Una famiglia formidabile in lotta contro l’odio dell’omofobia
Articolo di Luc Chatel tratto dal Témoignage chrétien (Francia), 16 marzo 2007, liberamente tradotto da Maria Giovanna M.
Il 13 settembre del 2002, tre giovani ragazzi, tra cui un minore, aggrediscono François Chenu, 30 anni, in un parco di Reims.
Lo sfigurano e gettano il suo corpo in un lago. Sarà ritrovato morto due giorni più tardi. Il loro processo si è svolto nell’ottobre 2004.
Venne fuori che i tre giovani appartenevano al movimento di estrema destra guidato da Bruno Mégret, il MNR , e che avevano aggredito François Chenu perché omosessuale.
Da quel giorno di settembre 2002, una famiglia lotta per trovare un po’ di logica e coerenza in questo dramma.
Jean-Paul e Marie Cécile Chenu, i genitori di François, raccontano questa battaglia contro l’assurdità e la morte nel documentario di Olivier Meyrou, Oltre l’odio1.
La testimonianza di questi genitori è semplicemente quella di una lotta per la vita, con i mezzi alla loro portata: l’ascolto, l’intelligenza, l’esperienza vissuta durante decenni sulle crepe della nostra società, tra impegni associativi e religiosi.
SFIDUCIA
“Questo film si costruisce per tappe, spiega Olivier Meyrou. All’inizio c’è un reportage di France 5 sull’omofobia. Poi il progetto si allarga alla questione dell’intolleranza.
Ma non doveva essere un film ansiogeno. Non volevo rivolgermi alla sensibilità degli spettatori, ma alla loro ragione”.
Il contatto con la famiglia Chenu è avvenuto prima per mezzo del loro un avvocato. “Eravamo diffidenti”, racconta Jean-Paul Chenu.
“Non nei suoi confronti, ma verso i media in generale.
Cinque giorni dopo la morte di François, un giornale locale aveva come titolo ‘L’omicidio di un omosessuale’.
Era un modo per ridurre François a questa identità e dare soddisfazione agli assassini perché era questo che pensavano: François, per loro, non era che un omosessuale”.
Olivier Meyrou propose loro di vedere i suoi precedenti documentari . La fiducia s’installa. “ C’è qualcosa di osceno a incontrare una famiglia in lutto per chiederle di essere protagonista di un film, ammette il realizzatore.
Abbiamo dunque discusso a lungo per trovarci perfettamente d’accordo sullo scopo del film. Le riprese son durate due anni e mezzo, durante le quali abbiamo girato solo diciassette ore, pochissimo.
E per ogni scena, spiegavo loro come sarebbe venuta nel film e l’effetto che avrebbe potuto produrre sugli spettatori. Abbiamo davvero fatto il film insieme”.
VENDETTA
Tutte queste precauzioni hanno anche permesso alla coppia di avanzare nella preparazione del processo.
“All’inizio, la signora Chenu era animata da un sentimento di vendetta, ed è normale. Una madre che perde un figlio è toccata nella carne, c’è qualcosa d’impossibile da razionalizzare.
Allora è stato il padre che ha deciso di reagire, per impedire che la loro famiglia fosse ancora di più distrutta da questo dramma. Perché erano totalmente persi. Entrambi militano nel sociale e nel religioso2.
All’improvviso, tutte le loro convinzioni si sono trovate messe in causa. Viaggiavano nel vuoto. Si ripiegavano su se stesse”. Jean-Paul Chenu, educatore sociale da trent’anni, ha visto le sue certezze affondare.
“Quei tre giovani potevano essere quelli di cui mi occupo da anni. Come reagire? Che pensare? È stato come un terremoto”.
La telecamera, che arriva un anno dopo il dramma ( e uno prima del processo), permetterà loro di trovare le parole per questo malessere, d’imparare a conoscere e comprendere gli aggressori.
“Olivier Meyrou ci ha permesso di dire le cose, spiega Jean-Paul Chenu. Ci sono dei familiari con i quali è sempre difficile parlare.
O ci dicono che quei tre giovani meritano la morte, che è l’esatto contrario di quello che pensiamo, o la conversazione ci riporta a questo dramma immergendoci di nuovo nella sofferenza.
Abbiamo avuto bisogno di costruire un discorso che ci permettesse di venirne fuori e di non distruggerci ancora”.
IL SERVIZIO
Uscirne fuori, non è solo limitarsi a punire e a mandare i colpevoli in prigione. È comprendere che quei tre ragazzi vivevano in un contesto sociale totalmente deteriorato: disoccupazione, mancanza di genitori, di cultura, alcolismo, violenza.” Al MNR non restava che effettuare il servizio”, riferisce Olivier Meyrou.
Quando hanno scoperto che quei tre giovani vivevano nel vuoto affettivo e sociale, Jean-Paul e Marie- Cecile Chenu hanno imparato una lezione: il processo e la prigione non basteranno a farli andare avanti, a restituirgli un minimo di equilibrio.
Essendo la società incapace di farsene carico, potevano loro, compiere un gesto. Per coerenza con le loro convinzioni e per impedire, forse, che ricominciassero.”
Questo lavoro non fu facile, e mai sarà terminato, sottolinea Olivier Meyrou. C’è qualcosa di rotto. Li vedevo tentare quotidianamente di ritessere i fili, discutendo con i loro familiari, il giudice e gli avvocati di entrambe le parti, facendo emergere l’umanità che poteva galleggiare in questo dramma.
E quando rientravo a Parigi la sera, ascoltavo i discorsi di Nicolas Sarkozy che si rivolgeva al cuore e non alla ragione.
La sorella di François mi diceva che tali posizioni che scavano nella sofferenza delle vittime per concentrarsi sulla punizione erano un insulto a tutto il lavoro che conducevano in famiglia da mesi.
“Quello che conferma suo padre: Con i suoi progetti di lotta contro la delinquenza, Nicolas Sarkozy riduce le persone a delle etichette, colpevoli o vittime. Allo stesso modo in cui altri hanno parlato di nostro figlio unicamente attraverso la sua omosessualità.”
Dopo il processo, Jean-Paul e Marie-Cécile Chenu hanno scritto ai tre ragazzi. Il più anziano ha risposto.
È cambiato completamente, spiega Jean-Paul Chenu. Ha rinnegato le sue idee estremiste e il suo gesto. Al punto da essere oggi completamente cambiato.
Due estremi che preoccupano un pò
I tre aggressori di François Chenu erano membri del MNR di Bruno Mégret. Nel film si vedono dei posters sulle pareti della loro camera. “Lo Stato finanzia partiti antidemocratici e violenti, è accettabile?” si domanda Olivier Meyrou.
Il regista sottolinea che uno degli assassini al momento dei fatti era militare. “Aveva dei tatuaggi neonazisti su tutto il corpo, e nessuno lo aveva segnalato né gli aveva chiesto di cancellarli.
Peggio, al momento di un corteo del Front nazionale al quale aveva partecipato nel 2002, aveva aggredito un uomo di origine maghrebina. È stato l’esercito a difenderlo durante il processo. Quattro mesi più tardi uccideva François Chenu.
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1 Au-delà de la haine, documentario d’Olivier Meyrou, 1h26.
2 La famiglia Chenu è abbonata à Témoignage chrétien da più di trent’anni
Testo originale: Une famille formidable