Un altro sguardo sull’omosessualità. Un rabbino racconta la sua esperienza
Testimonianza del rabbino Harold Schulweis*, traduzione di Roberto Pavan
I Maestri dell’Era Talmudica dichiaravano che due scapoli potessero dormire sotto la stessa coltre poiché gli ebrei non sono sospettati di omosessualità. (Kiddushin 82/a). Forse che questi Maestri abbiano trattato l’omosessualità come un tempo noi [ebrei, n.d.T.] trattavamo la droga, l’alcolismo, gli abusi familiari, dichiarando che quelli “non erano problemi dell’ebraismo”? (…)
Molti anni fa la questione dell’omosessualità era per me di interesse puramente teorico. Sapevo che esistevano gli omosessuali ma personalmente non ne conoscevo neanche uno. Ovunque essi fossero, erano ben nascosti, fuori dalla vista e dal pensiero.
In questi ultimi anni, hanno perso il loro anonimato. Si sono rivolte a me persone in carne ed ossa, visibili ed udibili con volti, occhi, labbra. Sono usciti dalla disperazione delle loro vite appartate per rivelare loro stessi. Perché si sono rivolti a me? Io non sono un loro genitore. Ma i genitori sono le ultime persone con cui parlerebbero. Provano troppa vergogna e hanno paura.
Si sono rivolti a me perché sono un rabbino e perché rappresento l’etica e la legge ebraica.
Sono venuti da me perché qualcuno di loro mi ha sentito parlare di Dio, amore, compassione e giustizia, durante le mie lezioni o dal pulpito. Mi hanno sentito insegnare che il principio base del Giudaismo è il nostro credo che Dio ci ha creati nella Sua immagine divina.
Loro non si sentono affatto creati ad immagine di Dio. L’esatto opposto, credono che nessuno li consideri umani, normali, o riconosca la loro individualità. (…)
Sono venuti a trovarmi perché io sono un rabbino e loro sono ebrei. Ogni Yom Kippur ascoltano la stessa parte della Torah che santifica l’omofobia. È cantata al pomeriggio di Yom Kippur quando qualcuno risente dei mal di testa e dei disagi provocati dal giorno di digiuno.
Ma questo giovane uomo che in maniera ironica legge la Torah ha più di un’emicrania, e non per il digiuno.
È scritto: “E con un maschio non devi unirti come con una donna: è cosa abbominevole. Saranno fatti morire. Il loro sangue ricadrà su di loro.” È un crimine capitale punibile con la lapidazione – sekilah. (Levitico 18:22 e Levitico 20:13). Per questo giovane lettore, questa aliyah [salire a leggere la Torah – n.d.T.] non è una elevazione. Ma una disperazione.
Cosa vogliono da me? L’assoluzione? Una sicurezza? Protezione? Una voce ebraica? Cosa stabilisce la legge? Cosa dice l’ebraismo? Sono davanti non solo ad un testo di pochi versi ma ad esseri umani che conosco, insieme alle loro famiglie. Cerco la legge tra gli occhi delle persone che ho di fronte. Senza di loro, sarebbe molto più semplice giudicare. Ma il Talmud dice: “Devi giudicare in accordo con ciò che vedi con i tuoi occhi.” (Baba Bathra 43/a). (…)
La saggezza della Halacha mi dice di ascoltare il cuore di coloro che mi stanno di fronte. E il Talmud (Yoma 83) cita il verso (Libro dei Proverbi 14:10) “Il cuore conosce la sua propria amarezza e un estraneo non può condividerne la gioia.” Il verso è citato dai Maestri nel caso in cui ci siano persone ammalate a Yom Kippur. “Se una persona malata dice che deve mangiare e cento dottori dicono che non ne ha bisogno, noi dobbiamo ascoltare la persona. Perché il cuore conosce la sua amarezza.”
Quelli con cui parlo nel mio studio non hanno scelto il loro orientamento sessuale. La loro testimonianza è importante nell’ottica della Halacha. Per la legge ebraica, le attività che sono sotto pulsione o costrizione, anche se sono proibite, sono libere da disposizione. “Patur aval asur” [risolto anchese proibito – n.d.T].
Diciamo che ho promesso di fare una cosa ma non ci riesco a causa di una inondazione o una malattia, non sono punibile. La halacha riconosce che un’azione deve essere libera se è punibile e dietro a questa regola regna un’affermazione religiosa dalla Mishnah. “Ones Rachmana Patrey” – “il misericordioso libera dalla punizione colui che è forzato”. (Mishnah Nadarim 33)
Gli studiosi concordano che gli autori della Bibbia e del Talmud presero le loro posizioni sul tema dell’omosessualità sul presupposto che il comportamento omosessuale fosse un atto di libera scelta, che l’omosessaule agisse sia per rinnegare Dio, sia per opporsi alla legge, sia, come un prostituto sacro che usa il suo corpo, per servire un culto pagano.
La convinzione degli antichi sulla motivazione dell’omosessualità si basa su un errore di fatto. Una persona non può biasimare i maestri dei primi secoli per non aver conosciuto l’etimologia di omosessualità, o il carattere degli omosessuali dichiarati. I Maestri guidicavano le azioni con la conoscenza dei loro tempi. Ma ciò non esonera i rabbini del 21° secolo. Uno non può biasimare gli antichi Maestri per le loro posizioni sulla questione dell’omosessualità, nello stesso modo in cui però possono essere ripresi per la loro posizione sul sordomuto, il “cheresh”. Nel Talmud il “cheresh” cadde nella categoria di “shoteh” e di “katan”, una persona “non compos mentis” – qualcuno mentalmente inabile. Fino al 19° secolo gli halachisti sostenevano che un sordomuto non potesse fare da testimone, disporre di proprietà, essere contato nel minyan, affettuare un matrimonio o un divorzio. Il presupposto era chiaro. Dato che il “cheresh” non poteva comunicare, parlare o ascoltare, fu considerato “scemo”, una parola che originariamente voleva dire muto e che poi nel linguaggio colloquiale ha assunto il significato di stupido [la parola inglese è “dumb”=muto, stupido N.d.T]
Ma la legge tradizionale non è congelata. Quando Rabbi Simchah Bunem Sofer di Ungheria, in visita all’Istituto di Vienna per i Sordi e i Muti osservò i risultati dei suoi studenti, riconobbe che il “cheresh” era ben lontano dall’essere mentalmente inabile. E ai tempi nostri, Rabbi Isaac Halevi Herzog ha asserito che le leggi che proibivano ai sordomuti di partecipare ai riti e alla vita commerciale sono vane, e che oggi il “cheresh” può ovviamente partecipare pienamente alla vita religiosa. (…)
Sia sul piano morale che su quello halachico, è sbagliato estrarre uno o due versi dalla Torah, strappati del loro contesto storico e svuotati dalla conoscenza scientifica, e applicarli per punire persone innocenti che non possono negare i loro istinti, impulsi e attrazioni sessuali. Infliggere una punizione su un innocente vìola lo spirito e l’intento della legge ebraica. (…)
Per quelli che sono gli omosessuali dichiarati non c’è altra scelta che la negazione della loro vita sessuale. Questo significa per me negare loro l’espressione più profonda dell’amore. Che altro può essere detto ad una persona gay? Le opzioni sono “o nascosto o in convento”. Per loro non c’è altra alternativa che il celibato e l’astinenza sessuale.
Questa opinione è contraria all’affermazione della vita e della sessualità, cose basilari nel Giudaismo. Contrariamente alle filosofie stoiche, cristiane, e buddiste, anche il misticismo pietista medievale ebraico incoraggiava l’espressione sessuale. Le gioie della sessualità erano lodate come manifestazioni della creazione benevola di Dio. Dovrei rispondere ai desideri del loro cuore dicendo: “Vai in un monastero o in un convento?”
Sento poi dire inoltre che, se l’omosessualità viene tollerata, perché non accettare anche la poligamia, una pratica che non è neppure intimata nella Torah. Ma la monogamia non è una privazione dell’espressione sessuale. Se esiste una certa insoddisfazione, il divorzio ebraico offre sollievo. Ad ogni modo, la poligamia è un eccesso di scelta.
Neppure la proibizione dell’incesto o della bisessualità sono analoghe al caso omosessuale. Poiché queste contemplano delle alternative all’espressione sessuale. Per gli omosessuali non esiste espressione sessuale se non un’esistenza senza sesso in cui anche la masturbazione è proibita dalla halacha. Può un Dio benevolo creare un tale essere a Sua immagine, che è condannato alla sofferenza e alla frustrazione per tutta la vita?
Altri argomentano che lo scopo dell’unione e del matrimonio sia la procreazione; e che l’omosessualità è proibita perché nega la storia, nega il futuro e lo scopo del matrimonio. Non siamo stati mandati a moltiplicarci per riempire la terra? Anche questo argomento perde sostanza nella legge talmudica (Yebamoth 64/a) “Se un uomo prende una donna e vive con essa per 10 anni e non rimane gravida, egli non deve astenersi dal compito riproduttivo”. Di conseguenza, l’uomo è giustificato a divorziare e sposare un’altra donna dopo una decade di sterilità. Tuttavia, i rabbini potrebbero non sentire nel cuore di sciogliere tale unione. “Lo m’laah libam”. Tale divorzio potrebbe danneggiare un altro essere umano. Possono vivere insieme dato che lo scopo dell’unione non è solo la procreazione. La scopo dell’unione include la benedizione della convivenza e dell’amore che non sempre è finalizzato ad avere figli.
Inoltre, in un tempo in cui l’inseminazione artificiale e le adozioni esistono come scelte, un’unione omosessuale non rappresenta una barriera per instaurare una famiglia e crescere i figli. (…)
Mi hanno insegnato e credo che la legge ebraica non sia un manichino senza cuore ed anima. Neanche i più severi discepoli della halachah applicherebbero oggi la legge che chiede morte agli omosessuali. Chi ci ha chiamati a criminalizzare l’omosessualità?
La questione di fondo è morale, non testuale. Non possiamo, come ebrei di pensiero e di sentimento, basare il nostro giudizio su un verso o due della Bibbia. Esiste un intero corpus di testo religioso e di principi spirituali che forma la coscienza rabbinica. “Le strade della Torah sono strade di piacevolezza e tutti i suoi sentieri sono pace.” La Torah coltiva la coscienza ebraica. Ci ricorda che dobbiamo amare lo straniero e conoscere il suo cuore. Se non conosciamo il cuore, se non conosciamo l’umanità del paria, non conosciamo l’umanità di noi stessi. Finché non avremo scoperto lo straniero nel mezzo di noi stessi come “essere umano”, non scopriremo la nostra stessa umanità.
La comunità e il suo direttivo rabbinico hanno il potere di trasformare la terra in un paradiso o in un inferno. Su alcuni argomenti dei quali noi mortali abbiamo poco controllo. Abbiamo poco controllo sulle catastrofi naturali: terremoti, inondazioni, uragani, tornado. Ma ci sono catastrofi delle quali teniamo il controllo poiché noi le abbiamo create. La condanna pronunciata su una persona gay. Questa tragedia che abbiamo imposto sui nostri figli non è la volontà di Dio. È il nostro fare. La benedizione e la maledizione, vita e morte che ci vengono date sono scelta nostra. Non siamo costretti al silenzio.
La legge non è un mostro. La halachah ebraica non è stata istituita per rendere la vita miserabile. Al contrario, è stata fatta per esaltare la vita, per introdurre l’amore e la compassione e la tenerezza in un universo difficile e abrasivo. L’intera tradizione rabbinica è motivata nel rendere le vie della Torah piacevoli, gioiose e pacifiche. (…)
Focus su: l’ebraismo conservatore?
L’ebraismo conservatore, diffuso principalmente negli Stati Uniti rappresenta un punto di mediazione fra l’ebraismo ortodosso, maggioritario in Italia, e le correnti progressiste prevalenti in tutti gli altri paesi. Gli ebrei conservatori considerano che l’omosessuale non adempia ad uno dei Mitzvah (comandamenti). Ma esistono altri 612 Mitzvah nella legge di Mosè e per questo “non può considerare l’omosessuale ebreo diversamente da come considererebbe un ebreo che non sia completamente osservante in qualsiasi altra maniera”. Di conseguenza l’ebraismo conservatore afferma che gli uomini e le donne omosessuali possono condurre la preghiera, avere una aliyah per leggere dalla Torah, e possono anche prestare servizio come educatori della gioventù e come insegnanti nelle scuole ebraiche» ( Robert Kaiser, Judaism and Homosexuality, 4 aprile 1999)
* Questo scritto è tratto da un più ampio articolo di Rabbi Harold Schulweis, rabbino presso la sinagoga Valley Beyth Shalom di Encino (California) appartenente al movimento conservatore, in cui racconta la sua esperienza con le persone omosessuali che gli hanno chiesto aiuto e di come egli abbia trovato le giuste risposte, per la loro accoglienza, all’interno della tradizione ebraica. Un punto di vista, il suo, molto diffuso nell’ebraismo conservatore ed in accordo con i principi del movimento ebraico riformato.
Per approfondire: Vedi voce “omosessualità e ebraismo” su Wikipedia