Una fede e una vita distrutte da chi mi voleva curare perchè gay
Estratto dall’intervista di José Beltrán ad Alberto Pérez pubblicato sul sito del settimanale cattolico Vida Nueva (Spagna) il 9 luglio 2021, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
“La vita mi ha dato molti schiaffi, ma ho imparato.” Quando si guarda indietro Alberto Pérez, nato a Gran Canaria nel 1991, si vede come “il tipico ragazzo della porta accanto, che andava a messa”, che sentiva qualcosa dentro il cuore e che per questo entrò nel seminario minore dell’isola, “dove non ho mai visto nessuno ossessionato dal sesto comandamento”.
La sua inquietudine religiosa lo portò poi a flirtare con i pentecostali mentre cominciavano ad apparire i primi dubbi sulla sua affettività, fino a che, a diciotto anni, si decise a parlare con i genitori, però senza confessare tutto: “Dissi loro che avevo una crisi di identità e di vocazione, ma senza nessuna allusione alla questione dell’omosessualità”. Decise poi di andare in Cantabria a vivere con padre Santiago Olmeda, fondatore del gruppo “La speranza è possibile” (Es posible la esperanza).
Lì seguì le regole suggerite dai libri di Richard Cohen [psicologo celebre nell’ambiente degli ex gay, n.d.t.], i cui alfieri credono che sia possibile modificare l’orientamento sessuale: “Santiago mi mandò a Madrid dal dottor Aquilino Polaino, perché mi curasse. Mi disse che non ero malato, però uscii da lì prendendo tre pastiglie”.
Con l’aiuto della comunità e del medico Alberto si sentì “guarito”, e nel 2012, durante l’Incontro Mondiale delle Famiglie di Madrid, offrì la sua testimonianza di conversione. Da quel momento divenne protagonista di incontri e sessioni di formazione per terapeuti “che fanno questo tipo di interventi”. Quando la sua storia venne resa nota su Internet il pediatra Miguel Ángel Sánchez Cordón si mise in contatto con lui per creare Verdad y Libertad (Verità e libertà), l’associazione ora sconfessata dalla Santa Sede.
Quando è stata creata Verdad y Libertad?
Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Nei primi due anni comparivo come uno dei fondatori. Ero un ragazzino che da poco tempo era maggiorenne, però avevo una certa formazione teologica perché avevo ottenuto un diploma di cura pastorale negli Stati Uniti, in un istituto protestante. Con [Sánchez Cordón], che allora aveva cinquantacinque anni, iniziai un processo di accompagnamento e di espressione verbale dei miei cambiamenti e delle mie terapie.
Visti i risultati, cominciammo a lavorare con medici e specialisti portoghesi, italiani… Quando sei giovane e pieno di paure, bevi avidamente qualsiasi discorso che ti dia sicurezza. È solo più tardi che ti rendi conto di vivere in una bolla che con la realtà non ha niente a che fare. Quando tutto si sfaldò entrai in crisi, decisi così di andarmene e Miguel Ángel si separò da me.
Cosa ti fece aprire gli occhi?
Esplosi nel 2015, per una congiunzione di vari elementi. In quel periodo cominciai a ridurre i farmaci e avevo una fidanzata, ma notavo che continuavano a piacermi gli uomini. Sei convinto di quello che stai facendo, però arriva un momento in cui avverti di essere immerso in una teoria che non corrisponde con ciò che hai veramente nel cuore. Così entrai in crisi, e pensai anche di farla finita.
In quel momento tutta la mia vita girava attorno [al mio essere un ex gay], ero diventato un punto di riferimento, e tutto questo era diventato il mio lavoro. Non potevo dirmi “ora mi accetto e vado per la mia strada”. Alla fine dovetti scendere a patti con me stesso, dopo che ero ormai sfinito. Immaginate cosa può voler dire fare questo salto quando avevo interiorizzato, come se mi avessero fatto il lavaggio del cervello, la guerra culturale, l’ideologia del gender, la perversione della lobby gay, il satanismo dell’omosessualità…
A partire da quel momento hai chiuso con l’associazione…
Sì, è così. Persi tutti i contatti, e solo anni dopo compresi tutta la portata di quel periodo. Ben lungi dall’essere più forte, ne ero uscito con le ossa a pezzi, così come l’autostima. Ancora oggi devo fare i conti con i postumi di quelle dinamiche. Qualcuno penserà che soffro d’ansia proprio perché l’omosessualità è associata alla depressione, al vizio… Ora ho scoperto che è proprio il contrario, l’ansia e le problematiche annesse nascono dal non aver vissuto in modo naturale, di aver avuto paura, vergogna, senso di colpa, persino schifo [per se stessi].
Ne sono uscito rintronato, non perché sono gay, ma per essere stato manipolato e per i pregiudizi che mi hanno inculcato. Mi è rimasta incisa nella mente quella volta che Santiago mi disse: “Una volta che proverai, quello sarà l’inizio della distruzione della tua anima”. È difficile mettere da parte i sensi di colpa per vivere un’affettività sana. Avevo cominciato a farmi la doccia in maniera compulsiva per sentirmi pulito, a mangiare in maniera sconsiderata…
Testo originale: Alberto Pérez: “Salí roto y deshecho de ‘Verdad y libertad’, con la autoestima machacada”
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