Un Gesù che danza con noi sul palcoscenico del mondo
Riflessioni di Carlos Osma pubblicate sul suo blog Homoprotestantes (Spagna) il 5 febbraio 2019, liberamente tradotte da Chiara Benelli
Ci sono momenti in cui ci si stanca di sentire giorno e notte lamenti su lamenti, discorsi colmi di paura e verità basate su fantasie divine. Alla fine si arriva a pensare che l’assordante rumore che ci circonda, e che con ogni probabilità la natura crea per distruggerci tutti, non permette a nessuno di pensare in modo chiaro. Siamo in balia delle ondate di discorsi di odio, sul punto di essere travolti da uragani di ignoranza, a metà strada tra il deserto e una pianura fertile. Proprio nel momento in cui tutto sembra più buio che mai, e pur consapevoli che non passerà molto tempo prima che torni l’alba, intorno a noi nessuno crede che sopravviveremo per raccontarlo. Maestro, dove sei?
Le barche cariche di discepoli come Dio comanda non sembrano essere il posto più sicuro per noi: lì il messaggio evangelico di Gesù non si trova da nessuna parte. Quindi, se restiamo dove siamo, alla fine finiremo per confondere la buona novella con un grido di disperazione, di paura, di terrore. Finiremo per credere che la salvezza sia oltre la nostra portata, oltre i monti dove collochiamo i nostri dèi, oltre la nostra vita quotidiana, la nostra realtà, il nostro mondo, i nostri desideri e il nostro modo di comprendere noi stessi.
Prima o poi, se restiamo fermi, ci ritroveremo trascinati a destra e a manca dall’ignoranza, dalla mancanza di empatia, dall’LGBTIQ-fobia, dalla più assoluta incapacità critica, dal sensazionalismo, dal populismo, dall’odio e dai nostri ego debordanti, dalla diabolica convinzione che è meglio non fare posto in barca a chi è diverso da noi.
E in mezzo a una simile tempesta, anche se ci apparisse Gesù in persona, sarebbe difficile non scambiarlo per un miraggio, per un fantasma, per poi iniziare a gridare con ancor più veemenza che abbiamo bisogno di qualcuno che venga dal cielo a salvarci. Maestro, dove sei?
Vogliamo davvero uscire da questo circolo vizioso, da questo circolo di morte che non ci porta altro che falsità, negazione e sfiducia. Quindi apriamo bene le orecchie, per sentire altre voci fuori dalla barca della paura e della disperazione. E forse è una nostra suggestione, ma abbiamo udito chiaramente un “vieni”, che non sembra affatto una minaccia o una condanna, ma un semplice richiamo che esorta all’apertura, all’impossibile e all’imprevedibile, a fare cose strane, diverse, divertenti; cose necessarie, che cambiano il mondo e lo nobilitano.
E quindi non vi è dubbio che sia la voce del maestro. I nostri compagni di viaggio, con tutta la fede che possiedono, ci dicono che siamo diventati pazzi, che quel che sentiamo non è altro che il fischio dell’uragano dei nostri desideri, che finirà per distruggerci; eppure, continuiamo a sentire “vieni”. E come la fede nel fatto che possiamo farcela, quella che a volte sembra svanire oltre la logica e la biologia, assomiglia così poco alla fede di tutta una vita; ci armiamo di coraggio e andiamo a bordo della barca.
E quando ci mettiamo in punta di piedi, come se fossimo la Principessa Odette del Lago dei Cigni, sentiamo di nuovo quel “vieni”, un “vieni” deciso, che non siamo sicuri che torneremo a sentire, che possiamo ignorare se abbiamo paura, oppure a cui possiamo rispondere, nonostante le vertigini ci facciano tremare. Maestro, dove sei?
E facciamo un entrechat [1] che dalla barca ci porta in mare, e visto che non affondiamo, sentiamo di avere fede, di essere sul punto di ottenere tutto ciò che vogliamo, di lasciarci alle spalle coloro che ci hanno limitato con i loro rimpianti e che sognavano una barca in cui c’era posto solo per loro.
E poi abbiamo fatto un cabriolet a novanta gradi [2] con le gambe divaricate per aria, e siamo ricaduti in mare per vedere distintamente che davanti a noi c’è proprio Gesù, il nostro maestro, che indossa una calzamaglia molto aderente.
Non siamo soli, lui ci accompagna, e l’emozione ci travolge talmente tanto da voler ballare con lui e fare un pas de deux [3], ma saltando i passi precedenti e facendo direttamente la coda. Proprio in quel momento ci rendiamo conto che le forze che cercano di affondarci non hanno origine nella barca, e che non è solo la barca a subirle. E facciamo un fouetté en tournant [4], una giravolta spettacolare, ma ora il nostro sguardo è puntato sull’oscurità e il nostro corpo si sente investito da un uragano di odio che vuole farlo inghiottire per sempre dal mare dell’oblio.
L’ultimo passaggio che proviamo è il balancé [5], perché notiamo che l’acqua ci arriva già alla vita: abbiamo paura. E poi urliamo e ci disperiamo come quelli con cui abbiamo viaggiato sulla barchetta. Alla fine non siamo poi così diversi, anche per noi la mancanza di fede è motivo della nostra disperazione, siamo arrivati a credere che è impossibile ballare sul mare con Gesù. Maestro, dove sei?
“Uomo di poca fede! Perché hai dubitato?” ci dice Gesù, tendendoci la mano e sostenendoci in modo che il mare in tempesta non ci inghiottisca. Sarebbe stupido elencare tutti gli episodi che hanno ridotto la nostra fede nelle condizioni in cui è stata trovata, siamo fortunati che non sia svanita del tutto tra le fiamme di uno dei roghi che molte volte hanno provato ad accenderci.
Ma proprio quando la sua mano ci impedisce di annegare, capiamo che non è il momento migliore per dirgli tutte queste cose. Così, borbottiamo che abbiamo dubitato perché pensavamo che lui non ci fosse, perché non lo sentivamo da nessuna parte e perché ci sentivamo soli. Lo facciamo tacere, ma sappiamo che ci ha letto nel pensiero e che ci guarda di sbieco mentre ci riporta sulla barca dove tutte quelle persone ci aspettano con fede cieca, le stesse che prima non smettevano di urlare e tremare di paura.
Quelle persone che preferivano il nero della notte e il bianco della schiuma delle onde che si infrangevano sui loro volti, ai colori dell’arcobaleno che ci attraversano il corpo. Tornare alla barca, sei sicuro, maestro?
E ci porta fin lì, ma non è il solito posto, è come se avesse costruito una nuova barca che naviga decisa verso riva, dove c’è vita in abbondanza. Non è la stessa barca, no. Se lo fosse, preferiremmo tuffarci di nuovo in mare e rischiare la vita nel tentativo di raggiungere la terraferma, prima che la fede di tutta una vita si mettesse a distruggercela.
Ma su questa barchetta umile e sgangherata, che non è sicuro regga la prossima ondata, la paura non c’è più. Non decide tutto la natura, non ci sono condanne, e la fede si nutre anche di diversità. Ci si sente parte di questa, si osa persino prendere un lembo della rete per gettarla in mare con il resto dei discepoli. In questa barca siamo certi che c’è il maestro. Il vento o le onde non ci infastidiscono più, non c’è più posto per la paura, ce n’è invece per chi vuole inginocchiarsi e riconoscere che quel Gesù in calzamaglia, che ci accompagna e danza così bene Il lago dei cigni, è davvero il Figlio di Dio.
[1] Passo di danza in cui si salta con un piede in avanti e si incrociano le gambe in aria.
[2] Un passo in allegro in cui le gambe tese sbattono in aria.
[3] Grande ballo per due. Come regola generale, il gran pas de deux viene eseguito in cinque parti: ingresso (entrée), adagio, variazione per il ballerino, variazione per la ballerina e infine coda, in cui entrambi i ballerini si ricongiungono e danzano insieme.
[4] Spettacolare giravolta in cui un piede viene disteso e poi ritratto durante i giri eseguiti.
[5] Andatura oscillante, un’alternanza di equilibrio, in cui il peso viene spostato da un piede all’altro.
Testo originale: Un Jesús en mallas en el lago de los cisnes