Un Dio che risponde. La creazione al femminile
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, prima parte
Seconda Parola: “Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro…” (Es 20, 3-5)
Chiunque legga la Bibbia o partecipi alla liturgia è sempre posto di fronte a un Dio maschio. È Dio “Padre”, “nostro Padre che è nei cieli”. La grammatica divina sembra disperatamente al maschile! Ma se mettiamo all’opera il metodo rabbinico delle lettere-utero e delle lettere-frontiere, il risultato sarà completamente diverso.
Le lettere- frontiere sono quelle che delimitano gli estremi della parola; le lettere interne sono chiamate matrici utero (rechem in ebraico). Questa tecnica di lettura delle Scritture è particolarmente feconda, che gli psicoanalisti se ne servono per interpretare le parole delle persone in analisi. Ad esempio, attraverso questa tecnica la parola Elohim, presente da subito nel Genesi, tradotta volgarmente Dio (in realtà significa attributi, potestà, facoltà divine etc.) nasconde la parola madre in ebraico em.
Ella è presente nel nome ELOHIM, attraverso le due lettere frontiere alef e mem che formano la parola em. Detto altrimenti, Dio Elohim ha un rapporto stretto con il femminile, la matrialità e la maternità. Quindi il nome di Dio è in primo luogo madre, in quanto capace di portare il bambino nell’utero. La parola stessa è come un ventre o un utero di donna. La parola porta nel suo seno il proprio significato, in maniera dinamica e non statica.
Se poi adottiamo un procedimento frequentemente usato nella Qabbalah che si chiama ghematriya scopriremo che il valore numerico delle lettere interne al nome Elohim è 45 (lamed ha un valore numerico di 30, he è di 5, yod è di 10). Questo numero è esattamente il valore numerico del termine adam, uomo. Elohim, dunque è come la donna incinta d’un uomo. La struttura matriale del divino implica il plurale, così come una donna incinta non ricade nell’ambito dell’uno, ma in quello del due, del plurale…Elohim, che stupefacente parola! Un nome di Dio al plurale, che dice: maternità! Si potrebbe ancora continuare.
Il numero 45 si scrive 40˖5, ossia il valore numerico delle lettere mem e he con le quali si scrive la parola ma in ebraico significa “che cosa?”. Il nome Elohim non significa solo la matrialità, ma è anche la domanda per eccellenza. Il nome contiene l’uomo-domanda, domanda su stesso e su Dio Elohim. Senza dubbio, dire che Dio è una donna sembrerebbe provocatorio.
Tuttavia bisogna sottolineare questa dimensione matriale, materna, del Dio che crea il mondo e che si rivela sul Sinài. Per di più il nome Elohim possiede la desinenza al maschile. Ci sarebbero, dunque, più Dio? Certamente no, ma modi diversi di percepire Dio da parte dell’umanità.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’associazione AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità di Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.