Un Dio che benedice l’amore omosessuale. Come la liturgia può rinnovare la fede
Riflessioni di Antonio De Caro*, parte terza
Dio, il Dio di Gesù Cristo, non può maledire chi si vuole bene, cioè chi si ama. Perché è un Dio di amore. Lo ha ricordato, di recente, J. C. Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo. Se la Chiesa intende rendere testimonianza a questo Dio, non può rifiutare chi vive con impegno un progetto di amore, non può funzionare come un club esclusivo.
Sembra ovvio, ma questo richiederebbe una revisione, profonda e urgente, della dottrina: benedire in una forma liturgica le relazioni omosessuali vorrebbe dire riconoscere in esse la capacità di agape, senza che ciò possa in alcun modo sminuire la dignità sacramentale del matrimonio fra un uomo e una donna.
La Chiesa non c’è ancora arrivata, ma noi sì. Se io e mio marito, come migliaia di altre coppie omosessuali, abbiamo tanto lottato e lotteremo ancora per ottenere pienamente lo status di sposi e di famiglia, lo facciamo non per ostilità verso il modello della famiglia tradizionale, ma al contrario per onorarlo al massimo. Riconoscendone la bontà e il valore, desideriamo amare nello stesso modo, estenderne la portata, creando unità e relazione dove altrimenti regnerebbero aridità, disperazione, solitudine.
A questo punto, mi chiedo, quale sia la testimonianza del vescovo che ha sospeso a divinis un sacerdote che ha parlato in modo favorevole della benedizione delle coppie omosessuali.
Il sacerdote ha espresso un’opinione oggi suffragata dal cardinale Hollerich, che è relatore generale del Sinodo e presiede la Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea. Quel vescovo sospenderà a divinis anche Hollerich? O sarà capace di tollerare che i fedeli notino la sua azione disciplinare contro un sacerdote che concorda con il Sinodo? Si tratta di una contraddizione insostenibile, ed è spontaneo chiedersi per chi lavori veramente, quel vescovo.
Qualche considerazione
Personalmente, provo un certo disagio a commentare questi avvenimenti proprio nelle settimane in cui, dopo le ultime elezioni politiche nazionali, la politica italiana (interpretando il cattolicesimo in senso integralista) sembra avviarsi verso un periodo di forte riduzione dei diritti LGBT, mentre il dibattito europeo mostra che finalmente una prospettiva più sana (sia teologica sia pastorale) sta scalzando condanne, chiusure, ottusità e crudeltà millenarie di cui tutti portiamo ancora il peso e i segni.
La Chiesa Cattolica, come si evince dalle incertezze del Sinodo tedesco, si trova davvero al centro di un guado, e in questo momento più che mai può scegliere se assecondare un pericoloso fondamentalismo o indicare la strada dell’accoglienza e della riabilitazione.
Ora più che mai la Chiesa Cattolica può esercitare il suo potere spirituale per salvare le persone o per abbandonarle, e questo rappresenta un’enorme responsabilità, da cui dipendono non solo la serenità degli individui e delle famiglie, ma anche la credibilità etica che la Chiesa stessa potrà mantenere o perdere.
Se leggiamo insieme il documento del Sinodo tedesco sulla rivalutazione dell’omosessualità e quello dei vescovi belgi sulla benedizione delle unioni omosessuali, abbiamo davvero la percezione che la liturgia può rappresentare un processo formativo per condurre i cristiani -direbbe M. Nussbaum- dal disgusto irrazionale ad una sensibilità umana e civile che, aggiungo io, avvicina le persone a Dio.
Se la Chiesa fosse davvero convinta che l’amore omosessuale non può in alcun modo deturpare quello eterosessuale; se la Chiesa benedicesse l’amore omosessuale, nella fede che Dio ispira e rafforza i progetti di amore delle sue creature e che due persone che si amano e promettono di esserci un* per l’altr* sono ancora e sempre un segno dell’amore di Dio per l’umanità, se questa consapevolezza – libera finalmente dalla crudele ignoranza del passato – venisse espressa in una coerente e visibile prassi liturgica, la comunità cristiana e la società civile ne verrebbero trasformate e trasfigurate, senza che questo debba ridurre la stessa gioia per un uomo e una donna che scelgono, altrettanto responsabilmente, di formare una famiglia, e una famiglia cristiana.
Come si vede, la coraggiosa vicenda di don Giulio Mignani non è solo un’avventura isolata in provincia, ma la risonanza di un problema molto più grande, che coinvolge la Chiesa a diversi livelli.
Quanti altri sacerdoti sarebbero capaci di accettare la battaglia in cui lui si è trovato coinvolto, suo malgrado? Quanti altri vescovi sarebbero disposti a sospenderlo o a difenderlo? E perché noi, omosessuali credenti, non possiamo sperare di avere dei pastori come quelli dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in Belgio?
È giunto il momento che di porre con franchezza queste domande, e di ripeterle, qualche volta forse anche di gridarle. Come quei sofferenti che invocavano la pietà del figlio di Davide, sebbene gli apostoli cercassero di farli tacere.
* Antonio De Caro (Palermo 1970) collabora con La Tenda di Gionata per promuovere il dialogo fra condizione omosessuale e fede cristiana. Sul tema, ha pubblicato i volumi Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale (2019) e La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa (2021)