottano contro ogni forma di omofobia.