“Tutti i passi che mi hanno portato qui”. L’incontro di un ragazzo gay col Papa
Testimonianza di Luigi Testa* del suo incontro con papa Francesco
«Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora». Mi è venuto in mente questo, mentre aspettavo insieme agli altri che il Papa arrivasse nell’aula dell’udienza.
Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi avevano portato lì, a quel momento. C’era il Luigi di tredici anni che guardava in tv le immagini della enorme veglia della GMG a Tor Vergata, nel 2000, e avrebbe voluto essere lui quel ragazzo che era riuscito a salire sul grande palco per mettersi a piangere sulla ginocchia del papa, tra le sue carezze. C’era il Luigi bambino e adolescente che ha scritto chissà quante lettere per chiedere di poter incontrare il papa, prima Giovanni Paolo II, poi Benedetto – e sembrava impossibile: sempre risposte delicate, eleganti, piene di convenevoli, ma sempre poco altro di un «ci dispiace».
Tutti i passi che ho fatto nella mia vita. C’erano tutte le persone che, da bambino, poi da ragazzino, e poi da adulto, mi avevano accompagnato nella fede, prima ispirandomi, poi guidandomi. C’era il vescovo della mia infanzia e adolescenza: è morto il giorno in cui, a diciannove anni, salivo a Milano per iniziare l’Università – un passaggio di consegne. Ricordo che a casa sua, in cucina, aveva una foto di lui, appena vescovo, con Giovanni Paolo II, giovanissimo. Lui aveva il suo sorriso francescano un po’ sornione, e degli occhiali da sole assai vintage che a me facevano sorridere. Ogni volta che la guardavo, mi veniva un po’ di invidia.
Tutti i passi che aveva fatto nella sua vita, avevano portato lì, oggi, il ragazzo che guardava quella foto nella cucina del suo vescovo. Anche tutti i passi sui cammini tortuosi, faticosi, affannati, sconnessi, della consapevolezza di sé, prima, e dell’accettazione di sé, dopo. Ad aspettare il papa, ero lì con in mano una copia della “Via crucis di un ragazzo gay”, e questo il Luigi bambino e ragazzo non l’avrebbe mai, neanche lontanamente, immaginato. Il Signore, alla fine, mantiene le sue promesse – ma per percorsi suoi, che noi forse non avremmo mai pensato.
E perciò, ad aspettare il papa, non c’ero solo io, ma c’era una cordata di persone, di incontri, di affetti, di cuori, di volti, che, nei passi che ho fatto nella mia vita, mi si sono attaccati al cuore. C’era il primo ragazzo che ho baciato e il primo ragazzo con cui ho fatto l’amore. C’erano tanti amici. C’erano – in un posto speciale – le persone del Guado, i Giovani del Guado, e tutte le persone incontrate nella rete dei cristiani LGBT+: sono stati anche i loro passi, coraggiosi, forti, belli, ad avermi portato lì.
E naturalmente c’erano i passi più recenti, quelli fatti ed incrociati da quando, poco meno di un anno fa, don Sergio – pure lui era lì, a molti titoli – mi ha proposto la pazzia di pubblicare la Via crucis che stavo per mettere nelle mani del papa. C’era la persona di cui ero innamorato mentre quella Via crucis la scrivevo, e a cui quella “Via crucis” è anche dedicata, «perché si senta amato così». C’era la persona nei cui occhi mi perdevo mentre quella Via crucis usciva e cominciava a prendere le sue strade. Forse è loro due che avrei voluto avere fisicamente accanto, mentre incontravo il papa; e sono contento di aver avuto il coraggio di chiedergli di pregare «per i ragazzi cui ho voluto bene».
Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora, a parlargli da vicino – e mentre gli parlavo, mi sono accorto che gli tenevo una mano a stringergli il braccio. «Grazie per tutto quello che sta facendo per le persone omosessuali nella Chiesa»; «Abbiamo bisogno di sentire la Chiesa come alleata della nostra felicità». E da parte sua un ascolto attento, senza fretta – nonostante le altre persone da incontrare e salutare. Uno sguardo di incoraggiamento e di tenerezza, come le sue parole: «Non c’è nessuna vergogna». «C’è tanto lavoro da fare». «La Chiesa è madre; è il clericalismo che la rende matrigna». Mentre altre parole, sue e mie, forse è bello che restino solo nostre.
Per smaltire l’emozione e mettere in ordine i pensieri, dopo l’udienza – e dopo un grande abbraccio a don Andrea, con un grande ‘grazie’ – sono entrato in Basilica, e, seguendo un po’ il percorso che le mie piccole devozioni mi fanno fare ogni volta lì dentro, sono sceso nella cripta delle tombe dei papi. E lì mi è tornata di nuovo alla mente quella parola – «Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora» –, ma questa volta era la Chiesa a dirlo. Tutti i passi che ha compiuto nella sua lunga vita l’hanno portata qui, ora, ad un papa che riceve tra le mani un libro che si intitola Via crucis di un ragazzo gay e che mi dice «Non c’è nessuna vergogna».
Paolo VI, Giovanni Paolo I, Benedetto XVI, Pio XII – tutti i passi. Con le loro deviazioni, con le loro incertezze, sui suoi sentieri incerti, forse intermittenti, lenti, faticosi, affaticati, su sentieri disconnessi, non senza ostacoli da dentro e da fuori – «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?», si chiedeva Eliot; forse tutti e due – ma tutti i passi. Non solo a me il Signore ha condotto – qui ed oggi, per sentieri suoi – ad un approdo che solo qualche anno fa non avrei mai immaginato. Succede così anche per la Chiesa.
C’è solo da avere fiducia in Lui e nella sua promessa. La realizzerà, sicuramente anche per il nostro impegno, ma con i suoi percorsi, con i suoi modi – che forse noi oggi non immaginiamo –, con i suoi tempi.
«C’è un tempo per tutti gli esseri. Ma questo tempo non è uguale per tutti. Il tempo delle cose non è il tempo degli animali, e quello degli animali non è il tempo degli umani. E al di sopra di tutto e ben diverso da tutto c’è il tempo di Dio che tutti li riassume e li supera. Il cuore di Dio non batte secondo il ritmo del cuore nostro»: lo dice Chiara d’Assisi ad un Francesco spaventato dai disastri dei suoi figli, in La sapienza di un povero, di Éloi Leclerc, che era uno dei libri che amava di più quel vescovo di quand’ero ragazzino, con la foto insieme al Papa in cucina.
*Luigi Testa è autore di testi a carattere giuridico e scrive su alcuni quotidiani nazionali. “Via crucis di un ragazzo gay” (Castelvecchi, 2024) è il suo primo libro di natura spirituale, altre sue riflessioni sono pubblicate anche su Gionata.org