Un gay credente alla scoperta dei genitori omosessuali
Intervista di Lidia Borghi
Le madri ed i padri rainbow tra coming out e disagio della famiglia d’origine. Ne parliamo con Emanuele Macca, esponente del Gruppo del Guado di ricerca su fede ed omosessualità.
Emanuele, ti chiedo per prima cosa di parlare un poco di te alle lettrici ed ai lettori del Progetto Gionata su fede e omosessualità. Chi sei, che cosa fai nella vita e da quanto tempo frequenti il Gruppo del Guado?
“Sono una persona che ha lavorato tanti anni in una Caritas diocesana e che ha molta passione per il sociale; sono anche una persona omosessuale cattolica che dopo un periodo di forte crisi personale sta ricercando una bella dimensione spirituale in armonia con le mie comunità di appartenenza (cattolico-cristiana ed omosessuale) senza però mascherare le convinzioni personali.
Oggi come oggi per un omosessuale cattolico in Italia esiste una doppia sfida: quella di essere dichiaratamente omosessuale tra i cattolici e dichiaratamente cattolico tra gli omosessuali. È una sfida davvero faticosa e a tratti lacerante, ma che quando porta frutti positivi, porta per me gioie davvero impagabili! Frequento anche il Gruppo La Fonte (Un gruppo di uomini e donne omosessuali credenti di Milano, https://www.facebook.com/gruppolafontemilano/) quando posso, ma per motivi vari ultimamente (vale a dire negli ultimi tre anni) sono presente più al Guado a Milano a cui mi sono avvicinato per gli storici incontri culturali che svolge il primo e il terzo sabato pomeriggio di ogni mese”.
Sabato primo ottobre 2011, presso la sede milanese del gruppo, si è svolto un convegno/dibattito da te organizzato sul complesso tema dei genitori rainbow. Ti chiedo di spiegare alle lettrici ed ai lettori di Progetto Gionata che cosa sono le famiglie arcobaleno.
Mi sono imbattuto nella Rete Genitori Rainbow per puro caso. Ma come sempre il caso spesso ci dà sorprese più interessanti delle attività programmate! Così ho letto la storia di Morena; da quella storia ho scoperto l’esistenza di questa associazione che si occupa dei genitori omosessuali con figli avuti da precedenti relazioni eterosessuali.
A livello numerico è la genitorialità più diffusa per le persone omosessuali per banali motivi storici (quante persone sono state costrette dal contesto sociale a sposarsi per non restare sole nella vita almeno fino a 20 anni fa per esempio?) eppure è una genitorialità di cui non si parla mai perché non tocca elementi di critica politica appetibili.
Parla solo di storie di genitori che “devono” scegliere se, come e quando fare “coming out” ai loro figli (prima ancora che pubblicamente). Parla di storie che noi spesso colleghiamo a noi figli, ma non sono solo nostre.
A differenza delle Famiglie Arcobaleno che si occupano del diritto all’omogenitorialità per le coppie omosessuali già costituitesi, dove quindi la questione della visibilità non è un problema ma un presupposto, Rete Genitori Rainbow deve primariamente accogliere persone che hanno timore ad esporsi in quanto hanno addosso la responsabilità di quello che succederà non tanto a loro stessi, quanto ai loro figli!
Quanto è stato difficile mettere insieme tutto il materiale ed individuare i possibili testimoni? Da quali elementi di base sei partito?
Veramente devo confessarti che questa è stata l’operazione meno complessa. Il convegno – preciso – parlava di “genitorialità ed omosessualità” mettendo a confronto le storie di genitori etero con figli omo con quelle di genitori omo con figli avuti in precedenti relazioni etero…
Quello che accomuna queste testimonianze è il tema del “coming out” e delle reazioni che ha creato. Ma mentre in un caso i genitori sono quelli che subiscono la dichiarazione dei figli, nell’altro caso sono i figli a dover gestire la dichiarazione dei genitori.
I miei rapporti con AGEDO sono consolidati da tempo; l’organizzare questo convegno mi ha permesso di creare nuovi rapporti con questa piccola, nuova ma davvero interessante associazione che è Rete Genitori Rainbow.
Scrivere una e-mail, fare una chiamata, conoscere e confrontarsi con nuove persone (Fabrizio Paoletti e Cecilia Davos della Rete e il Prof. Ripamonti), individuare una data e la cosa si è risolta!
Davvero l’opinione pubblica italiana è pronta per conoscere le verità che avete affrontato nel convegno dal momento che, spesso, considera certi argomenti scomodi e, quindi, da passare sotto silenzio?
Non credo l’opinione pubblica sia pronta per conoscere queste storie vere e quindi queste verità! Non è pronta perché se potesse evitarle sarebbe più contenta per non doversi rimettere in discussione! Ma credo esista una funzione profetica per ognuno di noi… Non possiamo giustificare l’immobilismo – come alcuni fanno – dicendo che l’opinione pubblica non è pronta! Non sono però nemmeno dell’idea che ci si debba scontrare con un’opinione pubblica magari ostile, né che di essa “ce ne si debba fregare” o ci si debba limitare a provocarla sfogando la nostra rabbia di persone incomprese ed emarginate.
Con tale opinione pubblica bisogna interagire usando gli strumenti più opportuni perché tutti nel tempo possiamo maturare e possiamo capirci in profondità!
Vedi, sono convintissimo che in qualsiasi cosa facciamo (anche nell’azione politica) non possiamo prescindere dalla centralità della relazione… e la relazione è fatta di tante cose, approfondendo le quali non solo la nostra azione risulta più efficace ma restiamo arricchiti e cresciamo anche noi!
Anche in questo caso a fare la differenza è stato il ricorso alle testimonianze di alcune persone che hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto. Quanto è importante per te l’uso dei racconti diretti?
I racconti diretti sono la base per creare dialogo, relazione, comunicazione profonda. Le ideologie hanno sempre creato divisione, che mi risulti, l’appartenenza a un credo religioso piuttosto che a un altro, a un partito piuttosto che a un altro non ha mai (soprattutto in Italia) creato un clima di collaborazione.
Bene che vada con questo schema si impara a turarsi il naso e a vivere nel meno peggio, a subire alleanze non desiderate, a “usare gli altri” finché ci servono senza mai entrare in vera empatia, in una vera relazione con essi.
Una testimonianza rompe questi schemi perché qualsiasi cosa si possa pensare, in teoria, su un determinato tema, una vita vera, un dolore veramente vissuto e ben rielaborato non può che essere rispettato. Da qui possono svilupparsi le basi per un ascolto più attento. Questo non assicura “conversioni facili” ovviamente; ma pone le basi per un “rispetto vero”… Quello sì!
Ti chiedo di spiegare brevemente a chi non era presente al convegno come ha affrontato il tema in discussione il professor Ermanno Ripamonti, noto pedagogista italiano. Davvero la pedagogia, nel nostro Paese, ancora vede l’omosessualità come un impedimento ad una crescita armonica di figli e figlie, stante l’assunto secondo il quale per allevare bene un bimbo o una bimba servono un padre ed una madre, mentre il compagno gay o la compagna lesbica vengono lasciati sullo sfondo, senza voce alcuna in capitolo nella crescita della prole?
Fiore all’occhiello del convegno per me è stata la presenza del professor Ermanno Ripamonti, psicologo, pedagogista ed ex presidente nazionale dell’AGESCI (gli scout cattolici). Ho visto il Ripamonti segnarsi alcuni spunti mentre parlavano i genitori dell’AGEDO, della Rete Genitori Rainbow e il Presidente del Guado; alla fine di tali racconti ha esposto a tutti noi i suoi spunti da tecnico e da uomo di fede.
Sottolineo questo aspetto perché questo dimostra come la religione, le competenze tecniche e l’ascolto empatico possano dare davvero frutti maturi per credenti e per non credenti. In fondo il professor Ripamonti ha fatto osservazioni molto semplici, ma profondamente umane; le ha motivate con grande profondità, così ha evitato di banalizzarle.
Ha sottolineato come anche in contesti così “stonati” rispetto a quelli che mediamente ci si aspetta nella relazione genitori-figli si definiscano emozioni, processi relazionali che sono tipici di altre storie di rapporti tra genitori e figli.
Quando un genitore scopre l’omosessualità del figlio in realtà scopre “il figlio” per quello che è e che lui non si era immaginato; idealizzare una persona finché essa non si apre e non ci permette di conoscerla nella sua autenticità è un errore in cui tutti noi ricadiamo. Figuriamoci un genitore con un figlio!
Sul versante dei genitori rainbow non si è tanto riflettuto sulle conseguenze pedagogiche di tali storie, ma anche qui sulle dinamiche che hanno provocato le diverse reazioni dei figli. Centrale non è la categoria a cui si appartiene ma come la persona sa porsi coi figli!
La vera variabile è come reagisce il partner lasciato e come egli strumentalizza o meno questa situazione; se reagisce in modo davvero doloroso ma positivo, come fa la sopracitata Morena, non possiamo che restarne incantati; ma spesso alcuni genitori nei processi di separazione usano la solo “presunta omosessualità” del partner per avere la custodia e l’affido dei figli minori e in casi come questi non possiamo che restare delusi dalla “meschinità” umana!
Qual è stata la reazione da parte del pubblico presente? Ci sono state tante domande?
Vi erano presenti, oltre agli affezionati dei sabati culturali del Guado, anche alcuni genitori dell’AGEDO di Milano e con emozione posso dirti anche i miei genitori. Il pubblico è partito con varie domande che si sono prolungate fino all’ora di cena inoltrata, tanto che anche alcuni dei relatori si sono fermati con noi. La tipica atmosfera conviviale delle cene del Guado post incontro colpisce sempre!
Ed il bilancio del convegno? Positivo o meno?
Bilancio positivo sicuramente. Non lo dico per retorica; ammetto che il mio sogno nel cassetto è che tali tipi di contenuti possano essere comunicati su canali con maggiore visibilità. Ma questo sogno resta, come restano i contatti con persone e testimoni autentici che ci fanno emozionare, riflettere e crescere.
A quando la prossima iniziativa del Gruppo del Guado in merito ad uno dei tanti temi controversi inerenti l’omosessualità? Progetti futuri?
Nel frattempo ho avuto modo di contribuire a un altro bellissimo incontro, alla testimonianza di Ursula Barzaghi che ha raccontato a tutti noi la storia della sua famiglia e di suo figlio Enrico, morto di AIDS alla fine degli anni ‘80. Presente all’incontro c’era anche il primo presidente dell’ASA, lo psichiatra Mattia Morretta che ha scritto tra le varie cose un bellissimo testamento spirituale dell’esperienza di Enrico (“L’importanza di chiamarsi Enrico”).
Anche qui la bellezza di quest’incontro è stata il privilegiare il racconto, la testimonianza, la riflessione controcorrente, perché svuotata della sua strumentalizzazione politica e quindi carica di verità!
Progetti futuri?
Un lavoro, un cammino di crescita personale e spirituale forte, un mettermi a posto con le ferite del mio passato senza angustie e rabbia represse. Questo lo auguro a tutti coloro che ancora vivono carichi di rancori e di rabbia verso istituzioni, contesti familiari, singole persone. Per il Guado e per tutto il movimento di gay credenti, una sempre maggiore capacità di fare rete, di condivisione di obiettivi e di racconti interpersonali.
Un’idea che lancio è quella di lavorare molto anche sull’introspezione, sull’autoanalisi, sulla gestione del gruppo, sulla capacità di creare “ascolto attivo” e non “ascolto carico di pregiudizi” tra di noi e sulle radici cristiane dell’importanza di questo percorso di crescita!
Non è lontano dalla nostra omosessualità tutto ciò; l’omosessualità non è un concetto astratto, ma è la nostra vita, sono le nostre emozioni, le nostre gioie e le nostre frustrazioni.
Un’omosessualità matura necessita una rielaborazione di tutte queste nostre emozioni perché siano incanalate positivamente e ci permettano di costruirci in una “vera comunità” aperta a tutte le altre diversità e alle convenzionali normalità!