Una luce nell’oscurità? Una riflessione teologica sul Covid 19
Riflessioni del gesuita Gerry O’Hanlon SJ pubblicate sul mensile Working Notes (irlanda), Vol. 34, fascicolo 87, ottobre 2020, pp.49-57, parte prima
Fino a quando, o Signore, mi dimenticherai? Sarà forse per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? (Salmo 13,1)
La nostra situazione: l’individuo in cerca di significato: Agli albori della letteratura occidentale, nell’Iliade, Omero ci racconta la storia del re Agamennone che, con la sua arroganza, fece infuriare gli dei. Apollo rispose causando un’epidemia che scoppiò tra i soldati greci che assediavano Troia. Ai nostri tempi, più secolari, non abbiamo bisogno di ricorrere a storie mitologiche sugli dei per spiegare l’epidemia di un nuovo coronavirus, il Covid-19. Sappiamo che malattie, epidemie e, occasionalmente, pandemie non costituiscono un’eccezione nella storia umana. Batteri e virus precedono gli esseri umani e, e nelle turbolenze evolutive che caratterizzano il nostro mondo, pandemie e infezioni rientrano nell’ordine delle cose.
Nondimeno siamo scioccati (almeno nella nostra parte del mondo), specialmente nel caso di un’epidemia che succede una tantum nel corso di un secolo. A parte l’enorme “black out” ad un livello macro di industria, commercio, trasporti e via dicendo, con conseguenze deleterie per l’economia ed il lavoro a livello nazionale e globale, ci sono effetti a livello personale e comunitario. Molti conoscono la realtà della malattia, della morte e del lutto.
Pensiamo alla vista surreale di funerali con poche persone in lutto. Ci meravigliamo del servizio puntuale e disinteressato del personale in prima linea, sia negli ospedali, alle casse dei supermercati, sui mezzi pubblici o per le strade a raccogliere e svuotare i nostri bidoni. Per tutti c’è stata la realtà del confinamento. L’impossibilità di “andare e venire” come facevamo. Le restrizioni negli incontri coi nostri cari.
L’impossibilità di fare piani. Incertezza, noia e ansia crescenti. La paura che a volte si trasforma in terrore e anche in panico; tutto questo pesa molto sulla nostra salute mentale. Le strade vuote sono piene di un silenzio inquietante, anche se si sente chiaramente il canto degli uccelli. Il nostro senso della vita sospeso. Molti di noi hanno sperimentato ciò che a papa Francesco piace chiamare “le periferie” – ciò che abitualmente è la vita per tanti migranti e richiedenti asilo, residenti di case popolari, senzatetto e prigionieri.
Cerchiamo di trovare insegnamenti per il futuro in ciò che sta accadendo. I commentatori hanno notato come la nostra preziosa autonomia – così caratteristica dell’individualismo della modernità – si riveli improvvisamente un po’ logora. In effetti, tra tutti, Boris Johnson, ha ripudiato il famigerato aforisma di Margaret Thatcher “non esiste una cosa come la società”. Termini come solidarietà e bene comune sono diventati di nuovo preziosi.
Più concretamente, abbiamo assistito in Irlanda allo sviluppo, quasi da un giorno all’altro, di un sistema sanitario di livello unico in risposta alla crisi della salute pubblica, denominato ‘la Sláintecare veloce’ (una proposta di riforma del sistema sanitario)
. A causa dell’apparire del Covid-19, c’è stato, a livello mondiale, una riduzione dell’inquinamento e un decremento dell’attività umana, una riduzione che potrebbe portare a molte meno morti premature. In effetti il miglioramento generale delle condizioni ambientali a livello globale e le prospettive di raggiungere gli obiettivi di emissione di carbonio hanno portato molti commentatori a premere per un cambiamento permanente nei modi di vivere e lavorare, e ha aperto un nuovo spazio per una conoscenza più approfondita dell’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco.
Ora che, l’incidenza del virus continua ad oscillare, stiamo tentando, un passo dopo l’altro di tornare ad una nuova normalità. Comunque, su questo punto c’è stata una certa diffidenza, che si estende a come ci sentiamo gli uni verso gli altri. C’è anche la consapevolezza che forse il nostro shock può essere l’occasione per liberarci dall’attrazione gravitazionale di un ritorno al al solito tran tran e immaginare un futuro diverso, dove la casa e la sanità, il cambiamento climatico e la biodiversità siano pensati come beni pubblici e problemi che vogliamo affrontare.
Anche molti commentatori, in questa epoca secolare, hanno affrontato, come i nostri antenati, il bisogno umano di cercare un significato più profondo in questa crisi. Hanno affermato che non dobbiamo aspettarci dalla scienza più di un’indicazione del tipo di danni naturali, e che quella che sembra un’assurdità e casuale che fa parte di un universo in evoluzione, quello a cui Lonergan, in un altro contesto, si riferiva come il nostro mondo di “probabilità emergenti”. Alcuni si sono rivolti al mondo letterario, traendo significato dalla narrativa di artisti come Camus, dalla poesia di Eavan Boland o dai pensieri di Viktor Frankl nella sua opera classica “L’uomo in cerca di senso” (Franco Angeli).
Prima o poi questa indagine porta a parlare di intelligibilità e significato, e poi di amore, e, inevitabilmente, sorge la questione religiosa. Supponendo che Dio esista, quale ruolo ha in tutto questo – come il Dio teista dell’Illuminismo, o presente e impegnato: ma allora perché è così apparentemente inefficace? Dio è onnipotente? La risposta cambia se invece mettiamo in primo piano l’idea che Dio ama tutti?
Una pandemia globale può essere particolarmente sconcertante per noi perché viviamo in un periodo in cui, come nota Charles Taylor, abitiamo una “cornice immanente” di riferimenti che, a livello pubblico, ci lascia poco attrezzati per discutere problemi di portata esistenziale.
Abbiamo in gran parte perso l’ABC delle questioni religiose; non abbiamo familiarità, ha sottolineato il defunto Nicholas Lash, con la grammatica e la sintassi del discorso sul divino. Al suo meglio, questa cornice immanente ci consente autonomia e libertà, trasparenza e un’inclusione rispettosa e democratica in uno spazio neutrale che è possibile solo “se il riferimento alla religione e alla trascendenza di Dio è escluso o ammesso a livello privato.”
Il cuore del disincanto del mondo moderno è la percezione del cosmo come impersonale “cieco e indifferente al nostro destino nel senso più minaccioso”. È vero che la post-modernità, in diversi modi, ha sostenuto un “ritorno all’incanto” del nostro mondo, ma spesso lo fa al costo della riduzione della conoscenza a opinione personale, all’interno di un relativismo che è sprezzante di ciò che vede come la tirannia dell’oggettività.
Ma ci sono segnati che un contrito Modernismo ha iniziato a considerare la riammissione del religioso nella sfera pubblica. Pensatori come Jurgen Habermas hanno discusso della necessità e dell’utilità dell’attenzione religiosa su ciò che si è trascurato, in particolare sui temi della sofferenza e del fallimento.
La moneta del post-secolarismo ha acquistato validità come secolarismo più aperto, che si sviluppa in armonia con il liberalismo più generoso alle sue radici. Questa posizione riconosce i propri limiti e si nutre della consapevolezza di riuscire a trovare sostenitori delle sue istanze progressiste tra le file dei credenti. È in questo contesto – costruire ponti più che erigere muri – che passo a una considerazione teologica più esplicita della crisi che stiamo affrontando, sperando che i non-credenti e le persone di buona volontà si sentiranno partner benvenuti di questa conversazione.
Testo originale: Any Light in Darkness? A Theological Reflection on Covid-19