Un documento dei vescovi belgi sulla pastorale con le persone LGBT+
Riflessioni di Massimo Battaglio
Il Documento dei vescovi del Belgio sulla pastorale per le persone lgbt+ sta facendo discutere, giustamente. Purtroppo però, l’attenzione dei media è quasi unicamente puntata sulla liturgia pensata per benedire le coppie omosessuali. E questo rischia di banalizzare il tutto.
A leggere i giornali, sembra quasi che l’unico interesse dei gruppi lgbt+ cristiani fosse un riconoscimento para-sacramentale, concesso il quale, ci si può ritirare in pace. In realtà, chi ci conosce sa che non è affatto così.
Il motivo per cui esistiamo e abbiamo sempre lottato è la piena emancipazione e inclusione delle persone non eterosessuali in ogni ambito della società. Abbiamo sempre sostenuto l’istituto delle Unioni Civili e del matrimonio same sex. Siamo in movimento, con tutti, per il superamento dell’omofobia e per una legge che la punisca in modo giusto e la prevenga. Insomma: siamo persone lgbt+ come tutte le altre e ci riconosciamo nel movimento lgbt+ di tutti.
Il “di più” del nostro impegno sta unicamente nel considerare come nostro interlocutore non solo la società civile e politica ma anche la Chiesa. Siccome siamo persone di fede, pretendiamo che l’assemblea dei credenti, di cui facciamo parte, prenda atto della nostra presenza e cambi rotta. Vogliamo dialogare con gli altri uomini e donne di fede, non per ricevere un permesso ma per testimoniare il nostro modo di amare. Vogliamo veder cadere i pregiudizi che, proprio a partire dalla religione, hanno reso difficile la nostra vita.
La questione della benedizione può essere, anzi, deve essere, il coronamento di un percorso che si fondi su tutto questo. Ma, se questo percorso non si intraprende, è inutile benedire.
Il documento in oggetto è bello proprio perché sembra aver capito tutto ciò. E lo dice con parole coraggiose. Vediamone qualche passaggio.
“Da anni la comunità di fede cattolica del nostro Paese, in tutte le sue sezioni, lavora insieme ad altri attori sociali per creare un clima di rispetto, riconoscimento e integrazione. Inoltre, molti di loro sono impegnati in un’associazione ecclesiastica o in un’istituzione cristiana. I vescovi incoraggiano i loro collaboratori a continuare su questa strada”.
Già questo inizio è molto interessante. Si va infatti decisamente contro la tradizione pastorale ufficiale. Qualcuno ricorderà che, nel 1986, la Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva espressamente vietato ogni sostegno alle organizzazioni lgbt+. Qua si dice il contrario. Anzi: “i vescovi incoraggiano i loro collaboratori a continuare su questa strada”.
“L’attenzione pastorale della comunità ecclesiale riguarda anzitutto le stesse persone omosessuali. Vogliamo star loro vicino attraverso il modo, a volte complesso, di riconoscere, accettare e vivere il loro orientamento in modo positivo. Alcuni rimangono celibi. Meritano il nostro apprezzamento e supporto. Altri preferiscono vivere in coppia, in un legame duraturo e fedele con un partner. Meritano anche il nostro apprezzamento e supporto. Perché anche questo rapporto, pur non essendo un matrimonio religioso, può essere fonte di pace e di felicità condivisa per le persone coinvolte”.
Questo è un passaggio fragoroso. Si dice, per la prima volta nella storia della Chiesa, che due persone dello stesso che vivono in coppia “meritano il nostro apprezzamento”. Il che equivale a superare millenni di pregiudizi e condanne. Manda in soffitta gli sfoghi di tanti santi, presi troppo spesso e troppo comodamente sul serio per condannare milioni di persone. Manda in crisi il perentorio adagio del Catechismo per cui “gli atti di omosessualità” sarebbero “intrinsecamente disordinati”. Dice una volta per tutte che l’amore omosessuale esiste e, in quanto amore, va valorizzato.
“Le loro famiglie e parenti meritano ugualmente questa attenzione e guida pastorale. Un atteggiamento di comprensione e apprezzamento è di grande importanza”.
Qui, il documento prende atto che, per molte famiglie, la diversità sessuale di un parente è ancora fonte di difficoltà e dolore. E non dice che ci vuole “compassione” ma “comprensione e apprezzamento”. Esse vanno quindi guidate non a combattere il proprio figlio ma ad accettare la sua sessualità come un dono di Dio.
“La nostra attenzione deve andare anche alla società più ampia e alla comunità ecclesiale. Nonostante un crescente riconoscimento sociale del prossimo omosessuale, molti rimangono con delle domande. Allo stesso tempo, la violenza omofobica può alzare la sua brutta testa. Una migliore comprensione può promuovere una migliore integrazione”.
Usare apertamente il termine “violenza omofobica” – fenomeno che molti cristiani bellamente negano – è un’altra novità che emerge da questo documento. Accostarlo a espressioni come “la società più ampia” e “la comunità ecclesiale”, indica una direzione ben precisa. E’ come dire che le leggi contro l’omofobia vanno incoraggiate, non osteggiate come ha fatto la Conferenza Episcopale Italiana. E’ come dire che la Chiesa belga è pronta a combattere l’omofobia, nella società e al proprio interno.
“I vescovi fiamminghi vogliono ancorare strutturalmente il loro impegno pastorale alle persone e alle coppie omosessuali. L’équipe politica del Servizio Interdiocesano per la Pastorale Familiare (IDGP) avrà un collaboratore aggiuntivo che se ne occupi. I vescovi hanno nominato Willy Bombeek per questo . Inoltre, ciascuna diocesi nominerà qualcuno che presti la stessa attenzione pastorale nell’ambito della pastorale familiare diocesana”.
Questo passaggio significa un impegno concreto. Ed è bello per due motivi. Il primo è che sancisce un’inversione di rotta che, da noi, ha dell’inconcepibile. Pensiamo a quanti sacerdoti si sono avvicinati ai nostri gruppi e, invece di essere incoraggiati, sono stati puniti. E il secondo motivo è l’inserimento dell’ufficio pastorale per le persone lgbt+ all’interno di quello della famiglia. Il documento dei vescovi fiamminghi dice, sostanzialmente, che le nostre sono famiglie.
I credenti che vivono in una relazione omosessuale stabile desiderano anche rispetto e apprezzamento all’interno della comunità di fede. Fa male quando sentono di non appartenere o di essere esclusi. Vogliono che sia ascoltata e riconosciuta la loro storia, dall’incertezza alla crescente chiarezza e accettazione, le loro domande sulle posizioni ecclesiastiche, la loro gioia di conoscere un partner fisso, la loro scelta per un rapporto esclusivo e duraturo, la loro disponibilità a prendersi cura gli uni degli altri e il loro desiderio di essere al servizio della Chiesa e della società.
Tutto sommato, è ciò che abbiamo sempre chiesto alla Chiesa ma anche alla società civile.
Dopo questa importante e lunga premessa, il documento prosegue descrivendo una possibile liturgia benedizionale per coppie dello stesso sesso. Ma, a questo punto, si capisce che l’obiettivo non è solo quello. Lo scopo è imparare a “dire bene” con la vita, oltre che con i gesti liturgici e con la preghiera. Che, comunque, per noi credenti, restano fondamentali.