Uganda, a morte gli omosessuali. Ma la Chiesa li difende
Articolo di Giovanni Panettiere tratto da Quotidiano.net del 15 dicembre 2012
Pochi lo sanno, ma presto in Uganda l’omosessualità potrebbe essere punita con la pena di morte. Dipenderà dall’approvazione del The kill gay bill, il disegno di legge che il Parlamento si appresta a licenziare nei prossimi giorni. Già bocciato lo scorso anno, grazie a una massiccia mobilitazione via web, il provvedimento inasprisce le pene per i rapporti fra persone dello stesso sesso in uno dei trenta paesi al mondo in cui l’omosessualità è considerata ancora un reato.
Per chi pratica atti omosessuali il ddl prevede la reclusione, nei casi più gravi l’ergastolo. Ma, se a commettere il reato è un sieropositivo o il partner è un minorenne, il legislatore commina la pena di morte. Giro di vite anche sulle convivenze omosex: si rischiano fino a quattordici anni dietro le sbarre.
MENTRE la macchina dei movimenti omosessuali lavora a pieno ritmo, internet in testa, per scongiurare ancora una volta il varo del provvedimento, una delle promotrici del disegno di legge giovedì ha avuto l’onore di essere ricevuta da papa Benedetto XVI. Parliamo di Rebecca Kadaga, la portavoce del Parlamento ugandese, la stessa che ha presentato il ddl come “un regalo di Natale” per tutti gli anti-gay del suo paese.
Non sappiamo se la proposta di legge sia stata al centro del colloquio. Difficile dirlo. Il destino, però, ha voluto che, proprio il giorno dopo l’incontro, la Sala stampa vaticana abbia diffuso il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace, che, con un accostamento del tutto inusuale, considera i matrimoni omosessuali come una vera e propria minaccia per la pace stessa. Inevitabile il clamore mediatico, prevedibile e senz’altro messo in conto anche dal Palazzo apostolico.
LA CONCOMITANZA fra i due avvenimenti, l’udienza della Kadaga e la pubblicazione del messaggio pontificio, desta una certa impressione. Ma da qui a interpretare l’impegno del papa e della Chiesa, legittimo e allo stesso tempo opinabile, a difesa della legge naturale e contro il relativismo come un sostegno a una normativa omofoba e odiosa come quella dell’Uganda non solo è vergognoso, è del tutto infondato.
Lo dimostra l’opposizione netta dei vescovi ugandesi contro il ddl. In una nota della locale Conferenza episcopale, vergata un paio di anni fa in occasione del primo tentativo di fare approvare il provvedimento, si legge: “Apprezziamo lo sforzo del governo di proteggere la famiglia tradizionale e i suoi valori. L’insegnamento della Chiesa resta fermo sul fatto che gli atti omosessuali siano immorali e violino la legge naturale e quella divina. Ma la Chiesa insegna anche il messaggio cristiano di rispetto, compassione e sensibilità. Le persone omosessuali hanno bisogno di aiuto, comprensione e amore come tutti coloro che si sforzano di diventare membri del Regno di Dio”.
E sulla normativa specifica i vescovi, rifacendosi al Vangelo, affermano: “L’uccisione non può essere presa a modello di un approccio cristiano alla questione. L’introduzione della pena di morte e dell’imprigionamento per atti omosessuali colpisce le persone invece di cercare di aiutarle”.
IN POCHI in queste ore hanno ricordato queste parole. Eppure non si possono omettere, salvo che non si voglia alimentare un’informazione approssimativa e partigiana. Ma questa è un’altra storia, la solita.