Tutto cominciò da quella lettera con cui mio figlio mi disse: “sono gay”
Riflessioni di Anna Battaglia, una madre del Punto d’ascolto Agedo e de La Tenda di Gionata di Ragusa
Tutto cominciò da quella lettera. Sollevai gli occhi dal foglio che stringevo tra le mani e incontrai quelli di mio figlio, occhi sgranati, interrogativi che aspettavano la “sentenza”.
“Voglio essere felice” queste parole scritte nella lettera generarono i miei gesti: lo abbracciai stringendolo al mio cuore e gli dissi “Tu per me sei stato un dono di Dio e sempre lo sarai, ti auguro di essere felice e di incontrare l’amore”. Come poi mi disse anni dopo in occasione di un’intervista per la tesi che stava scrivendo “Mamma da quel momento io ho saputo che non sarei mai stato più solo.”
Cominciò così un cammino, quello che io ho vissuto come una conversione, un disimparare per imparare con occhi nuovi. Scardinai i pregiudizi che a mia insaputa mi abitavano. Chi meglio di mio figlio poteva dirmi della realtà delle persone dal differente orientamento affettivo. Quale orizzonte si apriva davanti a me e quale possibilità mi veniva data per migliorarmi!
Così mi avvicinai ad Agedo Roma, cominciai a divorare quanto era possibile leggere sull’argomento; c’era la libreria Babele, specializzata su argomenti LGBTI+ a Roma, agli inizi degli anni duemila era difficile reperire libri sull’argomento nelle librerie di provincia, tra l’altro bisognava anche vincere la ritrosia a prenotarli senza destare l’interesse pettegolo del libraio, così tornavo a Ragusa con un nutrito numero di libri nella mia valigia.
Ogni viaggio a Roma, quando andavo a trovare mio figlio, studente universitario alla Sapienza, mi serviva a confrontarmi con altri genitori, con gli amici di mio figlio, partecipavo a qualche incontro nelle scuole, organizzato dai volontari di Agedo.
Quella che mi guidava era la “verità” di mio figlio, nessun dubbio su quanto mi aveva rivelato, mi stava chiedendo aiuto per essere accompagnato nello svelare al mondo chi era, un nuovo nascere di fronte alla società ed io dovevo ripartorirlo, lui usciva dall’armadio, non potevo entrarci io o farci restare lui.
Il silenzio in cui era stato costretto per tutti quegli anni – ne aveva venti di anni, quando riuscì a confessarmelo – e che lo asfissiava doveva essere rotto, così anche per me divenne un imperativo sfaldare il silenzio e cominciai il mio impegno nel sociale: creai un Punto ascolto di Agedo a Ragusa, a darmi la spinta Amalia Giardina, mamma di Agedo Catania con la sua carica di vitale impegno.
Cosa mi creò invece, in questo cammino di scoperta, le maggiori difficoltà? Il mio essere credente.
Quando tornai da Roma con quella novità nella mente e nel cuore le mie aspettative nei riguardi della Chiesa di Roma andarono deluse. Mio figlio mi aveva donato la sua verità, regalo immenso che mi aveva permesso di farlo venire alla luce, togliendolo dal buio dell’invisibilità per dare vigore alla sua vita ugualmente degna della felicità che spetta ad ogni persona, così come io permettevo a mio figlio di essere sé stesso, anche la Chiesa di Roma detentrice del messaggio d’amore per eccellenza avrebbe dovuto concederglielo, questo pensavo. Invece terribili parole di chiusura mi furono dette dal sacerdote che lo conosceva sin da piccolino e non fu il solo.
Mio figlio era “sbagliato”, poteva continuare ad essere amato solo se soffocava il suo essere sé stesso e nel silenzio di tutta la famiglia vivesse la sua croce. Di nuovo il silenzio mi veniva gentilmente imposto. Non ho potuto accettarlo.
Quale dei ministri del Dio Vivente gli avrebbe continuato a rivelare l’amore incondizionato del Padre? Restavo solo io la testimone di questo amore per lui, ma mio figlio scelse di essere agnostico per salvaguardarsi da questa mancata accoglienza, gli studi di tutti i documenti ecclesiali ufficiali approfonditi per la sua tesi di laurea in Antropologia culturale furono la sua corona di spine e si allontanò.
Io ho vissuto giorni, mesi, anni dibattuta in questo contrasto insanabile tra il messaggio e il suo viverlo, tra il Dio Pensato e il Dio Vissuto. Capii che dovevo cercare al di fuori della Chiesa di Roma, incontrai don Franco Barbero, cominciai a cercare i cammini delle Comunità di base, di credenti ai margini, resi la mia fede adulta, trovai la consapevolezza che come battezzata ero popolo di Dio, imparai a poco a poco che di questa Chiesa continuavo a farne parte, sì perché come madre di una persona omosessuale anch’io mi sentivo messa fuori, invece potevo essere il cambiamento, un piccolo seme nella comunità dei credenti che potevo contribuire ad attuare questo cambiamento, dovevo solo trovare il terreno fertile dove seminare la mia speranza delusa.
Venni a conoscenza dei Forum Cristiani Lgbt che a livello nazionale raggruppavano i figli e i genitori credenti, ma anche preti e operatori pastorali, scoprii che c’era una chiesa cattolica in cammino, decisi di partecipare al V Forum nel 2018 ad Albano Laziale per conoscere da vicino questa realtà.
In quell’occasione conobbi i volontari de La Tenda di Gionata, il sogno di un prete, don Davide Esposito, un curato di montagna, come si definiva lui, che, dal suo letto di malato terminale, continuava a sognare una Chiesa immersa nel nostro tempo, capace di vera accoglienza e che aveva capito che bisognava fare qualcosa per le persone LGBTI: costruire un ponte a due vie, fatto di dialogo e ascolto reciproco.
Avevo trovato il terreno dove seminare la mia speranza.