Un pozzo, un’ora, una donna e l’incontro con l’acqua viva
Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
Ci rimane in cuore lo stupore. Per l’intensità, il brivido, la freschezza di questo incontro al pozzo di Sicar (ndr Giovanni 4, 1-41).
Si scioglie la donna, ma si scioglie anche Gesù, si mette a sognare: mancano quattro mesi e lui vede i campi che già biondeggiano. Finalmente si respira. Anche lui respira. Anche lui veniva da un’aria soffocante, irrespirabile.
Da dove veniva? Dalle solite beghe clericali. Leggete i primi versetti del capitolo che sono stati omessi. Viene dalla Giudea e di che cosa si discuteva in Giudea?
Del fatto che lui battezzava più di Giovanni. Quando poi non era nemmeno lui a battezzare, ma i suoi discepoli. Meschinità, piccinerie, problemi di sondaggi. E c’è un pozzo. E c’è un’ora, verso mezzogiorno. E c’è una donna.
C’è sempre un pozzo e ci può sempre essere un’ora. E ci sei tu, ci sono io. A questo pozzo. E l’ora può essere questa. Dico, l’ora dell’acqua viva, dell’acqua che zampilla, dell’ acqua che disseta.
E l’acqua richiama qualcosa di sorgivo, di misterioso, di imprevedibile, qualcosa di gratuito, di spontaneo, di inafferrabile. Sì, è l’ora dell’imprevedibile. È l’ora in cui si possono toccare gli estremi.
Qualcuno avrebbe detto – dall’alto della sua cattedra – che no, gli estremi non si toccano, che non si toccano mai gli estremi. Era una donna samaritana. E i samaritani erano ritenuti impuri, religiosamente impuri. E poi era una donna. E le donne erano ritenute impure. E per di più una donna come quella! Era l’estremo dell’abiezione.
E passa Gesù di Nazaret, l’uomo dell’acqua viva, l’uomo dell’acqua imprevedibile, l’acqua che zampilla. Passa e si ferma, veniva anche lui da acque stagnanti. Passa e si ferma.
E gli estremi si toccano. La terra desolata della donna, beve, beve al pozzo del profeta dell’acqua viva. Beve, finalmente, l’acqua che zampilla! E gli estremi si toccano.
Dunque una pagina, questa, di immensa speranza, anche per chi di noi si sentisse chiuso, impermeabile, arido come un deserto. Dopo quello che è avvenuto quel mezzogiorno al pozzo di Sicar, tutto può succedere. L’acqua può riprendere a zampillare. Anche in me.
Può riprendere a gorgogliare.E riprende il canto della speranza. Dopo tante, troppe, delusioni. Dopo tanti, troppi, inaridimenti. Dopo tante, troppe, meschinerie. Dopo tanti, troppi, attentati alla speranza.
Ma quando è uccisa la speranza? È per mancanza di amore che è uccisa la speranza: è uccisa quando ci si sente giudicati, giudicati e non amati. Quella donna viveva, se la sentiva incollata alla pelle, l’esperienza amara di coloro che si sentono giudicati, giudicati e non amati.
La domanda ritorna a noi. Dopo millenni di storia cristiana, che cosa trovano gli altri presso di noi? Gli occhi del rabbì di Nazaret trovano la freddezza e la rigidità delle pietre?
“Da uno come te” sembriamo dire “non verrà mai nulla di buono!”, Vedete è il mondo della meccanicità – causa… effetto! – è il mondo della concatenazione, non c’è spazio per la sorpresa.
Anzi, c’è sorpresa per l’opposto, sorpresa che tu, rabbì di Nazaret, perda del tempo con una donna. E la sorpresa dei discepoli. Un modo di pensare che ci soffoca e ci rende a nostra volta soffocanti. Ci fa roccia dura, roccia arida, roccia fredda. Glaciali!
Quante volte diamo l’impressione di essere ancora dalla parte di quei discepoli, di non essere ancora passati dalla parte del Maestro. E sulle labbra abbiamo prediche, abbiamo comizi, abbiamo frasi fatte, parole lontane e non parole sentite.
Dentro un bisogno, invece, di parole che vengano dal cuore. Parole, lasciatemi dire, rare. Perché, se vengono dal cuore, le parole sono rare. E lunghi i silenzi.
Quante volte diamo l’impressione di essere creature che recitano, recitano una parte. E i gesti ingessati, sorvegliati, preoccupati dell’ opinione pubblica, dell’infinito sondaggio.
Dunque bisogno di un’acqua che ci liberi dalla durezza del cuore, ci liberi da una vita fatta di proclami e non di autenticità. E dunque bisogno di bere alle sue parole.
E che gli estremi si tocchino.E osservate la bellezza e la rivoluzione di Gesù che va a rivendicare l’importanza del pozzo che è scavato in ciascuno di noi.
È come se dicesse alla donna samaritana: “C’è un’acqua nel tuo pozzo, scava nel tuo pozzo e l’acqua sgorgherà”. Lui, il Maestro, l’aiuta a scavare, a scavare dentro.
E rivendica, anche questa è una rivoluzione, e non vorrei che l’avessimo a nostra volta tradita, rivendica lo spirito per la vera adorazione: “È a Gerusalemme o su questo monte? È una religione o un’altra?”.
Le religioni hanno bisogno di monti. Ma per Gesù i monti sono relativi. A confronto dell’adorazione in spirito e verità. Voi mi capite: arrivate sulla cima del monte e non siete più imprigionati. È il massimo dello sconfinamento.
Ditemi voi come avrebbe potuto tenere per sé quell’incontro la donna? Non sappiamo a chi l’ha raccontato. Sappiamo che era troppo l’incanto perché non giungesse fino a noi.
* Angelo Casati, Nato a Milano nel 1931, è licenziato in sacra teologia. E’ sacerdote dal 1954. Ha insegnato nei seminari diocesani; è parroco della comunità di San Giovanni in Laterano, a Milano.